Il ritorno di Trump alla Casa Bianca scuote anche l’Artico: tra strategie incerte, negazionismo climatico e nuove tensioni geopolitiche, cosa ci aspetta?
Il 20 gennaio Donald Trump è diventato ufficialmente il 47° presidente degli Stati Uniti. Il ritorno del tycoon alla Casa Bianca ha fin da subito alimentato un forte clima di dubbi e aspettative da parte di una platea internazionale inevitabilmente legata a doppio filo con Washington. La ridiscussione trumpiana degli schemi della convivenza internazionale ha punto sul vivo anche il mondo artico, come dimostrato dai recenti, chiacchierati, richiami di una possibile compravendita, controllo o annessione di Groenlandia e Canada da parte degli Stati Uniti (peraltro già emersi nel 2019). Ma questo non è l’unico prisma attraverso il quale monitorare il ritorno di Washington nell’Artico.
Secondo presidente della Storia a non ricoprire due mandati consecutivi (dopo il democratico Grover Cleveland più di cento anni fa), Trump ha già intrapreso un secondo mandato più “libero”, come da naturale tradizione americana: non dovendo più rispondere alle costrizioni di future campagne elettorali, il gioco si fa senza regole. Una tendenza simile era stata avvertita, pur su scala ridotta, nel corso del primo mandato. Se così restasse (fatto non scontato, sul quale giocano anche la personalità di Trump, il ruolo delle burocrazie americane e di un partito repubblicano che potrebbe rivelare in futuro anche importanti divisioni interne), assisteremmo con buona probabilità all’acutizzarsi di tendenze isolazioniste e anti-globaliste. Da qui, ad esempio, la “fortificazione” del continente americano grazie al potenziamento della forward defense groenlandese.
Più in generale, è probabile che la politica artica americana continui a correre su binari paralleli, ciascuno influenzato dagli impulsi che animano l’agenda trumpiana. Contrariamente a quanto avvenuto tra 2017 e 2021, questa volta il rischio di piccoli e grandi sconvolgimenti nella tenuta (e nell’esistenza) dell’ordine liberale internazionale è sempre più forte. Complici sarebbero soprattutto figure-chiave di fedelissimi di scarsa (o dubbia) esperienza che vengono posti a capo delle grandi organizzazioni e dei gabinetti; i costi, materiali e non, associati ai turnover inerenti gli iter della vita politica, anche routinaria, che rallentano e complicano la produzione di una strategia lineare. A questo proposito, si ricordi che proprio i Dipartimenti sono stati la vera forza in grado dal 2017 al 2021 di frenare le più drastiche pulsioni del “Make America Great Again” su più aree politiche.
Per quanto riguarda la sfera artica, si stanno andando a delineare, dunque, una politica ambientale e climatica approntata su negazionismo e inattivismo a livello nazionale e internazionale; una politica estera di disengagement, volta ad allontanarsi non solo dai teatri di conflitto, ma anche dalle istituzioni multilaterali (fondamentali finora per la governance artica); una politica di difesa più attenta a “fortificare” i confini nazionali anche nell’Artico americano – ma questo sulla scia già di quanto compiuto anche dall’amministrazione precedente.
Tra i tre tavoli, la politica ambientale è il campo di manovra più saldamente in mano al presidente e uno dei pochi spazi in cui, già nel precedente mandato, i manifesti elettorali avevano mantenuto più promesse. Trump ha già abbandonato per la seconda volta l’Accordo di Parigi: le ripercussioni del ritiro degli Stati Uniti dalla diplomazia e dalla politica climatica internazionale sono già state avvertite alla COP 29 ed hanno suscitato dubbi e contrarietà perfino dagli alti vertici di ExxonMobil, segno di quanto sicurezza climatica ed energetica siano ormai, giocoforza, una realtà complessa lontana dai manicheismi politici.
Il presidente eletto ha già annunciato di voler dare libero sfogo alle trivellazioni petrolifere nell’Alaska nord-orientale (la National Petroleum Reserve a est di Prudhoe Bay). Le trivellazioni non risparmierebbero nemmeno la Arctic National Wildlife Refugee, storica area protetta per la quale l’amministrazione Trump aveva già permesso di stipulare contratti per la trivellazione, fermati poi dall’amministrazione successiva. Tuttavia, come fanno notare alcuni esperti, le difficoltà, i timori e i costi (già) incontrati dal settore degli idrocarburi in Alaska indicherebbero una realtà ben più difficile e limiti ben più complessi rispetto alla narrativa delle potenzialità illimitate nella regione – per certi aspetti abbracciata anche dall’amministrazione trumpiana.
