Uno studio pubblicato su Nature ha rivelato che lo scioglimento dei ghiacci in Groenlandia e Antartide sta rallentando la rotazione terrestre al punto da influenzare il sistema globale di misurazione del tempo, rimandando così interventi complessi. L’accelerazione di un problema che fa guadagnare tempo per risolverne un altro. Ironia della sorte.
Le asimmetrie del tempo globale
I sistemi di misurazione vengono internalizzati dalle società che ne fanno uso al punto da diventare invisibili. Pure convenzioni percepite come leggi immutabili della natura, indiscusse, con l’eccezione di chi si preoccupa di calibrarle. Tra tutti, la misurazione del tempo è probabilmente il sistema più connaturato alla società contemporanea. Eppure, nasconde decisioni e accordi che generano non pochi grattacapi.
Storicamente il timekeeping globale è stato allineato alla rotazione della Terra. Nel 1967 si decise di associare la definizione internazionale del secondo alla transizione quantistica tra due stati di un atomo di cesio. Un riferimento estremamente più preciso dei movimenti del globo. Il risultato fu la duplicazione del sistema di riferimento: da un lato il tempo coordinato universale (UTC) misurato da centinaia di orologi atomici, che permise tra l’altro lo sviluppo della navigazione satellitare; e dall’altro, il tempo universale (UT1), romanticamente ancorato alla rotazione terrestre e alla navigazione astronomica.
Questi due “tempi” vengono allineati artificialmente. La fluttuazione della rotazione del Pianeta costringe il tempo coordinato universale a dei ritocchi occasionali. Ogni volta che la discrepanza tra i due standard si avvicina a un secondo intero, infatti, viene aggiunto all’UTC quello che si definisce un “secondo intercalare”. Dal 1972 questo è successo 27 volte, quasi una volta ogni 2 anni.
Un equilibrio delicato e lo scioglimento dei ghiacci
Potrebbe sembrare che questi interventi di allineamento siano innocui, ma non è proprio così. L’aggiunta di un secondo intercalare può avere effetti gravi sull’infrastruttura informatica globale. I metrologi ne discutono da vent’anni. E no, non è un errore ortografico, ma una vera professione che potremmo soprannominare “custode del tempo” con una certa licenza poetica. I metrologi, ecco, hanno proposto di aumentare la tolleranza di asimmetria per evitare aggiustamenti troppo frequenti.
Nel 2022 la Conferenza Generale dei Pesi e delle Misure (CGPM) ha accolto questa proposta e stabilito che entro il 2035 la tolleranza verrà alzata oltre il secondo. Per i dettagli si rimanda alla prossima riunione del CGPM del 2026.
Il fatto è che ora si presenta un problema del tutto nuovo. A causa di alcuni processi geofisici, la rotazione terrestre sta gradualmente diventando più veloce del tempo scandito dagli orologi atomici. Questo significa che entro il 2029 potrebbe essere necessario intervenire in senso opposto, una cosa che ad oggi non è stata nemmeno testata. Dove si aggiungeva, togliere. Sopperire a una discontinuità negativa, con tutti i rischi che ne conseguono, e anticipare quindi le discussioni rimandate al prossimo decennio.
Suona assurdo, ma in questo caso lo scioglimento delle calotte glaciali di Groenlandia e Antartide viene in aiuto. In uno studio pubblicato sulla rivista scientifica Nature, Duncan Carr Agnew ha dimostrato che l’accelerazione dello scioglimento di questi immensi volumi di ghiaccio, misurata dalla gravità satellitare, ha diminuito la velocità angolare della Terra più rapidamente di prima. La massa – passata da solida a liquida – si sposta dai poli a latitudini più basse, frenando l’accelerazione e rimandando l’eventualità di una discontinuità negativa.
Se le emissioni di gas a effetto serra derivate dalle attività umane non avessero velocizzato la scomparsa delle calotte avremmo solo 2 anni – entro il 2026 – per preparare i nostri sistemi a questa modifica senza precedenti. Che fortuna, vero?
L’impronta umana sul tempo
L’impatto delle attività umane sull’ambiente è tanto variegato quanto ormai innegabile. In forme crudelmente dirette come l’abbattimento di migliaia di ettari di foresta e lo svuotamento delle montagne. In forme meno visibili, e tuttavia letali, come l’inquinamento perenne delle falde acquifere e l’emissione di gas che alterano il sistema climatico.
Questo impatto ha assunto capillarità e profondità tali da suggerire che si possa scientificamente definire il passaggio ad una nuova epoca, l’Antropocene, in cui l’uomo è diventato a tutti gli effetti una forza geologica. Un gruppo di ricercatori costituenti il cosiddetto Anthropocene Working Group ha perfino localizzato questo passaggio – nello spazio e nel tempo. La loro proposta è stata bocciata, non perché l’intuizione di un impatto geologico dell’uomo sul Pianeta non sia ritenuta valida, ma perché non si è riusciti a mettersi d’accordo sulla data.
Il concetto
Al di là delle controversie tra geologi, il concetto di Antropocene “rimarrà un prezioso descrittore dell’impatto umano sul sistema terrestre” secondo l’Unione Internazionale delle Scienze Geologiche. La scoperta di Agnew sembra portare questa intuizione da un livello geologico a uno mitologico. La dipendenza fossile della società contemporanea influisce sulla rotazione terrestre, e con essa sul tempo.
Se per i delegati della Conferenza Generale dei Pesi e delle Misure questa è in parte una buona notizia, si tratta solo di guadagnare tempo. Il problema dell’aggiustamento dell’UTC dovrà essere comunque affrontato. Quello del cambiamento climatico dovrebbe essere già in cima alla nostra agenda.
Speriamo di non arrivare tardi.
Annalisa Gozzi
Osservatorio Artico © Tutti i diritti riservati