La Scandinavia, fra membri NATO e non, si trova oggi a confrontarsi con una realtà più complessa della sua stessa storia. Fra investimenti, difficili decisioni e una militarizzazione strisciante.
Due studiosi scandinavi idearono una teoria molto intrigante, quella dei cleavages, le fratture storiche utili a spiegare i cambiamenti politici, economici, sociali, geopolitici, di mentalità e via discorrendo. La lettura della Storia è sempre miope.
Da vicino appannata, guadagna chiarezza alla distanza. La presa della Crimea nel 2014, reazione di Mosca a Euromaidan, è a pieno titolo ascrivibile a punto di ritorno di una latente cortina di ferro ideologica e sanzionatoria occidentale contro la russosfera. Caso ha voluto che incontrasse il sostegno del disgelo Artico, generando una miscellanea tra inedita potenziale dinamicità economica e valanghe di iniziative securitarie, memori di un altro secolo e un altro millennio, pur tuttavia ancora troppi recenti per cristallizzarsi.
Il risultato è stato la riesumazione della II° Flotta USA a Norfolk nel 2018, dopo la prematura dipartita nel 2011, il florilegio di esercitazioni alleate, Trident Junctur 2018, Icex 2020, Cold Response 2020, Dynamic Guard, programmata per il 7-11 Febbraio 2021.
Stesso tipo di acque sono state agitate dalla controparte. Nel 2017 un’esercitazione militare congiunta (“Joint Sea”) ha visto imbarcazioni della marina cinese transitare scenograficamente per il Mediterraneo e La Manica per raggiungere il partner russo nell’Artico.
Esperimenti da parte della flotta di Mosca sono stati effettuati nel superare le colonne d’Ercole del GIUK Gap, testando contemporaneamente la reazione della NATO e studiando su come garantirsi una qualche chance, in caso di conflitto, nel settore base delle operazioni militari: le comunicazioni.
I sommergibili russi intravisti nell’Atlantico non avevano scopo di deterrenza, bensì di potenziale sabotaggio dei cavi oceanici di trasmissione dati. Quasi tutto del Mondo di oggi passa sui dati. Economia, finanza, rapporti sociali. Il Covid sta solo accelerando, come in ogni crisi, tendenze già in atto. La formazione online (scolastica, universitaria e professionale), lo smart working erano già in lenta evoluzione, ma ineluttabili.
Beninteso, le prove congiunte tra membri della NATO avevano ripreso vita già dal 2008. La novità è la cooperazione tra Paesi scandinavi estesa all’ambito militare. Le iniziative di coordinamento tra gli attori dell’area sono noti, ma nessuna nell’ambito della Difesa. Ultimamente, invece, è avvenuto un salto di qualità.
L’accordo di coordinamento militare scandinava del 23 Settembre 2020 è spia della nuova temperie. La Norvegia non ha basi NATO (USA), ma ospita sempre più sovente “osservatori” statunitensi, come nelle ultime esercitazioni. Anche Stati formalmente non allineati, come Svezia e Finlandia, hanno presenziato alle succitate operazioni dimostrative dell’Alleanza Atlantica.
Su questo sito abbiamo registrato una recente generale tendenza alla cooperazione scandinava invisa a minacce dall’Est, sfociata in recentissimi più fermi intendimenti di integrazione securitaria. L’ultimo segnale del mutamento in tal senso del quadrante artico scandinavo è la partecipazione della Finlandia a una delle gare internazionali di vendita di F35 statunitensi.
Non si tratta solo del rinnovo del parco aereonautico con 66 velivoli “made in the USA”, ma di acquisire un completo sistema d’arma annesso del valore di 12.5 mld di $, quando il Paese finnico nel 2018 risultava sotto il 40° posto nel budget militare, sotto la soglia dei 4 mld di $, dietro Oman e Portogallo, per intenderci.
Ciò significa presenza in loco di esperti del Pentagono per anni ad industriare le forze finlandesi sul funzionamento del prodotto acquisito. Per essere più precisi, la Finlandia non è nuova ai manufatti bellici statunitensi. Gli F-35, infatti, andranno a sostituire i “vecchi” F-18.
Ma oggi più che mai aderire a un fornitore militare si traduce con un’adesione a un’agenda geopolitica. Non sono molte le realtà che vantano un’industria aerea autonoma. I due consorzi europei, quello anglo-italo-svedese (progetto Tempest) e quello franco-tedesco-spagnolo (FCAS) sarebbero stati teoricamente più naturali per Helsinki. Ma logica industriale, mai da sottovalutare, e geopolitica hanno reindirizzato il paese dei laghi verso oltre Atlantico.
Il Novecento ha plasmato il rapporto degli scandinavi con la Guerra. I norvegesi, poveri e (in quanto) senza risorse, hanno ben presto optato per un neutralismo sotto egida inglese violato dall’invasione tedesca, tant’è che hanno trasmutato col tempo tale caratteristica a peculiare proiezione estera nazionale, dal pacifismo attivo, grazie alle possibilità offerte dalla rendita petrolifera, a peacekeeping diplomatico per conto dell’ONU.
Gli svedesi hanno espiato i poco studiati fasti imperiali concedendo una pacifica indipendenza alla Norvegia (1905) e chiudendosi in uno splendido e isolato neutralismo, che nemmeno Hilter ha osato violare, mantenendo in realtà una notevole capacità industriale bellica, soprattutto aeronautica (i famigerati Gripen). I finlandesi hanno pagato il vicinato con la Russia, sviluppando un’ammirata resilienza difensiva.
Il nuovo millennio ci offre una penisola scandinava ricca e desiderosa di conservare gelosamente la prosperità raggiunta, facendo propria una delle più antiche lezioni della Geopolitica, molto prima che nascesse come disciplina: armarsi per preservare la pace. Si vis Pace para Bellum.
Marco Leone
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