C’era un tempo in cui l’Artico era cattolico, si pregava in latino, Oslo si chiamava Cristiania e il pino era il legno della fede.
In questo articolo scopriamo insieme cosa sono le stavkirke, chi le ha costruite, dove si trovano e come visitarle.
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Le chiese di legno a doghe sono dei luoghi di culto medievali. Rappresentano il contributo della Norvegia all’architettura mondiale – unico per design e metodo di fabbricazione. Che cosa sono? Chi le ha costruite e come? Come sono sopravvissute per quasi 1000 anni in un clima rigido – molte delle quali ancora in uso parrocchiale?
La parola norvegese per chiese a doghe è “stavkirke” che si riferisce al modo in cui furono edificate. Il nome deriva dalla struttura del vecchio fienile nordico, il cui elemento portante erano dei pali (stav, anticamente staff). Le doghe sono posizionate negli angoli e in altri importanti punti di collegamento nelle strutture, formando un telaio unito a incastri.
Il campanile è singolarmente posto al di fuori, in una costruzione vicina a parte, permettendo così l’utilizzo di più campane, impossibili invece da montare nella struttura principale.
In Norvegia sono sopravvissute in totale 28 suggestive chiese a doghe intagliate in pino. Molte di quelle costruite dopo la Riforma (1537) sono costituite in gran parte da materiali riciclati dalle quelle precedenti. Intorno al 1350 c’erano circa 1000 chiese a doghe di diverse dimensioni all’interno degli attuali confini norvegesi. Nel 1600 il numero fu ridotto a quasi 270 e nel 1750 ne rimanevano 130-140. Nel 1850 la cifra era di circa 60.
Il XIX° secolo fu un momento critico. Nel 1851 una legge stabilì che tutte i tempi avrebbero dovuto essere in grado di accogliere il 30% del totale della congregazione dei fedeli. Ciò, in combinazione con una popolazione in crescita, comportò l’abbattimento di molte stavkirke.
Tutte le restanti sono situate nella parte meridionale della Norvegia, nessuna a nord. La maggior parte di esse si trova nell’interno, in zone note per il clima secco e freddo, cosa che, insieme al mantenimento dell’uso parrocchiale, ha indubbiamente contribuito a preservarle.
È comune raggrupparle in quattro categorie, in base alle loro caratteristiche strutturali .
Quali quadri giuridici e gestione del patrimonio culturale sono stati usati per proteggere e preservare le poche chiese rimanenti?
A causa della loro cattiva condizione la direzione per i beni culturali lanciò il programma di conservazione delle stavkirke. Nel 1844 fu istituito il National Trust of Norway, considerabile l’inizio della gestione professionale del patrimonio culturale in Norvegia. L’iniziativa si innestò nel clima di recupero della proprie radici identitarie al termine dei 400 anni di dominio danese, nel 1814.
Urgendo una narrativa di aggregazione nazionale, le chiese a doghe si inserivano perfettamente nella ricerca della “pura” identità norvegese, fatta di campagna e tradizioni rurali. Nel 1905 fu adottata una legge preziosa per lo studio e la ricerca futura sulle stavkirke (Lov om Fredning og Bevaring af Fortidslevninger / Law for the Listing and Protection of Cultural Heritage Remains) che prevedeva l’elencazione automatica di monumenti e siti precedenti la Riforma del 1537, data l’assenza di fonti scritte e informazioni riguardanti i disegni originali.
Nel 1978 è la volta del Cultural Heritage Act, in cui si afferma che è responsabilità nazionale salvaguardare monumenti, siti archeologici e architettonici e ambienti culturali. Secondo i termini della legge, la direzione per i beni culturali può imporre un ordine di protezione a edifici, gruppi di essi e a paesaggi culturali. In base a ciò, i monumenti e i siti precedenti al 1537/1650 sono automaticamente tutelati, mentre per quelli successivi viene valutato caso per caso.
Un importante riconoscimento internazionale avvenne quando la Chiesa di Urnes venne iscritta nella Lista del Patrimonio Mondiale, nel 1979. Un Sito Patrimonio dell’Umanità è un punto di riferimento o un’area selezionata dall’UNESCO per l’eccezionale importanza culturale, storica o scientifica di altro genere ed è legalmente protetta da trattati internazionali.
Non esiste praticamente alcuna documentazione scritta dell’epoca che possa parlarci di questo argomento. Le chiese stesse sono le uniche fonti di informazione. Il fatto che le più antiche siano rimaste in piedi per oltre 850 anni è una testimonianza dell’eccellente qualità della costruzione, dei materiali, dei trattamenti e dell’artigianato.
Il legname, prevalentemente pino, doveva essere abbattuto nella foresta e trasportato sul sito, tutte le parti dell’edificio fabbricate a mano e quasi ogni aspetto della realizzazione pianificato con largo anticipo. Oggi si ricorre alla stessa tecnica artigianale dell’intagliare per la loro manutenzione.
Negli anni ’90 divenne chiaro che la maggior parte delle chiese richiedeva nuovamente notevoli riparazioni. Circa 20 di loro soffrivano gravi danni strutturali agli elementi portanti, inclusi problemi come insediamento e affondamento, spostamento delle fondamenta e segni di marciume e putrefazione. Qualcosa doveva essere fatto con urgenza ed era necessario uno sforzo nazionale.
Fu varato, così, “Il progetto medievale” un’iniziativa che durò dal 1991 al 1999 con lo scopo di ripristinare tutti gli edifici di legno secolari costruiti prima del 1537. Quando il piano terminò, circa 230 stabili erano stati riaccomodati con successo.
Una premessa basilare era garantire che tutte le opere architettoniche fossero rinnovate utilizzando le stesse tecniche e materiali con cui erano stati originariamente fabbricate. A tal scopo venne utilizzata e formata una intera generazione di artigiani del legno. In questo modo il progetto medievale fu molto di più di un semplice intervento di riparazione: divenne un programma di sviluppo delle competenze, in cui le conoscenze trasmesse manualmente, l’artigianato e le abilità furono al centro della scena.
Di tale expertise giovò la successiva azione pubblica di conservazione delle stavkirke, durata dal 2001 al 2015, comprensiva di piani per l’informazione del pubblico, cantieri aperti in cui poter salire sui ponteggi, vedere mostre e film.
L’iniziativa ha inoltre finanziato il miglioramento delle conoscenze sulla produzione e l’uso del catrame di pino, studi e analisi dendrocronologici e la registrazione delle campane. Un principio fondamentale del programma di conservazione è stato la riparazione delle chiese esistenti così come sono, escludendo l’idea di restituire o ripristinare i fabbricati in una delle loro forme precedenti: assicurare che l’edificio fosse preservato il più possibile, aggiungendo il meno possibile.
Le stavkirke dicono molto sul passato e sul presente della Norvegia. Il National Trust of Norway del 1844 fu indice dell’inizio della sensibilità nei confronti del patrimonio culturale nazionale.
Di lì a poco l’attenzione fu estesa dai manufatti alla flora, dando il La al proto-ambientalismo: nel 1884 professori e scienziati dei circoli dell’alta borghesia cittadina convinsero le autorità di Larvik a mettere sotto tutela il bosco di Bøkeskogen, la foresta di faggi selvatici più a nord del mondo. Ancora una volta è dagli alberi che si ramificò la sensibilità norvegese: da materiale su cui edificare la fede ad oggetti viventi del novello credo ambientalista scandinavo.
Marco Leone
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