Può apparire bizzarro, ma l’Italia ha un piede nell’Artico. Non geograficamente, certo, ma il nostro Paese non è l’ultimo arrivato nella regione polare. La strategia dell’Italia per l’Artico è parte del dossier congiunto IARI-Osservatorio Artico “La corsa per il Grande Nord“, scaricabile gratuitamente qui: DOSSIER.
La lunga storia che lega l’Italia alle più alte latitudini del mondo parte a fine Ottocento, con la spedizione del 1899 del Duca degli Abruzzi a bordo della Stella Polare. E come non citare l’impresa di Umberto Nobile, che prima di schiantarsi sulla banchisa con il dirigibile Italia nel 1928 era riuscito a sorvolare il Polo Nord insieme a Roald Amundsen nel 1926.
Anche nei decenni successivi l’Italia vanta esploratori e geografi interessati a ciò che esiste oltre il Circolo Polare Artico. Nel 1997 arriva anche l’inaugurazione della Stazione Artica Dirigibile Italia, presso Ny-Ålesund, nell’arcipelago norvegese delle Isole Svalbard. La base, guidata dal CNR, rappresenta un avamposto scientifico importante per la ricerca climatica e meteorologica, e non solo. L’Italia ha adottato nel 2015 anche “La strategia dell’Italia per l’Artico“, poi rivista successivamente, che rappresenta un primo documento centrale per il nostro Paese nella regione.
Venti anni dopo l’inaugurazione della base, Roma ha deciso anche di riprendere le antiche esplorazioni artiche grazie al programma della missione “High North”, che ogni anno dal 2017 manda in Artico la Nave Alliance. A bordo della stessa, decine di ricercatori, scienziati e personale della Marina Militare svolgono ricerche oceanografiche, rilevazioni batimetriche e biologiche, portando il nostro Paese direttamente al Polo.
Dal sito della Marina Militare: “Il programma di ricerca High North, è stato proposto nel triennio 2017-2019 quale strumento di supporto alla Comunità scientifica nazionale ed internazionale nello studio del settore marino delle isole Svalbard e dell’Oceano Artico in relazione ai cambiamenti globali.
Si tratta di un’attività resa possibile grazie al ruolo attivo svolto dalla Marina Militare attraverso l’Istituto Idrografico della Marina quale “National marine focal point for the Arctic research activities“, che ha visto la Marina Militare, presente su molteplici tavoli tecnici specialistici internazionali. Il programma è stato ripianificato a inizio 2020 per un nuovo triennio di spedizioni nell’Artico.
High North si focalizza particolarmente sull’esplorazione e continuità nel tempo e nello spazio delle osservazioni dell’ambiente marino con attività di sperimentazione di nuove tecnologie di sistemi multipiattaforma che sono preziosa fonte di informazione per la conoscenza, lo sviluppo, la sostenibilità e la tutela ambientale.
I cambiamenti climatici ed il riscaldamento globale rappresentano una importante sfida, e in tale contesto l’Artico riveste un ruolo fondamentale per le sue caratteristiche di “motore” del clima del pianeta. La Marina Militare e l’Istituto Idrografico, con esperienza, capacità e specificità, sono espressione concreta di una maturità triennale del programma High North e si pongono quale centro di eccellenza nello studio dei mari rivolgendo l’attenzione ad attività di studio e ricerca a supporto della “crescita blu” del nostro Paese, nonché focal point nella ricerca marina in Artico.
A livello prettamente diplomatico, l’Italia vanta ottimi rapporti nella regione anche grazie al suo status di Osservatore Permanente dell’Arctic Council dal 2013. La partecipazione al forum, che rappresenta l’organizzazione internazionale più influente in ambito regionale, significa anche ottenere un peso specifico importante per l’Italia.
Nel 2015 il Ministero degli Affari Esteri ha pubblicato una prima Strategia per l’Artico, poi rivista l’anno seguente, in cui si riflettono le principali attività in essere di Roma.
