Se c’è un luogo al mondo in cui Occidente e Russia vanno sostanzialmente d’accordo, quello è l’Artico. La cooperazione è il fulcro su cui si muovono tutte le organizzazioni internazionali che si occupano della questione artica, e così – salvo uscite estemporanee – la regione riesce a mantenere una sua stabilità.
Ma fino a quando durerà tutto ciò? Il riscaldamento globale e il progressivo avvicinarsi della possibilità di utilizzare o sfruttare regioni colossali sono solo due dei fattori che velocizzano un percorso “a tavola inclinata”, che potrebbe modificare sostanzialmente i rapporti pacifici della regione. Certamente va considerato che la possibilità di reali conflitti nell’area rimane un’ipotesi estremamente pessimistica, ma date le particolari condizioni – con una popolazione quasi inesistente a certe latitudini – la percentuale delle possibilità aumenta.
Nelle scorse settimane l’Agenzia per la Sicurezza della Danimarca (FE) ha rilasciato il suo consueto report annuale sulle sfide del nuovo anno. Tra queste, l’Artico ha un suo capitolo a parte che si sofferma sulle possibili strategie russe e cinesi.
«La tendenza nella regione artica è stata generalmente caratterizzata dalla cooperazione tra gli Stati costieri dell’Artico, in particolare quando si tratta di questioni regionali, come la creazione di confini nazionali, l’ambiente, la ricerca e il salvataggio, le popolazioni indigene e la pesca», si legge nell’analisi.
Ma il report dei servizi di sicurezza danesi va oltre, focalizzandosi sulla probabilità che la Russia cerchi di influenzare le elezioni politiche e l’informazione di massa nel Baltico, e anche sul fatto che la militarizzazione della regione prosegue. E questo potrebbe essere un primo, concreto, segnale di pericolo.
La FE, ad esempio, osserva che mentre gli Stati costieri dell’Artico – Canada, Danimarca (grazie alla Groenlandia), Norvegia, Russia e Stati Uniti – rimangono impegnati nella Dichiarazione di Ilulissat del 2008, in cui si sono impegnati a cercare di risolvere i disaccordi nella regione attraverso mezzi pacifici, un aumento delle attività militari nella regione potrebbe anche significare una corsa agli armamenti.
«La Russia in particolare sta aumentando la sua capacità militare. Questo è un importante catalizzatore per gli altri stati costieri dell’Artico per iniziare a costruire la propria capacità militare regionale – in parte collaborando con Stati non artici […] Così come gli altri Stati artici, la Russia è interessata a mantenere uno stabile e pacifico
sviluppo dell’area. Tuttavia, se la Russia crede che i suoi obiettivi strategici e gli interessi vengano minacciati, probabilmente adotterà un approccio diverso. L’Artico è una componente chiave dell’identità nazionale russa. La Russia mira a consolidare questa posizione attraverso il dominio regionale con un’espansione militare. Politicamente, la Russia sta utilizzando con decisione eventi dimostrativi militari come le esercitazioni per stimolare l’interesse strategico nazionale e per inviare un segnale a livello internazionale».
L’esercitazione denominata Trident Juncture che si è svolta tra ottobre e novembre 2018 ha rappresentato certamente un primo segnale forte da parte della NATO. Sono stati coinvolti 28 Paesi appartenenti all’Alleanza Atlantica, insieme ad altri tre partner regionali. I numeri parlano da soli:
L’esercitazione si è svolta principalmente nella Norvegia centrale, sul Mar Baltico e negli spazi aerei di Islanda, Finlandia e Svezia. Una prova imponente delle forze armate occidentali, che non può non leggersi in chiave anti-russa. Mosca, del resto, fa la parte del leone nella regione a livello di capacità logistiche e militari.
La Russia sta infatti mettendo in acqua una nuova classe di rompighiaccio a scopo logistico e di trasporto di LNG, ma detiene già un numero decisamente notevole di imbarcazioni di questo genere: sono 38 quelle in servizio, contro i 2 rompighiaccio statunitensi.
Il Northern Fleet Joint Strategic Command è stato creato nel 2014, e comanda le regioni settentrionali della Russia in aria, terra e acqua. Un articolo di Formiche dello scorso dicembre, a firma di Francesco Bechis, riportava:
L’intesa di Rosatom riporta sotto i riflettori anche l’altra faccia della medaglia della rotta artica, quella militare. Il numero di navi russe che attualmente si avventura fra i ghiacci del Nord per commerciare con l’Asia e l’Europa è modesta, lo è assai meno la mappa di basi di controllo russe che man mano prende forma sulle coste settentrionali mentre i ghiacci si sciolgono e la corsa all’estrazione degli idrocarburi attira le mire di nuovi Paesi. Alle basi si aggiungono un Commando Artico, quattro brigate di combattimento, 14 nuovi aeroporti militari, più di 40 rompighiaccio. Poco se messo a confronto con la presenza sovietica negli anni ’80. Molto se paragonato all’impegno degli Stati Uniti nella regione: c’è solo una rompighiaccio superstite, le altre sono in manutenzione. Non a caso solo un anno fa l’ex segretario della Difesa Usa James Mattis aveva parlato di “passi aggressivi” del Cremlino per ottenere la supremazia sulla regione artica. “Non è un mistero che la Russia stia militarizzando l’Artico” – spiega a Formiche.net Paolo Alli, già presidente dell’Assemblea parlamentare della Nato – lo scudo formale è quello delle basi di research and rescue (ricerca e soccorso, ndr) per aiutare le navi intrappolate nei ghiacci a causa dei repentini cali della temperatura, è noto però che in queste basi viene installato materiale militare”. “La Nato sta seguendo molto attentamente le evoluzioni nell’Artico, da quelle coste potenzialmente la Russia può colpire tanto il Canada quanto l’Alaska”. Non meno assertiva la strategia cinese, prosegue Alli. “La rotta a Nord può diventare una terza cintura della Via della Seta, ma prima i cinesi dovranno essere sicuri di riuscire a sedere nel Consiglio Artico. L’interesse per la tratta settentrionale è confermato dalle numerose concessioni minerarie in Groenlandia, terra ricca di giacimenti naturali, e dalla strategia diplomatica perseguita: non a caso la più grande ambasciata cinese in Europa si trova a Reykjavík, in Islanda”.
La militarizzazione della regione prosegue anche per quanto riguarda gli altri attori regionali e i partner. Finlandia, Norvegia, Danimarca e Svezia su tutti, anche se gli Stati Uniti sono certamente tra coloro chiamati a colmare un gap tecnologico notevole. Quanto durerà la cooperazione nell’area lo scopriremo entro pochi anni.
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