Le banche cinesi, turche e degli Emirati Arabi Uniti sono restie ad investire in Russia per effetto delle sanzioni secondarie messe in atto dagli Stati Uniti.
L’Artico, negli ultimi anni, è divenuto sempre più importante poiché lo scioglimento dei ghiacci dovuto al riscaldamento globale ha aperto nuove opportunità di sfruttamento delle risorse artiche e nuove rotte commerciali percorribili. Le risorse della regione comprendono argento, rame, oro, platino, carbone e altre geostrategicamente rilevanti, come uranio e terre rare, fondamentali per la transizione energetica.
Inoltre, più del 30% del gas naturale non sfruttato del mondo e il 13% delle riserve petrolifere si ubicherebbero potenzialmente nell’Artico. Anche le risorse ittiche della regione sono profittevoli: difatti con il riscaldamento globale i pesci migrano verso l’Artico alla ricerca di acque più fredde, ed essendo il pesce la proteina alimentare più consumata al mondo questa rappresenta una ghiotta opportunità.
La Russia occupa il 52% delle coste artiche e per la prossimità costiera alla regione considera la governance artica di fondamentale rilevanza storica ed economica. Dunque non sorprende che Mosca cerchi di sfruttare le enormi risorse che l’Artico ha da offrire soprattutto in risposta alle ingenti spese militari che deve sostenere per il conflitto con l’Ucraina scoppiato nel febbraio del 2022.
Le sanzioni imposte alla Russia in risposta all’invasione dell’Ucraina nel 2022 rappresentano un unicum storico per il loro impatto e portata. Infatti per la prima volta un numeroso gruppo di Stati membri del World Trade Organization ha imposto sanzioni ad un altro membro, revocando la “Clausola della nazione più favorita” ai sensi dell’articolo XXI del General Agreement on Tariffs and Trade.
Le sanzioni occidentali colpiscono direttamente la politica energetica russa, proibendo esportazioni tecnologiche e nuovi investimenti verso le compagnie petrolifere della Russia. Di conseguenza alcune importanti compagnie, tra cui Exxon Mobil, Shell, Equinor, BP, hanno accusato gravi perdite e altre hanno deciso di ritirarsi da joint venture russe. Nonostante il massiccio sostegno governativo e il rafforzamento della cooperazione di partner commerciali economicamente rilevanti come Cina e India, le compagnie russe sono ancora ampiamente dipendenti dal know how e dalle tecnologie importate.
Basti pensare che recentemente una delle più grandi raffinerie del Paese, NORSI, situata vicino al fiume Volga a circa 430 Km da Mosca, ha difficolta a riparare gli impianti di cracking catalitico, fondamentale nei processi di raffinazione del greggio. Queste difficoltà sono dovute sia agli attacchi dei droni ucraini nei confronti delle raffinerie russe, sia alla manutenzione e riparazione degli impianti che è svolta nella maggior parte dei casi da compagnie occidentali; nel caso di NORSI, raffineria di proprietà della Lukoil, era affidata a UOP, una società americana che si è rifiutata di prestare qualunque tipo di collaborazione.
Le sanzioni secondarie sono quelle imposte a Stati terzi, non direttamente coinvolti nel conflitto russo ucraino e che tuttavia investono o aiutano finanziariamente la Russia, colpendo in particolare le banche estere. Nel dicembre del 2023 Il Presidente americano Joe Biden ha firmato un nuovo ordine esecutivo in cui formalizzava le sanzioni secondarie, rendendo concreta la minaccia americana di sanzionare tutti gli istituti di credito che prestavano sostegno economico a Mosca.
La diretta conseguenza è stata che numerosi alleati chiave del Cremlino, tra i quali figurano Cina, Turchia, India e gli Emirati Arabi, sono divenuti maggiormente cauti nell’offrire assistenza finanziaria alla Russia per timore delle sanzioni secondarie americane che potrebbero danneggiarli. Negli Emirati Arabi, la Abu Dhabi Bank (FAB) e la Dubai Islamic Bank (DIB) hanno sospeso numerosi conti correlati all’interscambio di merci con la Russia.
Ad aggravare la situazione vi sono le banche cinesi e turche, che hanno rimandato i pagamenti del petrolio di diversi mesi per timore di dover fronteggiare le sanzioni americane. Il ritardo nei pagamenti e la difficoltà di attirare investimenti anche da istituti di credito alleati stanno compromettendo le risorse economiche che la Russia potrebbe allocare nei progetti energetici dell’Artico, ritardandone il potenziale sviluppo. Il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, in una recente intervista si è espresso sulla situazione evidenziando come alcune banche cinesi hanno smesso di accettare pagamenti da Mosca e come le sanzioni occidentali stiano facendo pressioni sulle banche cinesi.
Da quanto riportato da Izvestija, una delle più importanti testate russe, l’80% dei pagamenti e delle transazioni verso banche cinesi a marzo non sono stati conclusi. L’allentamento dei rapporti finanziari con le banche alleate di Mosca e lo spaventoso spettro delle sanzioni americane che incute timore a Pechino e Ankara hanno avuto un impatto negativo sulla solidità finanziaria delle banche russe.
La seconda banca russa più grande, VTB, ha riscontrato nel primo trimestre del 2024 un decremento del 33% degli utili netti rispetto all’anno scorso. Il ritardo nei pagamenti e la difficoltà di attirare investimenti anche da istituti di credito alleati stanno compromettendo le risorse economiche che la Russia potrebbe allocare nei progetti energetici dell’Artico, ritardandone il potenziale sviluppo.
Giorgio Cacciotti
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