La disputa sulla sovranità delle Isole Svalbard, l’impasse del Consiglio Artico e l’attività militare sempre più massiccia al confine stanno aumentando la tensione, già alta, fra Russia e Norvegia.
Nelle scorse settimane Norvegia e Russia hanno dato vita a una serie di scambi di accuse, minacce più o meno velate e dichiarazioni dal tono belligerante da parte di alti ufficiali.
Per citarne solo alcune, all’inizio di febbraio, il Ministro russo per l’Artico Aleksei Chekunkov ha incontrato un gruppo di ufficiali che hanno combattuto al fronte in Donbass, in Ucraina, molti dei quali appartenenti alle forze speciali Spetsnaz, unità dronisti. Nell’occasione ha dichiarato che “Utilizzeremo la loro esperienza, che ora comprende non solo il servizio civile e militare, ma anche vere e proprie esperienze di battaglia, per lo sviluppo dell’Estremo Oriente e dell’Artico”. Allusioni che sanno di avvertimento.
Il 13 febbraio, invece, il vice primo ministro russo Yuri Trutnev, anche lui presente all’incontro con le forze speciali, ha inviato una non troppo velata intimidazione alla Norvegia riguardo alla sua gestione dell’arcipelago delle Svalbard. Trutnev, in un incontro della “Commissione governativa per la protezione della presenza russa a Spitsbergen”, ha segnalato che i diritti russi nell’arcipelago norvegese sono sotto pressione: “Nessuno dei diritti e dei benefici acquisiti dalla Russia può essere ridotto o violato. Non faremo un passo indietro”, ha sottolineato in apertura.
Dall’altro lato, non sono mancate risposte forti da parte delle autorità norvegesi. Già a fine gennaio il Ministro della Difesa Bjørn Arild Gram aveva dichiarato che le forze armate norvegesi devono essere preparate allo scoppio di un conflitto diretto con la Russia nei prossimi anni. La notizia della morte di Alexei Navalny, poi, ha suscitato un’ondata di sdegno e critiche nei confronti del regime di Putin, al punto che l’Ambasciatore russo è stato convocato dal Ministero degli esteri norvegese, che ha apertamente dichiarato di ritenere Putin responsabile della morte del dissidente russo.
Infine, il 24 febbraio, parlando per il secondo anniversario dallo scoppio della guerra in Ucraina, il segretario generale della NATO e due volte primo ministro norvegese Jens Stoltenberg ha dichiarato che “l’Ucraina non è mai stata così vicina ad entrare nella NATO”, confermandosi come una delle voci più intransigenti nei confronti della Federazione Russa.
Segnali chiari di una sempre più crescente tensione e logoramento dei rapporti, principalmente derivanti dalla guerra in Ucraina, ma che rischiano di fomentare un’escalation fra i due Paesi. Russia e Norvegia sono rivali da sempre, ma hanno sempre mantenuto i rapporti preferendo la cooperazione a un conflitto in cui nessuno avrebbe da vincere. Tuttavia, l’equilibrio precario sulla sovranità delle Svalbard e il sempre più acceso livello di scontro fra Russia e NATO sull’Ucraina rischiano di portare il conflitto a latitudini ben più alte di Kiev.
La disputa sulla sovranità delle Svalbard dura da quando l’arcipelago fu avvistato per la prima volta nel 1596 dall’esploratore olandese Willem Barents, divenendo presto sede di transito di compagnie commerciali inglesi, francesi, danesi e norvegesi dedite alla pesca e alla caccia delle balene. La versione russa di questa storia però va diversamente: a scoprire l’arcipelago, chiamato ancora Spitsbergen dai russi, sarebbero stati i pomory, coloni provenienti dalla Terra di Novgorod e dediti al commercio nei mari del Nord.
Ma a parte le affascinanti dispute storiografiche, in tempi più recenti il Trattato delle Svalbard del 1920 ha riconosciuto la sovranità norvegese sull’arcipelago, pur con una serie di limitazioni e la possibilità per i Paesi firmatari, fra cui la Russia, di condurre attività economiche e sfruttare le risorse naturali delle remote isole.
