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L’impresa della Stazione Polare Tara 

Dopo oltre due decenni di esperienza nell’esplorazione e nella ricerca marina, la fondazione francese Tara Océan si è lanciata in un’impresa senza precedenti. La Stazione Polare Tara permetterà di studiare gli ecosistemi e il clima dell’Oceano Artico in tutte le stagioni. Ne abbiamo parlato con il direttore esecutivo della Fondazione, Romain Troublé. 

Una stazione alla deriva con impatto (quasi) zero

Il cantiere della Stazione Polare Tara è stato inaugurato nell’aprile 2023 a Cherbourg, nel nord della Francia, ed affidato ai tecnici esperti della Constructions Mécaniques de Normandie (CMN). Il progetto porta la firma di Olivier Petit, già coinvolto nel disegno dell’iconica goélette Tara, l’eroina della Fondazione messa in acqua nel 2003 e protagonista di una deriva artica nel 2006. 

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Modello 3D della Stazione Polare Tara © Fondation Tara Océan

La progettazione della Stazione Polare Tara rappresenta un salto in termini di ambizione e di complessità. Si è dovuto fare i conti con vincoli di diversa natura. I vincoli fisici del contesto artico – come la pressione del ghiaccio e le temperature proibitive della notte polare (da -20°C fino a -52°C), i vincoli normativi relativi alla sicurezza imposti dal Codice Polare dell’Organizzazione Marittima Internazionale (IMO), e naturalmente i vincoli finanziari – per contenere i costi di costruzione e di mantenimento annuale in un range sostenibile.   

Non solo. La ricerca artica si scontra anche con dei vincoli ambientali

Bisogna riuscire a studiare gli impatti della crisi climatica ulteriormente amplificati in questa regione del mondo – senza contribuirvi nel processo. “Abbiamo voluto fare un progetto piccolo e ristretto in termini di capacità di persone a bordo per avere un’impronta umana piuttosto bassa”, racconta Romain Troublé, direttore esecutivo di Tara Océan. Sono state adottate diverse misure per assicurare una gestione ottimale dei rifiuti, il corretto trattamento delle acque nere e la riduzione dell’inquinamento luminoso.  

Avremo un impatto, è ovvio”, chiarisce Troublé, “ma abbiamo fatto tutto il possibile per minimizzarlo.” 

L’essenziale è invisibile agli occhi, ma non ai microscopi

Nel 2026 la Stazione Polare Tara ospiterà la prima di dieci spedizioni della durata di circa 18 mesi ciascuna in cui saranno coinvolti scienziati ed esperti da tutto il mondo. Tra i principali assi di ricerca che si esploreranno a bordo ci sono la biodiversità, la migrazione degli organismi verso nuove latitudini e la loro evoluzione, l’adattamento della vita in condizioni estreme e, naturalmente, il fil rouge del cambiamento climatico

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© Fondation Tara Océan

La diversità biologica in particolare quella invisibile all’occhio umano come virus, batteri e fitoplancton – è un campo di ricerca prioritario nelle attività della Fondazione Tara Océan in tutto il mondo. Nell’Artico, se possibile, ancora di più. Gli ecosistemi simpagici (quelli che si sviluppano nel ghiaccio) ospitano forme di vita in grado di adattarsi a condizioni estreme, un patrimonio genetico inestimabile che rischia di scomparire nel corso dei prossimi vent’anni a causa dello scioglimento della sua casa. 

La biodiversità artica è importante per gli stock di biomasse, per estendere la moratoria sulla pesca nell’Oceano Artico, è importante di per sé perché è unica”, afferma Romain Troublé.

Eppure, ad oggi questa incredibile diversità è largamente sconosciuta, oltre che in pericolo. 

Secondo il direttore esecutivo di Tara Océan il problema è che per studiarla “bisogna restare”. Raramente le imbarcazioni che si spingono nell’artico stazionano abbastanza a lungo da consentire campionamenti e studi come quelli che si effettueranno a bordo della Stazione Tara. “Nemmeno MOSAiC (missione ambiziosa durata circa un anno, n.d.r), che era focalizzata sulla fisica atmosferica, lo ha fatto su questa scala”, afferma Romain Troublé, “questo progetto è unico nel suo genere perché consentirà agli scienziati di restare sul posto”.  

