Finlandia

Lo sciamano dei Sami

La figura dello sciamano è stata da sempre il fulcro della comunità Sami e, come anche nelle altre culture tradizionali, egli ricopriva numerosi ruoli nella società.

   “The future shaman sometimes takes the risk

of being mistaken

 for a “madman”but his “madness” 

fulfils a mystic function; 

it reveals certain aspects of reality to him

 that are inaccessible to other mortals,

 and it is only after having experienced 

and entered into these hidden dimensions

 of reality that the “madman” becomes a shaman.”

Eliade, Mircea. Myths, Dreams, and Mysteries. New York: Harper and Row, 1960. Page 80-81

Il centro della comunità

Importante figura carismatica, allo sciamano molte persone si riferivano per i più disparati motivi. Per le divinazioni, per problemi di genere politico, economico, legale, spirituali e di salute. Egli inoltre era colui che accompagnava le anime dei morti nell’aldilà, per liberarle completamente da ogni attaccamento terreno. Era uno psicopompo1, e in quanto tale capace di praticare la forma di guarigione spirituale più elevata.

Proprio per questo motivo lo sciamano ricopriva un ruolo di coesione della comunità ma anche di protettore nei confronti di eventuali attacchi esterni. “Si potrebbe perciò, quasi paradossalmente, definire lo sciamanesimo come una forma di pragmatismo spirituale, nel senso che lo sciamano vede il mondo sovrasensibile quello “normale” non come due realtà del tutto separate e distinte, ma per così dire, come due aspetti della stessa realtà unitaria, in cui chi ne ha la capacità può destreggiarsi, cogliendo benefici concreti e risultati tangibili2.

La malattia e lo sciamano

Senz’altro il ruolo di maggiore importanza e rilievo che lo sciamano ricopriva all’interno della propria comunità era quello di guaritore, di medicine man. Egli trattava sia la malattia fisica che quella psichica, intendendo entrambe come fortemente legate tra di loro in una visione olistica dell’individuo, che entra in forte contrasto con la visione riduzionista dell’era contemporanea.

Aveva la conoscenza dell’uomo di medicina, e aveva i poteri di uno “stregone”, capace di utilizzare la magia bianca o quella nera a seconda delle necessità a cui doveva far fronte.  “La concezione sciamanica della salute, non è circoscritta alla salute fisica, nel senso medico del termine, così come non è limitata alla salute mentale in senso psichiatrico. Comprende una buona alimentazione, buone relazioni sociali, prosperità e successo in guerra e nei commerci. Tutto ciò è legato ad idee di equilibrio e di continuo scambio con l’ambiente, a regole in base alle quali dare e trattenere, a sentimenti come l’amore e la collera, e alla volontà degli spiriti che animano il mondo circostante3

La malattia nel mondo sciamanico ha un numero limitato di cause. La persona affetta da patologia può aver perduto una o più delle sue anime, che pertanto lo sciamano deve andare a cercare nel mondo degli spiriti tentando di riportarle indietro. Oppure nel corpo del malato può essere stato introdotto un oggetto estraneo, come un bruco peloso o una scheggia d’osso da parte degli spiriti o per mezzo di una freccia. In questo caso lo sciamano pratica un intervento nel mondo fisico per estrarre l’oggetto.

Una persona può cadere malata anche se infrange un tabù, che sono regole fondamentali per la morale e il benessere. Infrangere un tabù infatti indebolisce la persona e talvolta può portare sventura anche ad un’intera comunità o regione. Per la cura di questo male è quasi sempre necessario la confessione dei misfatti compiuti.

“La malattia sorge laddove vi è una separazione, dentro o fuori di noi, quando rifiutiamo qualcosa, dove c’è isolamento. Inversamente, la guarigione ci rimette in contatto con le nostre risorse interiori, con la natura circostante, con la nostra famiglia, i nostri antenati, i nostri spiriti guida. Questo conduce a un altro principio che tutti gli sciamani conoscono bene, ovvero che in questo universo non siamo soli. Gli sciamani sanno perché vedono che vi è un’energia che scorre liberamente nell’universo e che attraversa e connette tutti gli esseri, visibili e invisibili all’occhio umano.”4

La relazione con l’altro e con il mondo naturale circostante è alla base del benessere della singola persona. Nella cultura sami alla base del proprio vivere quotidiano vi è il concetto di comunità, di collettività. Ognuno riceve e dona qualcosa a al prossimo in una costruzione costante di una rete sociale che si rende necessaria per la sopravvivenza in un territorio difficile come quello della Lapponia.

