Bombardieri russi e caccia di Mosca hanno sfiorato più volte i confini aerei statunitensi nelle scorse settimane. Alzando il livello di allerta, anche per il rischio di incidenti.
Radar Alaska
Il 2023 è iniziato riportando alla ribalta del pubblico, americano e internazionale, i cieli del Nord America. Se da diversi anni ormai ci si era abituati a discutere di nuove dimensioni geopolitiche (cyber e spazio), quanto accaduto nel corso dei concitati giorni febbraio suona come un promemoria: non allontanarsi (troppo) dal continente e in particolare dal suo Nord.
Diversi comunicati stampa si sono susseguiti nel corso di questo mese da parte dello U.S. Northern Command (NORTHCOM) e del North American Aerospace Defense Command (NORAD), richiamando l’attenzione sull’importanza e il ruolo dei comandi militari preposti alla difesa territoriale del continente nordamericano.
Il 10, 11 e 12 febbraio i comandi hanno infatti abbattuto “oggetti volanti non identificati” (stando alle dichiarazioni, probabilmente di origine privata) rispettivamente a Deadhorse (Alaska, USA), Yukon (Canada), Lago Huron (Michigan, USA). Si tratta in ogni caso di “incidenti” da sommare alla questione del pallone-spia cinese abbattuto il 4 febbraio (e a un altro presunto pallone cinese nei cieli dell’America Latina).
Bombardieri nei cieli d’Alaska
La situazione, tuttavia, si complica ancor di più: nel già atipico quadro degli oggetti non identificati, tutti transitati nei cieli più settentrionali del continente (compreso il pallone cinese, entrato negli Stati Uniti attraverso le Aleutine a fine gennaio), sono ripresi anche i più abituali rilevamenti di movimenti russi nella stessa regione, all’alba di un anno dall’inizio dell’invasione russa in Ucraina.
Il 13 febbraio il NORAD, comando binazionale americano-canadese con quartier generale nel cuore degli Stati Uniti a Colorado Springs, ha intercettato due bombardieri Tu-95MS russi, scortati da due caccia Su-35. La formazione russa ha sorvolato lo Stretto di Bering, senza violare effettivamente la sovranità aerea di Stati Uniti o Canada, ma innescando la reazione di air control da parte statunitense.
Il comando americano-canadese ha inviato due F-16 per intercettare gli aerei russi, misura prevista in caso di mancata identificazione nella Air Defense Identificazion Zone (ADIZ) alaskana, essendo la mancata identificazione da parte di qualunque velivolo aereo considerata minaccia alla sicurezza nazionale.
Tre giorni dopo, il 16 febbraio, gli F-35 americani sono stati chiamati per intercettare un’altra formazione russa in avvicinamento alla ADIZ, composta da due Tu-95 e due caccia (Su-35 e Su-30).
L’aumento del rischio
Non è di certo la prima volta che aerei russi vengono rilevati nella “zona grigia” dell’Artico americano. Ma se con la fine della Guerra fredda si era aperta una fase di tranquillità, dal 2007 l’attività aerea russa nella regione è aumentata esponenzialmente, come dichiarato dallo stesso NORAD. Che si è affrettato, nella dichiarazione ufficiale, a specificare come simili incidenti avvengano su base annuale, dalle sei alle quindici volte all’anno.
La situazione attuale, tuttavia, assume contorni più delicati. E se sempre il 13 febbraio i caccia olandesi della NATO hanno intercettato tre aerei russi in avvicinamento allo spazio aereo polacco, la situazione palesa un rischio sempre più elevato.
Non solo perché l’equilibrio tra provocazione e routine è particolarmente sfuggente in tempo di guerra, ma anche perché l’incidente dei bombardieri russi prende piede ora all’interno di una mappatura che rileva una serie di sfide e di debolezze nello “scudo” del Nord America, non più sottovalutabili negli anni di un Artico indebolito dalla crisi climatica.
Gli eventi di questo febbraio, nel loro complesso, pongono seri interrogativi, ai quali siamo meno abituati ma su cui è necessario riflettere: dal potenziamento dell’allerta e del controllo aerospaziale nella regione (e da come questo possa essere recepito dagli altri attori) al rafforzamento della cooperazione in tema di sicurezza e difesa tra alleati americani e canadesi. Tutti interrogativi finora passati in secondo piano, ma destinati a diventare sempre più familiari.
Agata Lavorio
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