Il racconto di viaggio di Enrico Gianoli, uno dei due italiani nella spedizione guidata da Ramón Larramendi.
La spedizione è ufficialmente iniziata. Il padre di Aqa, un’amica Inuit che partecipa alla spedizione, prima di partire l’ha avvisata: “Solo un pazzo andrebbe nel grande gelo!”. Aveva probabilmente ragione, d’altronde sembra che un pizzico di follia sia un requisito d’accesso per prendere essere parte del WindSled team.
Mentre scrivo questo testo, mi trovo dentro una tenda montata su una slitta e trainata con una moto da neve. Un mezzo necessario, quest’ultimo, per arrivare fino al punto dove comporremo la slitta nella sua versione definitiva, collegandola a un’enorme vela, e partendo per il nostro viaggio di 1400 chilometri trainati unicamente dal vento del mare.
Nunatak significa, nella lingua kaalalit, montagna contorniata dai ghiacci. Dopo un’ ora di barca da Narsaq, ieri abbiamo trasportato il materiale scientifico, un po’ di cibo e il nostro equipaggiamento fino al campo base di Nunatak, 400 metri circa sopra il livello del mare.
Siamo arrivati al fronte glaciale di Kaleralik, siamo sbarcati e abbiamo proseguito a piedi fino ad arrivare all’ inizio del ghiacciaio. Kaleralik è il nome indigeno per l’halibut, un pesce che un tempo era abbondante in quella zona, ma la popolazione di halibut non è l’unica cosa ad essere cambiata in questa zona.
Fino a dieci anni fa, la lingua di terra da cui siamo passati era ancora sommersa da decine di metri di ghiaccio millenario, una maestosa e bianca cattedrale che si estendeva per alcuni chilometri più in là. Ora il fiordo si è ripreso quel ghiaccio antico e quegli spazi, mentre il gelo che rimane è come se tentasse di aggrapparsi alla roccia, nell’ attesa di un’inesorabile caduta.
Arrivati all’inizio del ghiacciaio, dopo aver trasportato a spalle il materiale che mancava per la spedizione, abbiamo caricato a circa 150 km dalla costa. Il resto del team, 10 persone in tutto, ha proseguito camminando fino ad arrivare al campo base. Tutto su due motoslitte, mezzo purtroppo ancora necessario per raggiungere il punto in cui il ghiacciaio groenlandese diventa un plateau.
Lì è iniziata una lunga fase di preparazione. Per 8 o 9 ore ci siamo occupati di organizzare il cibo per i giorni successivi, organizzare il materiale per il trasporto, montare due moduli del WindSled. Ogni modulo è composto in una maniera estremamente essenziale, ma per proprio in questo modo la slitta mantiene un’enorme flessibilità e si può adattare al terreno irregolare del plateau, pieno di crepacci e collinette.
Il mezzo è molto efficace: quattro slittini di legno vengono montati con delle corde in kevlar e dei piccoli moschettoni, quei pochi lembi di pelle che rimangono scoperti. Il padre di Aqa aveva probabilmente ragione, ma il senso di maestosità delle colline che sono formate da accumuli di vento è indescrivibile.
Il lavoro è moltissimo, e il clima rigido con vento forte – che alla sera quasi taglia la pelle – su queste enormi distese di ghiaccio, estese fino a dove l’occhio può arrivare, è semplicemente incredibile.
Enrico Gianoli
Osservatorio Artico © Tutti i diritti riservati
Gli Stati Uniti, leader globale nella proiezione di potenza, faticano a mantenere una presenza credibile…
Northrop Grumman ha completato l’attivazione dei satelliti ASBM con payload EPS-R, garantendo per la prima…
L'uso controverso del test FKU continua a penalizzare i genitori groenlandesi, riaprendo ferite storiche e…
Il Regno Unito sta investendo nelle sue capacità di difesa nell’Artico grazie ai Royal Marines,…
La cultura della pastorizia norvegese diventa patrimonio dell'umanità immateriale, allargando la presenza di Oslo nella…
Un sorvolo della NASA sopra la calotta ghiacciata groenlandese ha rivelato una sorpresa: una reliquia…