Le relazioni si costruiscono internamente al proprio gruppo ma anche esternamente con il mondo naturale e il mondo degli spiriti di cui lo sciamano diventa mediatore. “La ricerca che gli sciamani compiono di luoghi, tempi, radici familiari, parte sempre da un equilibrio spezzato che è fonte della sofferenza. L’obiettivo è quello di ricominciare a dare un senso unitario alla propria storia, vissuta spesso in modo frammentario, di trovare cioè collegamenti con le radici spesso nascoste o rimosse. Ecco il motivo del loro viaggio nel mondo degli spiriti, nell’attraversamento della soglia ad altri preclusa, nel faticoso ritorno ad una realtà che si spera sia stata trasformata5.

Noiade Sami

Nella sua figura di mediatore con il mondo degli spiriti è sicuramente il ruolo di psicopompo quello più importante che distingue lo sciamano anche da un semplice uomo di medicina. È la forma di guarigione sciamanica più elevata da un punto di vista spirituale.

Il termine psicopompo deriva dal greco e letteralmente significa “accompagnatore di anime” dei morti nell’oltretomba. (da psychè: anima e pompos: colui che manda). In molte circostanze capita che l’animo del defunto possa rimanere intrappolata nel mondo terreno rimanendo in un limbo senza tempo in un perenne stato confusionale.

Questo può accadere sia in seguito a una morte violenta, sia perché gli stessi parenti del defunto non sono capaci di lasciar andar via la sua l’anima. Se i defunti non compiono il definitivo trapasso verso l’aldilà vi saranno delle ripercussioni negative sia sui familiari che sui luoghi da essi abitati.

In questi casi è lo sciamano ad intervenire, egli entrando in trance si mette in contatto con lo spirito del defunto e, con l’aiuto di altri spiriti guida, cerca di ottenere il permesso per accompagnarlo nel mondo dei morti dove ci saranno gli spiriti dei suoi antenati ad accoglierlo.

La guarigione nello sciamanesimo

Secondo l’etnografo D.K.Zelenin (1935) la funzione medica sarebbe stato il motivo principale per cui sarebbe nato lo sciamanesimo. A questa funzione originaria, si sarebbe poi via via aggiunti altri elementi. Secondo Taras M.Mikhailov (1987), invece l’aspetto medico non è solo all’origine dello sciamanesimo ma ne rappresenterebbe anche l’essenza6.

La guarigione del paziente pertanto si può considerare la finalità principale delle pratiche sciamaniche e per effettuarla, come abbiamo già sottolineato in precedenza, lo sciamano entra in contatto con entità e poteri del mondo invisibile, soprannaturale. Questo perché la malattia è vista come una condizione spirituale oltre che fisica.

La guarigione non è mai diretta alla persona considerata come entità separata, ma si rivolge all’individuo nella sua interrelazione con il mondo. Essa implica un reintegro della persona nel tessuto sociale della comunità ed un ritorno all’armonia con sé stesso, con l’ambiente in cui vive e con l’Universo.

 “(Nella malattia) la persona ha perduto parti della propria anima, essenza spirituale indispensabile alla vita, ma che a volte può frammentarsi e separarsi da noi. Le forme più gravi di perdita dell’anima si riferiscono a quelle situazioni in cui la vita della stessa persona è in pericolo (coma, rianimazione). Esistono poi delle forme meno gravi, ma più frequenti, di perdita parziale dell’anima, quando parti del sé si separano a causa di esperienze dolorose o traumatiche come morti o divorzi, violenze fisiche o psicologiche.

Per lo sciamano questi frammenti perduti dell’anima continuano ad esistere nella realtà non ordinaria e possono essere riportati indietro alla persona, rendendola nuovamente integra e completa”7.