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Mappa dell’Oceano Artico. La freccia arancione mostra la traiettoria prevista della banchisa, e quindi della Stazione Polare Tara. © Fondation Tara Océan

La deriva della stazione, che resterà bloccata nel ghiaccio per il 90% del tempo, seguirà quella della banchisa per circa due decenni, consentendo agli scienziati di studiare la biodiversità artica, nonché la sua interazione con l’atmosfera durante il gelo, la notte polare e il disgelo. 

Una sinergia tra pubblico e privato

Questo progetto così ambizioso ha richiesto un intero decennio per essere concepito e un’incredibile sinergia di soggetti pubblici e privati per essere sviluppato. La ricerca di partner e sponsor è ancora aperta.  

Oltre ad alcuni importanti partner privati, il progetto beneficia del cofinanziamento dello stato francese nell’ambito del piano di investimento France 2030 e dei fondi stanziati per il paese dal programma europeo Next Generation EU. Il massiccio sostegno statale rientra nell’ambizioso obiettivo della prima Strategia Polare nazionale di equilibrare l’investimento e la presenza francese tra i due poli.  

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Il cantiere della Stazione Polare Tara a Cherbourg, Normandia. © Fondation Tara Océan

Sul piano tecnico i tre partner principali al fianco della Fondazione Tara Océan sono il CNRS, l’Università Laval attraverso il laboratorio Takuvik e l’Università del Maine. In tutto, però, sono una trentina i laboratori a essere coinvolti nell’elaborazione della strategia scientifica da dodici paesi diversi. 

Inizialmente il progetto prevedeva un’importante cooperazione anche con la Russia, interrotta a seguito dello scoppio del conflitto in Ucraina. “Abbiamo lanciato in tempo di pace e costruito in tempo di guerra, vedremo cosa succederà”, dichiara Romain Troublé sottolineando che al di là della questione russa, la cooperazione nella regione è in ottima salute. 

Il lavoro condotto a bordo della Stazione Polare Tara andrà a sua volta a rafforzare tale coordinamento fornendo preziose informazioni al Consiglio Artico, in particolare all’AMAP che consiglia i governi degli otto paesi membri sulle questioni relative alle minacce dovute all‘inquinamento nell’artico

In dialogo tra arte e scienza 

Nell’elenco dei profili tecnici invitati a bordo figurano – non stupisce – anche i giornalisti, incaricati di documentare e raccontare al grande pubblico l’impresa. Potrebbe stupire, invece, la menzione di artisti residenti a bordo di una stazione di ricerca alla deriva nell’Oceano Artico. 

“La stazione Tara è anche un’avventura umana incredibile e ci dà l’occasione di raccontare alle persone il motivo per cui facciamo tutto questo, quali sono le minacce presenti”, spiega Romain Troublé, sottolineando con trasporto la cura che la Fondazione ha sempre messo nella dimensione del racconto e dell’educazione. 

Questo racconto è complesso, a volte difficile da accettare, comunque esistenziale. Ed è qui che entra in gioco il mezzo artistico. 

© Fondation Tara Océan

Gli artisti saliranno a bordo per lo più in estate, quando le condizioni climatiche sono più miti. Secondo Troublé, il loro ruolo sarà quello di interrogare ciò che vedranno, gli stessi scienziati e le loro osservazioni, porre domande nuove e toccare le corde emotive che i dati non riescono a raggiungere. “Tra la conoscenza e l’azione c’è un vuoto. Io credo che l’arte, in tutte le sue forme, possa colmare quel vuoto”.

Il successo della Stazione Polare Tara passerà dunque anche dalla capacità di raccontarsi ed essere raccontata, di rispondere alle numerose domande di ricerca e stimolare nuovi quesiti, di emozionare e spingere all’azione. 

Un in bocca al lupo è d’obbligo. 

Annalisa Gozzi

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Annalisa Gozzi
the authorAnnalisa Gozzi
Sono una studentessa del Master in Environmental Policy all’Università Sciences Po di Parigi. Sono appassionata di comunicazione e cerco di rendere il tema del cambiamento climatico accessibile nella sua complessità.

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