Uno studio italo-norvegese rinviene tracce di creme solari nel manto nevoso delle Isole Svalbard.
Creme solari nel ghiaccio artico
Quante probabilità ci possono essere di ritrovare tracce di crema solare oltre il Circolo Polare Artico? La risposta sembrerebbe essere banale, ma dal punto di vista di un inquinante chimico, la distanza fra Mediterraneo e Polo Nord è ben poca cosa.
A dimostrarlo è un recente studio condotto da un team di ricercatori dell’Università Ca’ Foscari Venezia, in collaborazione con l’Istituto di Scienze Polari del CNR e dell’University Centre delle Svalbard (UNIS), che ha rivelato contaminazioni da prodotti chimici per la cura del corpo nei ghiacci delle Isole Svalbard.
Prelievi effettuati in diversi punti di campionamento della penisola di Brøggerhalvøya, a nord di Spitsbergen, hanno portato alla luce la presenza di sostanze chimiche emergenti –i cosiddetti CEAC’s- nella neve in prossimità di Ny-Ålesund e nei ghiacciai fino a 40 km di distanza dal centro abitato.
Un paradiso violato
I CEAC’s includono non solo prodotti per la cura personale, ma anche farmaci e pesticidi. Negli ultimi anni sono finiti sotto i riflettori a causa della loro produzione in costante aumento, mentre ben poco si conosce sull’impatto che il loro uso ha sull’ambiente circostante.
Il lavoro intitolato “Chemicals of Emerging Arctic Concern in north-western Spitsbergen snow: Distribution and sources”, si concentra soprattutto sulla distribuzione spaziale e stagionale di alcuni ingredienti comunemente presenti nei prodotti per la cura personale, come materiali profumati, filtri UV e altre sostanze chimiche.
Il fatto che alcune di queste sostanze chimiche siano state segnalate per la prima volta nei campioni di neve artica, toglie per sempre ogni speranza di considerare queste aree remote un luogo ancora incontaminato.
Esse si diffondono attraverso gli scarichi domestici e industriali, oltre che tramite emissioni dirette nell’atmosfera e i risultati empirici suggeriscono che la loro provenienza non sia necessariamente legata al centro abitato di Ny Alesund ma potrebbe avere origini ben più lontane. Questi composti chimici sono in grado di percorrere lunghe distanze trasportati dai venti e sedimentarsi nel manto nevoso per almeno una stagione, fino al prossimo disgelo.
La ricerca
“Le concentrazioni più alte sono state riscontrate nelle deposizioni invernali. Alla fine dell’inverno, le masse d’aria contaminate provenienti dall’Eurasia raggiungono più facilmente l’Artico. L’esempio più evidente riguarda proprio alcuni filtri UV normalmente presenti nelle creme solari – spiega Marco Vecchiato, ricercatore in Chimica analitica alla Ca’ Foscari. “L’origine delle maggiori concentrazioni invernali di questi contaminanti non può che risiedere nelle regioni continentali abitate a latitudini più basse: alle Svalbard durante la notte artica il sole non sorge e non vengono utilizzate creme solari”.
Il trasporto di queste sostanze chimiche è influenzato anche dalle condizioni atmosferiche stagionali, rese sempre meno prevedibili dal cambiamento climatico che, in Artico, si manifesta quattro volte più velocemente che nel resto del mondo.
Gli effetti sulla fauna
Queste considerazioni rendono necessario un monitoraggio costante dei comportamenti di questi inquinanti negli ambienti polari, soprattutto durante la tarda primavera e l’estate, quando la neve si scioglie e libera queste sostanze dal loro trappola glaciale.
Gli effetti negativi della dispersione di contaminanti UV erano già stati denunciati da precedenti ricerche, le quali avevano evidenziato importanti alterazioni alle funzionalità del sistema endocrino e ormonale di alcuni organismi acquatici. Motivo per cui alle Hawaii, alle Isole Vergini e a Palau, tre di questi composti sono stati banditi.
Alla luce di queste nuove preoccupazioni e della scarsa conoscenza che ancora si ha sull’argomento, si accentua l’urgenza di programmi di studio più approfonditi sull’inquinamento in Artico. “In questo contesto –conclude Andrea Spolaor, ricercatore Cnr-Isp – quantificare i processi di re-immissione in ambiente dei contaminanti di interesse emergente durante la fase di fusione della neve diventa una priorità per la protezione dell’ambiente artico nel prossimo futuro”.
Barbara Fioravanzo
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