Il Canada ha recentemente aperto un nuovo hub minerario per contrastare il dominio cinese sulla produzione di terre rare, fondamentali per le tecnologie verdi, la difesa e l’industria aerospaziale.
Che cosa sono le terre rare?
Le REE, acronimo di Rare Earth Metals, sono un gruppo di 17 elementi facenti parte della famiglia dei metalli. Più nello specifico, si tratta di una serie di elementi chimici a cui viene assegnata questa espressione non per la loro scarsa presenza sul pianeta, ma per la loro difficile identificazione nonché per la complessità del processo di estrazione e lavorazione. La quasi totalità delle terre rare venne scoperta dal 1839 al 1900, il Promezio, l’ultima, venne invece creata in modo artificiale nel 1947.
Questi metalli sono fondamentali per l’economia di oggi e del futuro: dall’energia rinnovabile al settore militare e aerospaziale, dalle auto elettriche alla fibra ottica fino agli attuali smartphone, senza le terre rare non si può fare nulla.
In generale, si tratta di materie prime contese da tutte le grandi potenze mondiali ma di cui nessuna ha la stessa disponibilità: secondo l’Agenzia Internazionale per l’Energia, la Cina controlla il 60% dell’estrazione mondiale di terre rare, ma soprattutto quasi il 90% della loro lavorazione.
Sebbene vi siano due compagnie, l’australiana Lynas Rare Earths e l’americana MP Materials, a garantire l’estrazione di terre rare al di fuori della Cina, l’Occidente rimane comunque dipendente da Pechino nel processo di raffinazione, senza il quale sono inutilizzabili. Un dato destinato a peggiorare se, come previsto dalla società di consulenza Adams Intelligence, la domanda di terre rare utilizzate nei magneti sarà quintuplicata entro il 2040.
Il Canada scommette sulle terre rare
Possiamo dire, quindi, che se l’Occidente ha un problema relativo all’estrazione delle terre rare, la vera sfida sta nella loro lavorazione. In un clima di crescenti tensioni internazionali, nessuna autonomia strategica di nessun paese può essere raggiunta prescindendo da questi metalli e dalla capacità di raffinarli. Di qui la necessità di colmare il gap con i cinesi e la costruzione di un nuovo impianto per la lavorazione dei 17 elementi, che nel frattempo verranno importati da Australia, Brasile e Vietnam.
Tuttavia, l’apertura del centro di Saskatchewan, Canada, arriva in un momento di forte crisi per i progetti che si propongono di sfidare il dominio cinese: il crollo del prezzo delle terre rare, infatti, ha reso meno conveniente investire in progetti di questo tipo, con il rischio che, a fronte di elevati costi per l’apertura di un impianto, gli introiti non siano sufficienti a coprirli.
Mike Crabtree, amministratore delegato di Saskatchewan, ha dichiarato che il nuovo polo, costato cento milioni di dollari, produrrà una quantità di metallo sufficiente per la produzione di 500.000 veicoli elettrici all’anno.
“Stiamo dimostrando che una raffineria completamente integrata può essere competitiva in termini di prezzi e sufficientemente solida da resistere alle manipolazioni del mercato da parte della Cina”, ha affermato.
Il Dragone, infatti, ha rafforzato il monopolio sulle catene di approvvigionamento di terre rare, introducendo un divieto di esportazione per le tecnologie usate nella lavorazione di questi materiali. Una decisione che gli analisti hanno interpretato come ritorsione nei confronti dei governi occidentali per le restrizioni commerciali e le tariffe imposte sui prodotti cinesi. La guerra fra Russia e Ucraina, così come l’embargo non ufficiale della Cina sulle esportazioni di terre rare in Giappone nel 2010, hanno reso più complicata l’entrata di nuovi attori globali in questo campo, rafforzando ulteriormente la posizione di Pechino e facendo crescere le preoccupazioni in merito.
La strategia del Pentagono
L’apertura di Saskatchewan, in ogni caso, non è riconducibile alla sola volontà del governo canadese. Nel corso degli ultimi quattro anni, infatti, il Pentagono ha investito quasi un miliardo di dollari in progetti legati alle terre rare e fra i vari paesi beneficiari vi è anche il Canada. Queste operazioni sono state fatte ricorrendo al Defense Production Act, uno strumento risalente alla Guerra Fredda, nato per garantire l’approvvigionamento di materiali e tecnologie essenziali per l’economia e la difesa statunitense.
Scegliendo il Canada, si è deciso di puntare su un paese alleato e di investire decine di milioni di dollari in centri di lavorazione che assicurino un approvvigionamento il più sicuro possibile di questi materiali. Dando uno sguardo più approfondito, nell’ultimo anno compagnie canadesi come Fortune Minerals e Lomiko Metals hanno giovato di un sostegno pari a 14,7 milioni di dollari da parte del Pentagono, finanziamenti utili a implementare le catene di approvvigionamento nordamericane di cobalto e grafite. In agosto, Electra Battery Materials, con sede in Ontario, ha ricevuto finanziamenti per 20 milioni di dollari per costruire la prima raffineria midstream di solfato di cobalto nel Nord America, un materiale necessario per le batterie.
