Cultura

Horror polare: il Wendigo secondo A. Blackwood

Il wendigo è un essere soprannaturale presente nelle culture di diverse nazioni indigene concentrate soprattutto sulla frontiera tra odierni Stati Uniti e Canada, e nella sua parte settentrionale.

Il Wendigo e il racconto di Blackwood

I misteri dell’Artico non infestano solo i mari. Mostruose creature solitarie che camminano nei paesaggi polari inseguono esploratori e scrittori occidentali fin dall’arrivo degli europei nel Nord America. Mary Shelley in Frankenstein tratteggia l’inquietante inseguimento del “demone” che si aggira tra i ghiacci. Un secolo dopo, Algernon Blackwood, scrittore britannico a cavallo tra Ottocento e Novecento noto soprattutto per le sue storie di fantasmi, fa del “Wendigo” (o Windigo) il centro di uno dei racconti della raccolta “The Lost Valley and Other Stories“. Fin dalla sua pubblicazione nel 1910, il racconto diventa un vero e proprio punto di riferimento per gli scrittori di weird e horror.

Il Wendigo è un essere soprannaturale presente nelle culture di diverse nazioni indigene concentrate soprattutto sulla frontiera tra odierni Stati Uniti e Canada. Umanoide spesso gigantesco, scheletrico, affamato, sulle tracce di umani da divorare e, in alcuni casi, trasformare in vuoti gusci destinati a infestare a propria volta i suoi territori, il wendigo è l’impersonificazione non solo della paura, del taboo del cannibalismo, degli istinti aggressivi e antisociali che mettono a repentaglio la vita in comunità, ma anche della inclemenza della natura. Dove, anche nei punti più remoti, ci si sente sempre osservati.

Un’illustrazione che raffigura il Wendigo. (Foto: mythicalcreatures.info)

Sono tutte consapevolezze istintive che i personaggi occidentali del “Wendigo” di Blackwood (il dottor Cathcart e suo nipote, lo studente di teologia Simpson), pur alquanto ricettivi verso la psicologia e la religione, sembrano non possedere. Ma che invece possiedono i loro aiutanti, tutti molto diversi ma inequivocabilmente più affini alla natura sia per vicinanza fisica che spirituale: l’estroversa guida Davis, l’anziano cuoco indiano Punk e la guida canadese Défago (Blackwood scrive: “Egli era profondamente sensibile, oltretutto, a quel singolare incantesimo che la natura selvaggia a volte lancia su alcuni individui dalla natura solitaria, e verso la solitudine della natura nutriva un certo tipo di romantica passione che rasentava quasi l’ossessione”). Questa affinità si rivelerà essere, a seconda dei casi, una fortuna o una condanna.

Un’inquietante presenza

Algernon Blackwood

Il racconto di Blackwood inizia come le più classiche storie dell’orrore, con gli avventurieri che hanno finito di consumare la cena attorno al fuoco dell’accampamento, circondato dalla sconfinata foresta canadese. Quello che li sta seguendo, però, non è l’alce di cui erano a caccia nei boschi dell’Ontario, ma una terribile creatura che osserva il gruppo a distanza e lo insegue respirando nel vento, increspando l’acqua e lasciando impronte. Soprattutto dopo che il gruppo – ovviamente – si sarà diviso.

“Il Wendigo” diventa così una precisa e raffinata disamina delle emozioni e delle paure provate davanti a un mondo di cui ci si sente padroni ma del quale, in realtà, si è, tutti, alla mercè. Chi come mero spettatore, chi in balìa, chi vittima. Dove cadono le restrizioni sociali tra i signori e le guide, si perdono gli status sociali e non resta che affidarsi alla saggezza e all’intuito dei locali come ultimo baluardo contro l’impotenza, la solitudine e la morte per fame.

Nel racconto di Blackwood, in particolare, i due europei restano spesso stranìti, impotenti figure sullo sfondo di un dramma dove i tre locali si prendono – volenti o no – la scena, facendo assistere i loro padroni al precipitare degli eventi che si consumerà nel giro di poche notti. La spiegazione di quel “qualcosa” che è avvenuto nei boschi dell’Ontario, però, non arriverà mai. Resterà custodita nel cuore del più insospettabile di tutti, colui che quelle terre le conosce davvero.

Agata Lavorio

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Agata Lavorio

Dopo il dottorato in Studi Politici presso l’Università degli Studi di Milano, ho continuato a portare avanti la mia ricerca su Artico, Stati Uniti e cambiamento climatico. Da sempre mi appassiono di Studi strategici e Geopolitica.

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