Gli attacchi degli Huthi minacciano il passaggio del Mar Rosso, facendo appena intravedere un’utile opportunità nell’Artico. La lenta evoluzione della NSR mette però alla prova le ambizioni russe.
Nel momento in cui scriviamo, la temperatura a Suez si attesta intorno ai 20 gradi centigradi. In contrasto, a Sabetta se ne registrano circa meno 30. Due città agli antipodi, diverse non solo dal punto di vista geografico ma anche in termini di dimensioni, cultura, clima. Nonostante le differenze, però, entrambe sono accomunate da un elemento fondamentale: sono situate lungo una rotta marittima di importanza internazionale.
Certo, il Canale di Suez riveste un’importanza ben maggiore per l’economia mondiale rispetto alla Northern Sea Route. Non è tuttavia in virtù di questa sua rilevanza che la via d’acqua che collega il Mar Rosso – e quindi l’Africa e l’Asia – al Mediterraneo si è guadagnata da diversi mesi una posizione di spicco nelle cronache globali.
Sì, perché gli Huthi, un tempo una sgangherata milizia nata in Yemen (Oggi però maggioranza, soprattutto nella parte settentrionale del Paese), e da sempre supportata dall’Iran nel suo storico confronto con l’Arabia Saudita, hanno iniziato ad attaccare le navi che transitano dal Canale sin dal mese di novembre.
Con azioni assimilabili alla pirateria, attacchi missilistici e attraverso l’impiego di droni, gli Huthi hanno seminato il caos nel Mar Rosso, complicando molto il transito sicuro per le centinaia di navi cargo che attraversano la zona in ogni periodo dell’anno.
Nonostante l’avvio di una missione navale da parte di una coalizione internazionale guidata dagli Stati Uniti e dal Regno Unito, e partecipata anche dall’Italia, le azioni intraprese finora non sono riuscite ad eliminare la minaccia. Di conseguenza, il traffico navale è stato costretto a spostarsi verso sud. Molto a sud.
E, come è facile capire, la circumnavigazione dell’Africa ha comportato notevoli ritardi e costi aggiuntivi per le navi, con danni stimati, soltanto per l’economia italiana, di circa 95 milioni di euro al giorno a partire dall’inizio della crisi. Ed è qui che entra in gioco la fredda Sabetta, almeno secondo le speranze di Mosca.
Nel corso dell’anno 2023 sono state spedite 36,254 milioni di tonnellate di merci lungo la NSR. Il governo russo ha accolto la notizia con entusiasmo e Rosatom, la compagnia statale per l’energia nucleare incaricata dello sviluppo della rotta, ha celebrato questo come uno “storico record”.
Record che, tuttavia, non tiene conto dell’abbassamento degli obiettivi russi stabiliti diversi anni fa. La guerra in Ucraina e, quindi, le sanzioni imposte alla Russia, hanno infatti influenzato pesantemente il volume delle merci spedite, nonostante il prezioso sostegno della Cina come partner commerciale.
Passare attraverso l’Artico piuttosto che dal Capo di Buona Speranza sarebbe vantaggioso per tutti, dalla Russia alle compagnie di spedizione, soprattutto a causa dei tempi di percorrenza ridotti per le merci lungo la rotta settentrionale. Questo, naturalmente, se la rotta fosse fisicamente praticabile e dotata di un’infrastruttura adeguata, da sempre al centro dei piani del Cremlino.
I grandi proclami sia del governo sia delle principali compagnie estrattive e di lavorazione delle risorse naturali dell’Artico, insieme alla grande abbondanza di queste, continuano a sottolineare la convenienza e la fattibilità della NSR. Tuttavia, nonostante i titanici investimenti finora messi in campo, sembra che i progetti di sviluppo delle infrastrutture e della flotta delle rompighiaccio procedano lentamente.
La definitiva affermazione della NSR ha da sempre dovuto tenere conto delle ovvie sfide logistiche ma, ora più che mai, è in balia degli avvenimenti politici internazionali che possono tanto accelerarla quanto, bruscamente e inesorabilmente, frenarla.
Tommaso Bontempi
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