Pertanto si può affermare che il fulcro della guarigione di un individuo sta nel recupero, da parte dello sciamano, delle sue parti di anima perse a causa della malattia. Con il loro reintegro la persona può recuperare le proprie energie riacquisendo tutte le capacità perdute per tornare ad avere una vita relazionale e produttiva.

La salute mentale dello sciamano

Certamente sì. Ma negli anni passati tantissimi antropologi, etnografi e psichiatri hanno tentato di confutare questa risposta apportando numerose testimonianze e prove sulla malattia psichica dello sciamano. Una malattia che si manifestava attraverso danze, bava alla bocca, sguardo vacuo e possessioni.

Mircea Eliade nel suo testo sullo sciamanesimo riporta dello studioso svedese Å. Ohlmarks che “è stato perfino condotto a distinguere uno sciamanismo artico da uno sub artico in base al grado di nevropatia di coloro che lo esercitano. Secondo questo autore lo sciamanismo in origine sarebbe stato un fenomeno esclusivamente artico, essenzialmente dovuto all’influenza dell’ambiente cosmico sulla labilità nervosa degli abitanti delle regioni polari.

Il freddo eccessivo, le lunghe notti, la solitudine desertica, la mancanza di vitamine, avrebbero agito sulla costituzione nervosa delle popolazioni artiche provocando sia delle malattie mentali (l’isteria artica), sia la trance sciamanica. La sola differenza fra uno sciamano e un epilettico consisterebbe nel fatto che il secondo non può realizzare la trance a volontà”8.

Eliade poi aggiunge che “la tesi che assimila lo sciamanismo ad una malattia mentale è stata anche sostenuta nel riguardo di forme di sciamanismo diverse da quelle artiche”9.

Il culto dell’isteria

Ulteriori studiosi degli inizi degli anni del secolo scorso hanno avvalorato la tesi neuropatia dello sciamano. D.K.Zelin nel 1928 affermava che un individuo sano non sarebbe potuto diventare uno sciamano, soltanto un malato di mente, che gli spiriti continuamente invadono, poteva curare che soffriva di possessione spiritica senza rischi per la propria incolumità.

Lo sciamano è un neuropatico costretto dal clan ad assumere una peculiare funzione medica: assorbire personalmente i demoni della malattia dei sofferenti della comunità10. Un gran numero di autori ritrovavano nei rituali sciamanici evidenti tracce di attacchi isterici.

Il rinomato neuropatologo S.N. Davidenkov vedeva lo sciamanesimo come un culto dell’isteria, come una nevrosi organizzata che assume una forma stabile e definitiva. Egli inoltre affermava che “il fatto che certe caratteristiche della seduta sciamanica siano perfettamente coincidenti con l’isteria è evidente a qualsiasi neuropatologo11.

Mircea Eliade con la sua personale analisi del fenomeno sciamanico, iniziava ad avvicinarsi ad una visione più contemporanea dello sciamano. Nella sua famosa opera “Lo sciamanismo e le tecniche dell’estasi”, egli sosteneva: “psicopatici o no, i futuri sciamani devono passare attraverso certe prove iniziatiche e ricevere una istruzione che è spesso estremamente complessa. Questa sola doppia iniziazione, estatica e tradizionale, trasforma l’eventuale nevrotico in sciamano riconosciuto dalla società. E come malato è un malato che è riuscito a guarire sé stesso prima di assurgere al ruolo di cura di altri.”12

La lettura etnopsichiatrica

Lo sciamano viene riconosciuto come un soggetto con turbe psicologiche; turbe che tuttavia non vengono classificate come patologia bensì come una predisposizione necessaria per adempiere ad un ruolo che viene riconosciuto dalla società stessa.

Il ruolo della comunità entra con forza anche nell’analisi etnopsichiatrica condotta da Georges Devereux il quale, nel “Saggi di etnopsichiatria generale”13, afferma che è dai bisogni patologici del suo gruppo che lo sciamano trarrebbe lo stimolo a “rappresentarli”, giustificando cosi la consapevolezza delle sue azioni deliranti. In altre parole lo studioso supporta l’idea che la patologia del gruppo darebbe più facilmente luogo ad una patologia individuale, sostenendo che chi produce allucinazioni deve comunque considerarsi malato.

