Per non “restare indietro” rispetto alle altre Potenze artiche e non, la Russia imperiale a cavallo tra il XIX e il XX secolo punta sull’esplorazione polare investendo in nuovi mezzi e infrastrutture.
Vari Paesi artici e non solo avevano cominciato, a partire dalla metà del diciannovesimo secolo, a inviare spedizioni all’esplorazione dell’Artico. La Norvegia, gli Stati Uniti, la Svezia ma anche il Regno Unito e la Germania finanziavano missioni di esploratori al Nord, alla ricerca di nuove prospettive economiche: la pesca, l’estrazione del carbone e dei metalli preziosi o la caccia alle balene.
La Russia, che da sempre si considera uno Stato artico, vedeva le esplorazioni europee e americane come invasioni di uno spazio che le apparteneva di diritto. Questa convinzione contribuì a formare una nuova politica russa e poi sovietica di esplorazione e sfruttamento delle coste e delle isole settentrionali, in particolare l’arcipelago delle Svalbard, le coste del Mare di Kara, l’arcipelago di Novaja Zemlja e l’Isola degli Orsi.
Una delle più importanti vittorie russe con riguardo all’esplorazione polare fu il varo, nel 1898 a Newcastle upon Tyne, nel Regno Unito, della prima nave rompighiaccio al mondo –battezzata, non a caso, Ermak –, che compì il proprio viaggio inaugurale verso le Isole Svalbard. Il viceammiraglio Makarov fu il primo a rendersi conto del fatto che una nave adeguatamente rinforzata poteva frantumare il ghiaccio del Mare Glaciale Artico, liberando un percorso utile alla navigazione.
La Ermak compì due viaggi nell’Artico: il primo, di prova, verso Spitsbergen e il secondo, molto più impegnativo, fino alla Terra di Francesco Giuseppe, a nord di Novaja Zemlja. Le potenzialità di una nave rompighiaccio erano enormi, ma si decise di non rischiare un investimento importante come la Ermak nella rischiosa esplorazione polare, preferendo mantenerla nelle sicure acque del Baltico.
Il barone Eduard Toll’, che aveva partecipato alla prima spedizione della Ermak verso Spitsbergen nel 1899 sotto il comando del viceammiraglio Makarov era un esploratore e geologo russo di origine tedesco-baltica che nel corso della propria vita aveva acquisito molta esperienza nell’esplorazione della Siberia.
Sotto il patrocinio dell’Accademia russa delle Scienze, che finanziò la missione perché la Russia non “restasse indietro” nella ricognizione dell’Artico rispetto a quei Paesi dei quali abbiamo parlato poco sopra, il barone Toll’ partecipò a una missione per l’esplorazione dell’arcipelago della Nuova Siberia, situato tra il Mare di Laptev e il Mare della Siberia orientale, dove tuttavia scomparve per non essere mai più ritrovato.
L’influenza delle esplorazioni straniere nel XIX secolo e l’insistente presenza dei pescatori norvegesi a ovest e delle baleniere canadesi e statunitensi a est costrinsero la Russia a perseguire una politica artica attiva. La necessità di controllare le zone di pesca e di proteggere le acque russe dalle incursioni dei pescatori stranieri si tradusse nell’ulteriore sviluppo delle infrastrutture e dei centri abitati della costa nordoccidentale russa.
Sulla penisola di Kola, non lontano da Murmansk, fu fondato il porto di Aleksandrovsk – oggi Poljarnyj –, che divenne una base per la marina da guerra. La Russia si era quindi espansa a nord: anche se solo attraverso la presenza militare aveva ormai stabilito la propria sovranità sulla grande regione artica.
All’inizio del XX secolo nell’Artico le infrastrutture umane cominciavano a fare la loro comparsa. Le miniere, le torri radio e le zone esclusive di pesca contribuivano a sottolineare i confini nazionali nella regione. Lo sviluppo tecnologico che portò all’invenzione del pallone aerostatico, del dirigibile e dell’aeroplano permise la scoperta e la raggiunta di luoghi che sarebbe stato impossibile anche solo avvicinare con le sole slitte trainate dai cani o con le navi rompighiaccio.
Le piccole e inospitali isole artiche acquistavano ora un’importanza politica: con lo sviluppo del volo e delle vie aeree artiche si rendeva quindi necessaria la costruzione di una rete di infrastrutture a terra a supporto di queste rotte. Edificare una stazione radio, una stazione meteorologica o un piccolo campo di volo equivaleva a imporre la propria sovranità su un certo lembo di terra.
Tommaso Bontempi
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