Incendi, surriscaldamento e catastrofi ambientali. Un mix letale per l’Artico in queste prime settimane di estate. Il copione degli ultimi anni si ripete, e assume nuove e più tragiche proporzioni.
La Siberia è la zona più colpita dall’aumento delle temperature. Già nelle scorse settimane l’area settentrionale della Federazione Russa era stata l’epicentro della grande ondata di afa, con temperature record nell’Artico.
Chatanga, un piccolo insediamento nella parte settentrionale del Territorio di Krasnojarsk, a Nord del Circolo Polare Artico, si era guadagnato addirittura un posto in prima pagina sui quotidiani di tutto il mondo. A fronte di una temperatura media di -12,4°, con punte di -35° durante febbraio, la cittadina russa aveva fatto registrare un più mediterraneo 25,4°.
Anche giugno ha fatto registrare nuove temperature record, con ben 5 gradi Celsius al di sopra del normale. In alcune aree sono addirittura 10 i gradi superiori alla media. La situazione ambientale è resa ancora più grave dal recente sversamento di carburante vicino la città di Noril’sk, ma oltre a questi due fattori va purtroppo evidenziato anche il ritorno degli incendi.
Gli scienziati del programma europeo Copernicus lanciano l’ennesimo ultimatum alla comunità internazionale perché si intervenga in maniera coordinata sulla preservazione ambientale dell’Artico, ma al momento l’Artico è in fiamme.
Carlo Buontempo, Direttore del Copernicus Climate Change Service, dichiara che la situazione è preoccupante. Gli scienziati del programma europeo affermano che la regione starebbe vivendo un aumento di 1 grado in più rispetto ai due precedenti giugno-record mai registrati. Ovvero il 2018 e il 2019.
Tre anni consecutivi di temperature record nell’Artico, una tendenza scioccante se consideriamo il tempo medio di aumento di questi trend. Nella città siberiana di Verkhoyansk sarebbero stati raggiunti 38° gradi lo scorso 20 giugno, con un aumento di circa 18° gradi rispetto alla temperatura media giornaliera massima mensile.
Secondo il comunicato stampa emesso dal C3S:
…la Siberia è vasta e, molti chilometri più a nord-est, il dataset C3S ERA5 ha registrato un’ondata di calore durante la seconda metà del mese che ha portato le temperature medie di giugno in alcune parti della Siberia artica a ben 10° C al di sopra del normale. Inoltre, la temperatura media mensile su tutta l’area è stata superiore di oltre 5° C rispetto al solito, il che infrange il record per i due due giugno più caldi, il 2018 e il 2019, di oltre un grado.
L’Artico nel suo complesso si è riscaldato in modo sostanzialmente più veloce rispetto al resto del mondo. Questo fenomeno – chiamato “amplificazione dell’Artico” – può essere spiegato in parte dai meccanismi di feedback associati alla copertura di neve e ghiaccio, per cui un riscaldamento iniziale provoca un aumento della velocità di fusione, che a sua volta aumenta ulteriormente il riscaldamento. Inoltre, la Siberia è abituata alle temperature estreme, poiché subisce il più grande sbalzo stagionale di temperatura in qualsiasi parte del pianeta.
La variazione massima media della temperatura è di poco superiore ai 60° C, da circa -40 ° C a gennaio a circa 20° C a luglio, a latitudini vicine a 60 ° N. Questa regione sta quindi vivendo una chiara tendenza al riscaldamento con temperature record nell’Artico, che si estende per diversi decenni ed è anche soggetta a forti variazioni di temperatura.
C3S è uno dei sei servizi di informazione tematica forniti dal Copernicus Earth Observation Programme dell’Unione Europea. C3S lavora sulla ricerca sul clima condotta nell’ambito del World Climate Research Program (WCRP) e risponde ai requisiti degli utenti definiti dal Global Climate Observing System (GCOS).
Lo scorso anno la Siberia ha dovuto affrontare la peggiore crisi ambientale degli ultimi decenni. Un rogo immenso ha divorato circa 3 milioni di ettari di terreno: un’area grande come il Belgio. Gli incendi sono proseguiti per circa un mese e mezzo, fino alla fine dell’estate, quando solo la neve pareva essere riuscita a sopire l’immenso braciere.
Tuttavia, alcuni scienziati avevano ipotizzato nelle scorse settimane che potessero esserci alcuni “incendi-zombie” nella regione, ovvero che il calore di quel rogo fosse talmente potente da potersi essere mantenuto sotto la coltre di neve. All’inizio di giugno 2020 sono ripresi alcuni focolai lungo il fiume Lena, sempre in Siberia. Alimentando anche le temperature record nell’Artico.
Gli incendi, al momento, sono concentrati nella Repubblica di Sakha e nell’Oblast autonomo di Chukotka, oltre che in alcune parti dell’Alaska e dello Yukon nello specifico. Negli ultimi dieci giorni le fiamme sono divampate rilasciando nell’atmosfera terrestre più gas inquinanti rispetto a qualsiasi altro mese. Gli incendi nell’Artico hanno già rilasciato 59 milioni di tonnellate di anidride carbonica, un elemento in più per il tremendo circolo vizioso del clima Artico.
Leonardo Parigi
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