Tobie Nathan, altro esponente di rilievo dell’etnopsichiatria, non segue pedissequamente le tracce del proprio maestro Devereux e mentre quest’ultimo considerava lo sciamano come un individuo stabilmente disturbato a livello psichico egli lo riconosce come un collega di altre culture a cui viene attribuito lo status di raffinato conoscitore delle cose e dei mondi psichici della gente in quelle particolari culture.

Secondo Nathan bisogna poi abbandonare ogni teoria sulla psiche, dato che in qualsiasi psicoterapia hanno rilevanza soltanto “le influenze” (ossia i “risultati”) che il dispositivo tecnico terapeutico è capace di produrre.

Negli ultimi decenni molti sono gli studiosi che hanno iniziato ad abbandonare l’idea dello sciamano inteso come un malato di mente tout court per concepirlo invece come un individuo dotato di particolari attitudini mentali e fisiche che gli permettevano di poter “viaggiare” in spazi ad altri proibiti per fini prevalentemente terapeutici. Si è giunti alla consapevolezza che gli atteggiamenti bizzarri avuti dagli sciamani durante i rituali o il loro operare quotidiano non sono sintomi di una patologia ma fanno parte del ruolo che lo sciamano ha all’interno della comunità. 

Questa “riabilitazione” mette ancor di più lo sciamanesimo al centro del percorso evolutivo dell’umanità. Esso può essere considerato a tutti gli effetti l’antenato, il progenitore di tutte le religioni che si sono sviluppate negli ultimi millenni.


  1. Il termine “psicopompo” deriva dal greco psyche (anima) e pompos (colui che manda). Questa è un importante figura di molte mitologie e religioni che ha come ruolo quello di traghettare le anime dei defunti nell’aldilà. Con il Caronte dantesco ritroviamo questa figura anche nell’ambito del monoteismo.
  2. D. Melzi, “La via dello sciamanesimo boreale”, Ed. della Terra di Mezzo, Milano, 1996
  3. P. Vietbsky, “Gli sciamani”, E.D.T, Torino 1998.
  4. “Sciamanesimo e guarigione: Guarigione dell’anima e metamorfosi dell’io” di Luciano Silva, Ed. Crisalide 2014, Latina.
  5. “I costruttori di trappole del vento”, di Alfredo Ancora, Ed. FrancoAngeli, 2013, Milano.
  6. Corpi sciamanici. La nozione della persona nello studio dello sciamanesimo; di Botta Sergio, Ferrara Marianna., Ed. Nuova Cultura, Roma, 2017.
  7. “Profeti senza Bibbia- Sciamani del duemila”, M.I.Macioti (a cura di), Roma, 1995.
  8. “Lo sciamanismo e le tecniche dell’estasi”, Mircea Eliade, Ed. Mediterranee, Roma, 1974
  9. Ibid.
  10. Corpi sciamanici. La nozione della persona nello studio dello sciamanesimo; di Botta Sergio, Ferrara Marianna., Ed. Nuova Cultura, Roma, 2017.
  11. “Lo sciamano e il suo mito”, AA.VV. Torino, 2016.
  12. “Lo sciamanismo e le tecniche dell’estasi”, Mircea Eliade, Ed. Mediterranee, Roma, 1974.
  13. “Saggi di etnopsichiatria generale”, di Geoges Devereux, Ed. Armando, 2007.

Lorenzo Moretti

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Lorenzo Moretti

Laureato in Scienze Politiche ed Educatore sociale e Culturale, in entrambe con una tesi di antropologia sulla cultura sami. Ottiene alcune borse di studio per finanziare diverse ricerche sul campo nella lapponia (samiland) finlandese e norvegese. Da sempre appassionato alle culture e ai paesaggi nordici approfondisce soprattutto tematiche legate alle popolazioni indigene nel loro aspetto socio-spirituale.

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