“Nel maggio del 2013, in occasione del vertice ministeriale di Kiruna del Consiglio Artico, l’Italia è stata ammessa in qualità di osservatore, quale riconoscimento della considerevole attività svolta da tempo nella regione, sia a livello scientifico – ad esempio con la realizzazione di importanti piattaforme osservative a Ny Ålesund come la Amundsen-Nobile Climate Change Tower (CCT)7 e con le attività di ricerca e le spedizioni oceanografiche nei mari artici – che economico, con gli investimenti dell’Eni, impegnata, oltre che in programmi di estrazione in Norvegia e in Russia, anche in apprezzati progetti per il miglioramento delle condizioni di sicurezza dei trasporti marittimi (oilspill), la riduzione dell’impatto ambientale e la tutela delle comunità indigene, in un ecosistema in piena evoluzione a seguito del fenomeno del riscaldamento globale.
Gli interessi principali dell’Italia nell’Artico riguardano la ricerca scientifica, meteorologica e climatica, ma anche un accreditamento internazionale in un’area geograficamente distante, eppure direttamente connessa con i nostri interessi. Basti pensare alla questione delle rotte marittime che potrebbero aprirsi in concomitanza di un reale scioglimento dei ghiacci perenni.
La rotta che andrebbe ad attraversare le gelide acque a Nord della Federazione Russa, infatti, sarebbe estremamente vantaggiosa per lo shipping mondiale, per il commercio asiatico e per tutti gli attori pubblici e privati coinvolti. Ma andrebbe a tagliare buona parte del commercio globale che sfrutta le rotte classiche, ovvero quelle che portano le nostre merci in Asia, e viceversa, passando per Suez. E quindi partendo e arrivando direttamente nei porti italiani.
Questo è solo uno degli aspetti che andrebbero a intaccare direttamente l’Italia nel caso in cui la regione polare si sviluppasse così come viene previsto oggi. Allo stesso tempo va considerato che la strategia dell’Italia per l’Artico viene veicolata anche attraverso le compagnie nazionali d’élite.
Pensiamo a ENI, che in Artico ha creato e gestisce Goliat (“La piattaforma è la più grande unità galleggiante di produzione di olio e stoccaggio cilindrica al mondo, costruita per affrontare l’Artico”, dice trionfalmente il sito della società energetica italiana). A Saipem, che lo scorso agosto ha firmato un accordo con Technip France SA e NIPIgaspererabotka per partecipare alla Joint Venture per la realizzazione del progetto Arctic LNG2.
O a LEONARDO, che sempre nel 2019 ha partecipato – unica azienda del settore – al progetto europeo ARCSAR Network, che ha come obiettivo quello di occuparsi della regione artica e Nord-Atlantica (ANA) dal punto di vista della della sicurezza in conseguenza dall’aumento dell’attività commerciale nella regione.
La stessa Leonardo poi ha già fornito 16 esemplari di AW101 nel 2013 al governo norvegese, aprendo anche un centro di addestramento elicotteristico nel 2017 proprio in Norvegia. Consideriamo inoltre che gli interessi economici italiani nella regione possono anche esprimersi in “servizi” e “competenze”. Ad esempio, supportando la costruzione delle nuove infrastrutture necessarie al prossimo sviluppo dell’area (porti, autostrade, ospedali), o attraverso competenze specifiche (ingegneria, settore energetico, comparto marittimo e logistico).
L’ingresso del nostro Paese nell’Arctic Council significa anche ottenere influenza su processi che altrimenti sarebbero di esclusiva pertinenza degli attori regionali. Ma lo sfruttamento delle riserve di idrocarburi, la pesca, la ricerca scientifica e una attiva partecipazione italiana anche in chiave di Difesa, sono tutti fattori che aiutano l’Italia ad accrescere il proprio “peso”.
Pur così lontanamente da Roma. L’attuale coordinamento della strategia dell’Italia per l’Artico è affidato al “Tavolo Artico”, presieduto dall’Inviato Speciale per l’Artico, il Ministro Carmine Robustelli. Il gruppo è composto da 25 membri, che provengono sia dal mondo istituzionale sia da quello accademico e aziendale. Uno strumento snello in grado di dare indicazioni politiche sulla visione complessiva nazionale, almeno in questa fase.
Leonardo Parigi
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