Dal 27 Maggio al 4 Settembre la mostra dei reportage fotografici della fotografa Valentina Tamborra, promossa dal Comune di Roma e dall’Ambasciata di Norvegia in Italia.
Dopo Milano e Venezia, “Mi Tular” e “Skrei – Il viaggio” sbarcano a Roma. Quale sensazione ti dà portare in mostra la tua ricerca concettuale sul “confine”? «È meraviglioso quando il proprio lavoro si “stacca” da te per diventare “di tutti”», racconta Valentina Tamborra, fotografa milanese autrice dei reportage in mostra fino al 4 Settembre al Museo di Roma in Trastevere.
«I miei viaggi artici, la mia ricerca di un confine/non confine, di un luogo altro lontano da tutto ma a tutto collegato, è oggi un percorso che ognuno può attraversare a proprio modo attraverso le immagini e le parole con cui ho scelto di raccontare quei mondi».
«Mi piace pensare che il nostro lavoro – di fotografi, di giornalisti, di “racconta storie” – sia un modo per fermare il tempo e esser testimoni di realtà che, perché questo è il destino dell’uomo, prima o dopo finiranno. Ma intanto sono esistite. Nomi, volti, luoghi, storie, persone. “La vita è l’arte dell’incontro”, scriveva qualcuno e io questo penso. Che le mie mostre, in giro per l’italia, mi consentano di far incontrare persone e storie fra di loro e appassionare gli uni agli altri cosi come io mi sono appassionata ad ogni mondo che ho visitato.
Come pensi che il clima stia effettivamente impattando sulla vita quotidiana di chi vive nelle aree più settentrionali del pianeta? «È un lungo discorso, ma posso dire che l’Artico è inevitabilmente “il termometro del mondo”. Il riscaldamento globale rischia di mettere a dura prova la pesca così come lo stile di vita dei nativi dell’estremo Nord, i Sami.
Bisogna pensare sempre che l’essere umano fa parte della natura, e che da essa trae nutrimento e vita. Dipendiamo dal nostro ambiente, anche se con il passare del tempo sembra che ce ne dimentichiamo sempre un po’ di più. Le popolazioni artiche invece, per via dell’estremo ove vivono, non possono dimenticarsene e ci fanno da specchio, ci ricordano quali sono i comportamenti basilari, i valori fondamentali.
Una ragazza Sami una volta mi ha detto, rispondendo alla mia domanda su cosa volesse far sapere a chi l’avrebbe vista nei miei video e nelle mie fotografie “Ascoltate i nativi: noi sappiamo come fare”.
Italia e Artico sono molto distanti geograficamente, ma ci sono diversi legami molto forti. A partire da Pietro Querini… «Si, Pietro Querini e le isole Lofoten: un’amicizia che inizia nel 1432 a seguito di un naufragio e che ci insegna come da una sventura possa nascere un’opportunità. Un legame indissolubile che lega l’italia a queste isole meravigliose e che ho raccontato nel lavoro “Skrei – il viaggio” ,da cui è nato anche un libro edito da Silvana Editoriale.
Ha ancora senso parlare di “confine” se le terre artiche, salvo le zone davvero irraggiungibili, sono sempre più a portata di crociera? «Certo, ne ha. Raggiungibili o meno, restano luoghi estremi dove la natura domina e l’essere umano deve adattarsi a essa. Dico sempre che per andare d’accordo con l’Artico bisogna accettare che non siamo più noi a decidere, ma “lui”. Il confine inteso come luogo estremo: ricordarsi di questo ci porta non a temere l’artico ma a rispettarlo».
«Ora, dopo 4 anni di lavoro con e sui Sami, sto finalmente tirando le fila del mio progetto “Ahkat – TerraMadre” che insieme a “Skrei – Il viaggio” e “Mi Tular – Io sono il confine” compongono la mia trilogia artica. Tutti e tre i miei progetti sono basati sull’uomo e sul suo rapporto con l’ambiente estremo e meraviglioso che abita. “Ahkat – TerraMadre” è un canto alla bellezza, alla forza, alla dignità e alla resistenza di un popolo indigeno, i Sami, che hanno moltissimo da insegnarci.
Ne parlerò a Roma il 22 giugno con Kristoffer Dolmen, direttore del Centro per le Arti contemporanee Sami di Karasjok. In futuro comunque, “Ahkat – TerraMadre” vedrà la nascita di una mostra, come è stato per i primi due capitoli, e sicuramente vorrei farne un libro. La storia del popolo Sami è una storia meravigliosa che vale la pena di conoscere, e da cui abbiamo davvero tanto da apprendere».
Leonardo Parigi
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