Russia

Il sistema carcerario russo nei ghiacci dell’Artico

Sorvegliare e punire: il ruolo dell’Artico nel sistema penitenziario russo, con una deterrenza senza pari.

L’apparato penitenziario dell’Artico

Il sistema carcerario russo prevede quattro tipologie di strutture: dai centri di detenzione preventiva alle prigioni, dai riformatori alle colonie correttive. Secondo il World Prison Brief, la Russia, con circa 600.000 persone detenute, è il Paese con il più alto tasso di incarcerazione in Europa (seconda al mondo solo dopo gli Stati Uniti). Vediamo meglio come funziona Il sistema carcerario russo nei ghiacci dell’Artico.

Ma di particolare interesse, è l’utilizzo che, fin dall’epoca di Stalin, i vari regimi fanno dell’Artico nel loro sistema detentivo. Tutto è cominciato nel 1930, quando il geologo sovietico Georgy Chernov scoprì notevoli giacimenti di carbone nell’area del fiume Vorkuta, a 1200 chilometri da Mosca e a soli 100 dal Circolo Polare Artico.

L’avvenimento segnò l’inizio della corsa mineraria nella Repubblica sovietica di Komi, con il paesino di Vorkuta che prese forma attorno a sé grazie all’arrivo di geologi e minatori, mandati per scoprire le nuove risorse minerarie. Dopo due anni, però, servì la necessità di una manodopera forzata e a basso costo che fosse più diretta, facendo nascere un insediamento minerario controllato direttamente dalla polizia sovietica. 

I Gulag tra i ghiacci

Il sito fu ideato non solo come campo di lavoro, necessario al sostentamento dei piani quinquennali, ma come centro di vera e propria repressione, forzando la deportazione dei kulaki ucraini nella regione, e quella di molti altri popoli accusati di essere le potenziali quinte colonne di potenze straniere. Uniti alle “Grandi purghe”, tutti questi processi alimentarono un flusso costante di deportati condotti nell’arcipelago gulag, che iniziò ad acquisire sempre più funzioni di repressione e annientamento della dissidenza. Nel corso degli anni, il sito crebbe fino a diventare un sistema di 132  sotto campi centrati su Vorkutlag

Duecentomila morti, su due milioni di deportati, furono il prezzo pagato per la purificazione sociale voluta da Stalin, ma l’attività andò avanti ancora per molto. Come raccontato da Aleksandr Isaevič Solženicyn: “[…] come prima, i detenuti si contano a milioni e, come prima, molti sono esseri senza difesa, vittima di una giustizia iniqua e cacciati nei lager unicamente perché il sistema vuole sopravvivere ed essi rappresentano il suo nutrimento”. 

Solo nove anni dopo, nel 1962, l’era dei gulag cominciò a terminare, quando il Ministero dell’Interno russo lo liquidò e i prigionieri vennero sottoposti al regime di confinamento vicino al campo dove erano stati tenuti. 

La colonia di Navalny

Proprio nei pressi di Vorkuta, viene fondata in questi anni la colonia penale IK-3, tristemente nota come “Casa del lupo polare” e attuale prigione del dissidente russo Aleksej Naval’nyj. La colonia è, appunto, una delle più remote della Russia (Jamalo – Nenec), a quasi 2000 chilometri da Mosca e a meno di 70 dal Circolo Polare Artico, nella quale sono mandati i carcerati condannati per i crimini più gravi. Gli inverni sono incredibilmente rigidi e in questa stagione le temperature scendono fino a meno 28 gradi. Come hanno affermato i legali del dissidente, “è quasi impossibile raggiungerla ed è quasi impossibile inviare lettere in quel posto”. 

Letti rimossi, luci accese 24 ore su 24, temperature estreme e fame, uniti a lunghi periodi di isolamento per i motivi più assurdi. È questa la ricetta proposta ai prigionieri nella loro prigione artica, usata sempre più frequentemente per far sparire i dissidenti politici troppo scomodi. Ci sono ex detenuti che hanno raccontato di essersi ammalati per via della mancanza di vestiti e cibo, e altri che hanno riportato di essere stati sistemati in celle senza acqua calda o luce naturale.

Aleksej Naval’nyj

Numerosi ricorsi sono stati presentati da prigionieri reclusi dalle autorità russe, nonostante le condizioni di salute non fossero compatibili con la detenzione dentro IK -3. Le pessime condizioni sono state al centro di segnalazioni persino da parte delle autorità locali: la procura di Yamalo-Nenets presentò ricorsi sul mancato rispetto di leggi sulla sicurezza, sulle norme antincendio, sugli standard sanitari della prigione e sul trattamento riservato ai detenuti. Numerose persone hanno anche accusato i funzionari della prigione di sevizie e torture.

Il sistema carcerario russo nei ghiacci dell’Artico

Tra le numerose opportunità che la regione artica può offrire ai Paesi limitrofi, non troviamo solo lo sfruttamento delle risorse naturali o l’apertura di nuove vie commerciali, ma anche un efficiente sistema di repressione. Se durante l’epoca di Stalin e dell’Unione sovietica l’esigenza di mandare avanti l’industria pesante si coniugava con quella repressivo-punitiva, oggi il regime russo ha conservato almeno la seconda.

Il fatto che, dopo un blackout di qualsiasi comunicazione durato tre settimane, Naval’nyj sia stato trasferito qui, veicola un messaggio molto chiaro: il totale confinamento alla vigilia delle elezioni presidenziali in programma il prossimo 17 febbraio

La macchina dittatoriale di Vladimir Putin, dunque, non si basa solo su propaganda, repressione delle manifestazioni o sentenze durissime. Ma anche sull’allontanamento fisico egli oppositori in luoghi troppo lontani o difficili per essere raggiunti. La regione artica non è altro che un carcere a cielo aperto, dove mandare chi si vuole in beffa a qualsiasi diritto sia rimasto nella legge russa. 

Nicolò Radice Fossati

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Niccolò Radice Fossati

Classe 2004, studio Scienze internazionali e Istituzioni europee presso La Statale di Milano, ma nel tempo libero mi occupo anche di lingua e cultura russa. Mi interessa tutto ciò che riguarda la Politica estera di Mosca, soprattutto nella Regione artica e credo che comprendere il mondo sia comprendere la Russia stessa.

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