Il negazionismo e l’inattivismo che caratterizzano l’agenda trumpiana hanno avuto negli anni precedenti forti ricadute anche nel campo della sicurezza e della difesa. Qui, negare o aggirare un problema che di fatto esiste potrebbe condurre, ancora una volta, ad affrontarne comunque gli effetti, ma in assenza di una “cornice” strategica (anche a favore degli obiettivi di politica estera repubblicana). Chiudere gli occhi di fronte alla crisi climatica non può che avere gravi ricadute sulla sicurezza e la difesa di un paese: la crisi climatica pone pressioni sull’assistenza umanitaria, sulla gestione delle emergenze naturali in patria e all’estero, erode le infrastrutture militari e civili e richiede un continuo adattamento alla readiness delle unità militari.
In materia artica, in passato, il negazionismo e l’inattivismo avevano portato a strategie artiche ridotte e incomplete, così come a forti opposizioni da parte di esponenti di alto livello del mondo della sicurezza e della difesa, tra cui il Segretario alla Difesa Jim Mattis e l’ammiraglio David Titley, uno dei pionieri della sicurezza climatica americana. Nel 2020, ad esempio, venne smantellata la Navy’s Task Force Climate Change, uno dei più efficaci e attivi strumenti in materia di approccio olistico al cambiamento climatico proprio sotto la leadership di Titley. Proprio all’Artico la Task Force aveva dedicato i suoi primi sforzi.
Se i tavoli della politica artica americana risultano complessi, il contesto geopolitico globale contribuisce a rendere ancora più incerto il futuro della governance nell’area, complice il fastidio trumpiano verso le istituzioni multilaterali. Il ritorno di Trump alla Casa Bianca potrebbe segnare un’accelerazione della competizione con la Cina anche in Artico, trasformando la regione in un ulteriore terreno di scontro tra Washington e Pechino.
La crescente presenza cinese, tra investimenti in infrastrutture, ricerca scientifica e ambizioni sulla rotta marittima artica, è da sempre vista con sospetto dagli americani, ma resta da vedere se l’amministrazione darà priorità a un contenimento strutturato o si limiterà a dichiarazioni muscolari senza un vero piano a lungo termine. Parallelamente, il Consiglio artico rischia di erodersi ulteriormente: la diffidenza verso alcuni alleati europei e per il ruolo dell’UE da parte americana potrebbero isolare ulteriormente i consessi multilaterali sulla governance artica, già messi a durissima prova.
Nel quadro delle politiche di difesa dei confini nazionali, l’amministrazione Trump sembrava sulla carta il perfetto candidato per una reale ripresa del processo di modernizzazione di NORAD e NORTHCOM. Tuttavia, le tensioni politiche con il Canada mettono già alla prova il potenziamento della struttura e delle attività dei comandi, contribuendo a un quadro delicato dove due alleati indispensabili rischiano di dividersi su fronti diversi, inseguendo priorità geopolitiche molto diverse.
Resta da comprendere, ad esempio, quanto l’amministrazione repubblicana sia davvero interessata alla sicurezza e alla difesa a nord – e non solo sul confine sud, dove sembra che si stiano realmente concentrino le attenzioni. In questo quadro, il futuro dell’Artico diventa sempre più confuso e la regione sempre più dilaniata da pressioni, più o meno consistenti, da parte di un concerto di attori che a tratti ne sembrano avere appetito e a tratti, invece, sembrano dimenticarsene.
Agata Lavorio
A Tromsø si è tenuto Arctic Frontiers 2025, un evento chiave per discutere il futuro…
La ricerca condotta dal CNR-ISP rivela un rapido aumento della tundra a causa del collasso…
Shipping, Forwarding & Logistics Meets Industry 2025: focus su infrastrutture, sostenibilità e competitività globale. Milano…
La rubrica settimanale da Bruxelles che racconta le tre notizie principali degli ultimi sette giorni…
La quarta edizione di "Italia chiama Artico" ha visto un ottimo successo di pubblico e…
La Groenlandia è al centro di tensioni geopolitiche e ferite storiche irrisolte. Niviaq Korneliussen, voce…