L’ennesima provocazione di Mosca dimostra ancora una volta la sua intenzione di mantenere un controllo simbolico sull’arcipelago norvegese.
Abbiamo ormai capito l’importanza dell’arcipelago delle Svalbard per la Federazione Russa e per il suo governo, e abbiamo già parlato di varie delle azioni provocatorie messe in campo da Mosca in questa arena. Dalle parate in stile militare all’erezione di croci ortodosse monumentali su Spitsbergen, la Russia continua a voler dimostrare il suo dominio sull’arcipelago artico sul quale, secondo il diritto internazionale, la Norvegia ha però piena e assoluta sovranità.
Alla fine di giugno sono comparse varie nuove bandiere in giro per le Svalbard, avvistate nelle cittadine russe di Piramida e Barentsburg. Non bandiere della Russia, bensì dell’Unione Sovietica: rosse, gagliarde, con tanto di falce e martello dorato. Una di queste svetta sopra la città fantasma di Piramida, e misura cinque ragguardevoli metri per tre. Sottolineando ancora una volta la questione della sovranità norvegese, i colleghi del Barents Observer precisano che sull’arcipelago non esiste una sola bandiera norvegese di tali dimensioni.
La bandiera che ora sventola sulla vetta del monte Piramide, che dà il nome alla cittadina situata ai suoi piedi, è stata issata personalmente da Il’dar Neverov, il direttore generale di Arktikugol, la compagnia mineraria russa diretta emanazione del Cremlino in questo remoto angolo di mondo, dopo una scarpinata di quattro ore.
Queste azioni, di piccola entità, che spesso passano sotto silenzio al di fuori dei circoli degli addetti ai lavori, sono provocazioni che comunque mostrano l’interesse della Russia per il territorio delle Svalbard. Isole dalle grandi potenzialità strategiche ed economiche, e che mirano a innervosire la sovrana Norvegia usando strumenti poco convenzionali quali la propaganda o la religione.
Questi sono segnali di una potenziale crescente tensione anche nell’arcipelago dove, con la scusa delle miniere di carbone, Mosca continua a mantenere una presenza di diverse centinaia di cittadini e varie attività economiche. L’innalzamento della bandiera sovietica può essere interpretato non solo come una provocazione, ma come un tentativo di sfruttare la nostalgia per l’era sovietica, un grande cavallo di battaglia della Russia e del Presidente Putin.
Com’è noto, Putin considera la fine dell’Unione Sovietica come “la peggiore catastrofe geopolitica del XX secolo” e vuole unire la Russia moderna alla “grande Unione Sovietica”, mostrando una continuità tra le due entità politiche.
Oltre all’aspetto storico e nostalgico, la Russia sta chiaramente investendo in una narrativa di presenza storica continua specificamente nell’Artico. Questo serve e servirà a legittimare le sue rivendicazioni e azioni nella regione, presenti e future. Le manovre russe alle Svalbard, soprattutto quelle a carattere prettamente propagandistico, possono essere viste come una forma di soft power, che postula l’utilizzo di simboli culturali e religiosi per affermare l’influenza nazionale.
Questo approccio è più efficace e meno rischioso rispetto alle azioni militari dirette (secondo il Trattato delle Svalbard, poi, sull’arcipelago nessuno può svolgere alcuna attività militare, neanche la Norvegia stessa).
Questi eventi acquisiscono un’importanza ancora maggiore in questo delicato periodo storico. La Russia mantiene una presenza più che stabile sul territorio di uno Stato membro della NATO, con lo scopo di creare fastidio e nervosismo tanto alla padrona di casa quanto all’alleanza di cui ora fa parte. Tutto questo subdolamente, senza esporsi troppo.
L’abbiamo sempre detto ma lo vogliamo ripetere: le Svalbard sono la finestra più importante tramite la quale la Russia artica guarda il mondo e tramite la quale vuole che il mondo la guardi nell’Estremo Nord.
Tommaso Bontempi
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