Sino allo scoppio della guerra in Ucraina i due Paesi avevano sostanzialmente gestito la disputa attraverso una serie di accordi e pratiche che hanno mantenuto un equilibrio grazie al reciproco interesse a evitare uno scontro.
Ma non è certo la prima volta che la Russia minaccia la Norvegia per la sua politica nell’arcipelago. In occasione del centenario del Trattato delle Svalbard nel 2020, il ministro degli Esteri Sergei Lavrov aveva insistito affinché Oslo si impegnasse in “consultazioni bilaterali” sulla gestione delle isole.
Al rifiuto del governo norvegese seguì un’offensiva informativa mirata da parte di Mosca, con diversi giornali e società di media russi che hanno pubblicato una serie di articoli dall’atteggiamento altamente negativo, in parte aggressivo, nei confronti delle autorità di Oslo. Il messaggio era che la Norvegia doveva conformarsi alle richieste russe alle Svalbard e che un’opposizione continuata avrebbe potuto avere gravi conseguenze. E questo accadeva in tempo “di pace”.
L’invasione della Russia ha poi cancellato decenni di fragile convivenza e cooperazione, gettando anche le basi per l’adesione alla NATO di Svezia e Finlandia, i “grandi assenti” fra gli scandinavi nell’alleanza atlantica, e marcando una cicatrice profonda nei rapporti bilaterali fra i due Paesi che condividono un confine di quasi 200km.
Nell’incontro sopra citato con i militari rientrati dal fronte, Trutnev ha paragonato la situazione delle Svalbard con quella dell’Ucraina orientale, sottolineando che “è tutta una questione di sovranità”. L’interesse russo per le Svalbard è da sempre legato allo sfruttamento delle risorse dell’arcipelago, nonché alla posizione strategica che le renderà sempre più importanti nell’ottica dello sviluppo della Northern Sea Route.
Infatti, questo arcipelago si trova di fronte alla penisola di Kola, principale sede della Northern Fleet, e, inoltre, rappresenta il canale privilegiato per monitorare la presenza della NATO nella regione artica, area che per la Russia è da sempre strategica sia economicamente che militarmente. Va notato, in questo contesto, come la 61a brigata di fanteria navale, i potenti “marines” della flotta del Nord, sia denominata “Brigata Kirkenes” a causa del suo impegno nell’espulsione delle truppe naziste tedesche dalla città di confine norvegese di Kirkenes nell’ottobre 1944. E proprio a capo di questa brigata è stato nominato da poco Roman Fyodorov, reduce dal fronte in Donbass dove si è guadagnato una medaglia di “Eroe della Russia” e insediatosi con dichiarazioni tutt’altro che collaborative verso la Norvegia.
Non a caso, all’incontro con Trutnev della scorsa settimana era presente anche Ildar Neverov, direttore della compagnia statale Arktikugol, che possiede le miniere di carbone russe sull’isola di Spitzbergen e gestisce l’insediamento e i suoi circa 400 abitanti. Nel maggio 2023, Neverov, insieme al locale consolato generale russo, aveva organizzato parate militaristiche negli insediamenti di Barentsburg e Pyramiden. Più tardi, nello stesso anno, Neverov invitò il celebre vescovo Iakov a erigere una grande croce ortodossa sulla collina sopra Pyramiden, senza chiedere il permesso alle autorità norvegesi.
Lo stesso Neverov, il mese scorso, ha poi firmato un accordo di collaborazione fra Arktikugol e l’Istituto per le relazioni internazionali di Mosca con l’obiettivo di favorire lo scambio di competenze per la formazione di esperti, in particolare nel campo del commercio internazionale e della logistica.
Trutnev ha poi alluso alla crisi profonda del Consiglio Artico, da cui la Russia è stata estromessa con l’invasione del Donbass: “Credo che tutti i presenti capiscano bene che questo non è il momento migliore per lo sviluppo della cooperazione internazionale. Probabilmente, l’umanità sta entrando in una fase di conflitto più profondo”.
