Un anziano immunodepresso ha contratto il virus, noto per essere trasmesso da piccoli mammiferi, che gli è risultato fatale.
Alaskapox, il virus che abita l’Artico
Venerdì scorso le autorità dell’Alaska hanno riferito che un uomo anziano è morto di vaiolo dell’Alaska nella penisola di Kenai. Si tratta quindi della prima persona ad essere uccisa dalla malattia virale identificata solo nove anni fa, anche nota come “Alaskapox”.
Oltre ad essere il primo caso mortale, si tratta della prima infezione umana documentata al di fuori dell’area di Fairbanks. Una prova che il virus, noto per essere trasmesso da piccoli mammiferi, si è diffuso oltre le popolazioni selvatiche di quella zona.
Il paziente, che aveva un sistema immunitario compromesso a causa del trattamento per il cancro, ha segnalato per la prima volta i segni di un’infezione sotto l’ascella a settembre. L’infezione è progressivamente peggiorata e, dopo settimane di visite al pronto soccorso, il paziente è stato ricoverato in ospedale a livello locale.
La situazione si è ulteriormente aggravata e, quando il movimento del suo braccio è diventato compromesso, il paziente è stato trasferito d’urgenza in un ospedale di Anchorage. Lì, si legge nel bollettino, sono stati necessari numerosi test per identificare l’infezione. Nonostante le cure, il paziente ha sofferto di insufficienza renale e altri problemi ed è deceduto alla fine di gennaio.
Che cos’è l’Alaskapox
L’Alaskapox è una malattia causata da un virus noto come gruppo orthopox. Come gli altri virus orthopox, il virus che causa il vaiolo dell’Alaska è mantenuto e diffuso da popolazioni di piccoli mammiferi, in particolare le arvicole.
Il vaiolo dell’Alaska, come il vaiolo delle scimmie a cui è correlato, fa parte di un vasto numero di malattie zoonotiche. Tali malattie possono diffondersi tra specie animali, compreso l’uomo, dimostrando il legame tra la salute umana e quella della fauna selvatica.
Il primo caso di infezione umana da Alaskapox è stato rilevato nel 2015 nell’area di Fairbanks. Il caso successivo è emerso nel 2020, mentre il caso della penisola di Kenai è il settimo ad essere identificato.
Un filo conduttore nei casi precedenti, che coinvolgevano tutti pazienti della zona di Fairbanks, era la posizione delle loro case, immerse nel bosco, oltre che il contatto con animali domestici – gatti o cani – che facilmente sono entrati in contatto con piccoli mammiferi selvatici.
“Fino al decesso del mese scorso, gli effetti documentati delle infezioni da vaiolo dell’Alaska nelle persone erano piuttosto lievi, con sintomi come eruzioni cutanee, febbre e affaticamento”. Lo ha affermato Julia Rogers, un’epidemiologa statale coautrice del bollettino pubblicato venerdì. Nessuno di questi pazienti aveva una storia medica significativa.
Come i pazienti di Fairbanks, il paziente della penisola di Kenai viveva in una zona boschiva, riferisce il bollettino epidemiologico. Potrebbe aver avuto almeno un contatto indiretto con piccoli mammiferi in natura, poiché ha riferito di essersi preso cura di un gatto randagio che avrebbe potuto dare la caccia a quei piccoli mammiferi.
Nuove evidenze scientifiche
Ancora da determinare è da quanto tempo il vaiolo dell’Alaska sia presente nell’ambiente. Stanno emergendo segnali che indicherebbero come il virus circola da decenni nelle popolazioni di piccoli mammiferi. “In passato, la ricerca sulle malattie della fauna selvatica si concentrava sui grandi mammiferi, non sui piccoli animali come le arvicole”, ha detto ancora Rogers.
Link Olson, curatore dei mammiferi presso il Museo del Nord dell’Università dell’Alaska, ha dichiarato che i test hanno scoperto il virus in un esemplare di arvicola di 25 anni nella collezione del museo.
“Gli scienziati del museo, in collaborazione con la sezione epidemiologica statale e altre organizzazioni, hanno avviato un programma di test utilizzando la vasta collezione di esemplari di animali dell’Alaska. Ci sono buone probabilità che il vaiolo dell’Alaska venga trovato nelle popolazioni animali ben oltre i confini dello stato e anche oltre il Nord America”, ha detto Olson.
Falk Huettmann, un biologo dell’Università dell’Alaska Fairbanks che studia le malattie della fauna selvatica e i fattori ambientali che le determinano, ha anche affermato di ritenere che l’Alaskapox circola in natura da anni – e che potrebbero esserci state gravi infezioni umane in passato che si sono diffuse inosservate.
Non bisogna sottovalutare, del resto, la presenza di virus nella regione artica che possono sopravvivere “intrappolati” nel permafrost per decine di migliaia di anni, come vi abbiamo raccontato in un articolo dedicato ai cosiddetti “virus zombie“.
“Il vaiolo dell’Alaska, che ora si è rivelato potenzialmente fatale, è un esempio di malattie in evoluzione che richiedono un approccio più aperto alla ricerca”, ha affermato Huettmann. “Capisco bene che si tratti di un caso nuovo e che le persone siano sorprese. Ma, se si conosce la storia delle malattie, non dovremmo essere troppo sorpresi”, ha detto ancora, concludendo che “Ormai, tutto è possibile”.
Enrico Peschiera
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