Il clima di ottimismo e le dichiarazioni di sostegno americane, tuttavia, non sembrano dissipare i timori sulla riuscita di questi progetti. Come detto da Robin Goad, amministratore delegato di Fortune Minerals, l’enorme quantità di capitale necessaria per l’estrazione del cobalto e di altre terre rare rende diffidenti i potenziali investitori: “siamo in una guerra commerciale, che ci piaccia o no”, ha dichiarato. La variabilità dei prezzi delle terre rare, in aggiunta, rende complicato presentare questo mercato come una scelta sicura per i propri investimenti.
Ad aumentare la preoccupazione dei creditori è stato il fallimento della Vital Metals Canada, una compagnia di proprietà australiana definita come il primo progetto in territorio candese per le terre rare: l’episodio ha suscitato clamore non solo per la bancarotta dell’azienda ma anche per il tentativo dei dirigenti di vendere le sue scorte di metalli rari alla Cina, portando il governo canadese a intervenire e ad acquistare lo stock per tre milioni di euro. Quest’ultimo, com’è stato subito annunciato, verrà lavorato proprio nell’impianto di Saskatchewan.
Serve lo Stato
Ciò che chiedono gli investitori nordamericani sono maggiori aiuti da parte delle autorità statali, specialmente da quelle del paese più interessato a essere autonomo nel campo delle terre rare: gli Stati Uniti. Secondo Heather Exner – Pirot, consulente speciale del Business Council of Canada, il sostegno del Pentagono sarebbe stato modesto rispetto a quello concesso ad altri paesi.
Quest’ultima, a proposito, sottolinea che l’export – import bank degli Stati Uniti ha concesso fondi per centinaia (non decine) di milioni di dollari a stati come l’Australia per sviluppare progetti simili, affermando che “il Dipartimento della Difesa statunitense e i suoi appaltatori potrebbero giocare un ruolo importante nell’acquisto di prodotti, creando la domanda e i contratti di acquisti di cui i minatori canadesi hanno bisogno per attirare investitori”. Lo stesso concetto viene ribadito anche da Trent Mell, chief executive di Electra Battery Metals, sostenendo che, al contrario di quelli occidentali, i competitor cinesi ricevono notevoli sussidi statali, capaci di abbattere i costi di investimento e di creare una situazione di disparità con le compagnie nordamericane o europee.
La soluzione, quindi, sarebbe ottenere maggiori aiuti economici da parte dei governi, soprattutto quello statunitense, per rafforzare le compagnie del settore e permettergli di affrontare solidamente la competizione cinese. D’altronde, come detto sempre da Exner Pirot, il Nord America deve saper adottare e adattare il “modello Pechino”: “possiamo sicuramente essere all’altezza dei cinesi dal punto di vista strategico, ma solo se ci preoccupiamo di giocare la partita. Stare in disparte e fare gli ottimisti non basta più”.
Uno sguardo sul futuro
Al di là delle diffuse preoccupazioni su un possibile utilizzo delle terre rare come arma geopolitica, è verosimile che nei prossimi anni la Cina, già primo consumatore di questi materiali, decida di ridurre ulteriormente le esportazioni per soddisfare la propria domanda interna. Già 10 anni fa, infatti, il paese mirava a elevare il proprio status da “fabbrica del mondo” a nazione leader nelle produzioni ad alto contenuto tecnologico, rendendo inevitabile un notevole assorbimento della quota di terre rare nel mercato domestico.
Tenendo conto dei timori e delle perplessità a riguardo, è indubbio che i paesi occidentali, Stati Uniti in primis, stiano adottando politiche sempre più atte ad assicurarsi un approvvigionamento sicuro di terre rare. L’impianto di Saskatchewan è un piccolo passo verso questa direzione e può far diventare il Canada una regione cruciale per riuscirci. Ricordiamo che oltre al nuovo centro di lavorazione, il governo di Ottawa ha avviato l’apertura di una serie di miniere: una volta che le procedure per l’entrata in attività dei siti saranno portate a termine, la produzione derivante dal loro sfruttamento potrà essere direttamente raffinata nel paese, senza doversi affidare alle realtà asiatiche.
Il Nord America, quindi, sceglie di condurre la battaglia per i materiali critici su due binari diversi ma complementari: da una parte estrarli in casa propria, dall’altra lavorarli in autonomia. Se le attuali politiche andassero avanti in questa direzione, accogliendo la richiesta degli investitori di concedere maggior aiuti, l’occidente potrà sperare davvero di essere più autonomo da Pechino.
Niccolò Radice Fossati