Nelle ultime settimane le alte cariche politiche e militari norvegesi si sono espresse in modo significativo: “Le forze militari russe rimangono la dimensione principale delle minacce militari contro la sovranità, il territorio, le istituzioni e le infrastrutture della società centrale norvegese”, si legge rapporto annuale del Servizio di intelligence militare norvegese, presentato dal ministro della Difesa Bjørn Arild Gram in persona.
“I vasti oleodotti e gasdotti sottomarini e le infrastrutture Internet della Norvegia sono un obiettivo chiave delle attività russe” si legge nel rapporto. Secondo il rapporto, la flotta settentrionale russa ha capacità in acque profonde che rappresentano una seria minaccia per le infrastrutture sottomarine occidentali. “La Russia ha mappato per diversi anni le infrastrutture petrolifere e del gas della Norvegia, e questo tipo di mappatura può avere significato in una situazione di conflitto”.
“La Russia continuerà a costruire infrastrutture militari e a testare nuovi sistemi d’arma nelle nostre immediate vicinanze. A breve termine, tuttavia, la Russia non rappresenta una minaccia militare convenzionale“, ha affermato il capo dei servizi segreti norvegesi, Nils Andreas Stensønes.
Per ciò che riguarda la dimensione “non convenzionale”, invece, i russi si dimostrano già molto attivi con azioni continue di interferenza dei segnali GPS che negli ultimi giorni hanno raggiunti livelli mai visti: nell’estremo nord, l’Autorità norvegese per le comunicazioni ha affermato di aver ricevuto circa 44 azioni di interferenza alla navigazione GPS nel 2024, ovvero praticamente ogni giorno.
Notizia degli ultimi giorni, ma non certo una novità, è invece l’arresto di un uomo russo che fotografava un sito militare norvegese nei pressi di Kirkenes. La cittadina di confine non è nuova a episodi del genere al punto che era recentemente assurta alle cronache come “la città dove chiunque può essere una spia”.
A provare ad abbassare i toni è stato invece il primo ministro norvegese Jonas Gahr Støre, che all’evento “Arctic Frontiers” di Tromsø ha espresso il proprio pensiero sul futuro del Consiglio Artico, attualmente “ibernato”: “Non dovremmo chiudere quelle porte e buttare via le chiavi. Un giorno potrebbero essere riaperte, e saremo di nuovo tutti attorno a quel tavolo artico”, ha detto dal palco di Tromsø.
La scorsa settimana, invece, Støre ha voluto rassicurare i concittadini dal palco della conferenza di Kirkenes incentrata sulla sicurezza. Nella sua quinta visita nell’Alto Nord dall’inizio dell’anno, non per coincidenza, il primo ministro ha affermato che “la Norvegia è al sicuro”.
Støre, del resto, è stato a Kirkenes in numerose occasioni precedenti, molte delle quali insieme al ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov, in quanto ricopriva la stessa carica nel governo di Jens Stoltenberg. Negli anni precedenti al 2010, i due uomini furono determinanti nei negoziati sulla delimitazione di un’area contesa nel Mare di Barents, un altro argomento di disputa eterna fra Norvegia e Russia.
A gettare acqua sul fuoco dal lato russo, su questo punto, è stato proprio Lavrov, che la scorsa settimana ha negato di voler modificare gli accordi sui confini marittimi, almeno per il momento. Interrogato da un membro della Duma se fosse giunta l’ora di riconsiderare la risoluzione degli accordi della Russia con la Norvegia e gli Stati Uniti sulla delimitazione marittima rispettivamente nel Mare di Barents e nel Mare di Bering, ha risposto “Bisogna guardare al quadro generale: questi accordi sono stati stipulati a determinate condizioni e, che ci piaccia o no, sono ancora validi. L’accordo con la Norvegia è stato ratificato, e quello con gli americani è in vigore mediante accordo e viene pienamente implementato.”
Parole di misura e prudenza, in un contesto complessivo di rapporti bilaterali che ha raggiunto il minimo storico, fra accuse, minacce e azioni militari più o meno convenzionali. Russia e Norvegia hanno convissuto preferendo la pace a uno scontro che non avrebbe vincitori, a rigor di logica. Ma la logica, purtroppo, pare aver abbandonato da un po’ le relazioni internazionali.
Enrico Peschiera
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