Mosca punta tutto sulla costruzione di rompighiaccio capaci di solcare il Mar Artico anche nei mesi invernali. La flotta continua a crescere e il commercio artico cambia (in parte) direzione.
Il 22 novembre il presidente della Federazione Russa ha partecipato in videoconferenza alla cerimonia per il varo della rompighiaccio a propulsione nucleare Yakutia e all’alzabandiera della rompighiaccio, sempre a propulsione nucleare, Ural. Come sottolineato dal Cremlino, le due navi sono state costruite presso il cantiere navale Baltic di San Pietroburgo su commissione della Rosatom (la Società Statale per l’Energia Atomica).
Queste navi fanno parte del Progetto 22220 (in russo denominato LK-60Ya), un progetto per la costruzione di 7 navi rompighiaccio (ad oggi se ne contano 5 tra navi in servizio e in costruzione) a propulsione nucleare di classe 9, la più alta per il Russian Maritime Register of Shipping. L’obiettivo principale di questi rompighiaccio è garantire la navigazione nell’Artico anche durante i mesi invernali, ma soprattutto permettere la scorta di navi cariche di idrocarburi dai giacimenti delle penisole di Yamal e Gydan e dalla piattaforma del mare di Kara ai mercati dei paesi dell’Asia.
Unione Sovietica prima, e Federazioni Russa dopo, sono sempre state le uniche due entità statali a costruire rompighiaccio a propulsione nucleare. Nel corso dei decenni, considerando anche il nuovissimo Ural, sono stati in totale 13 i rompighiaccio a propulsione nucleare.
Di questi, in servizio oggi ne risultano sette (Taymir, Vaygach, Yamal, 50 Let Pobedy, Arktika, Sibir e Ural). Se si considera anche il Sevmorput, l’unica nave portacontainer a propulsione nucleare ad oggi in servizio nel mondo – con una capacità di affrontare il ghiaccio limitata rispetto a tutte le altre rompighiaccio a propulsione nucleare – il numero sale a otto.
Sempre all’interno del progetto 22220, sono oggi in fase di costruzione lo Yakutia (varato appunto il 22 novembre 2022 e previsto a entrare in servizio nel 2024) e il Chukotka, previsto invece per il 2026. A questi si aggiunge il Rossiya, primo rompighiaccio del nuovo progetto 10510 (denominato anche Leader, in russo Лидер) che dovrebbe entrare in servizio nel 2027 (e che dovrebbe essere seguito dalla costruzione di altri 2 rompighiaccio della stessa classe entro il 2033).
La classe 10510, quando il Rossiya verrà varato, diventerà la classe di rompighiaccio più potente al mondo, togliendo il titolo ai rompighiaccio del progetto 22220. I due reattori nucleari RITM-400, con una potenza termica di 315 megawatt ciascuno con cui verrà equipaggiato il Rossiya, gli permetteranno infatti di attraversare ghiaccio spesso anche 4 metri.
Del 3 gennaio di quest’anno è invece la notizia del finanziamento di quelli che dovrebbero essere gli ultimi due rompighiaccio del progetto 22220 da parte del governo russo. Secondo TASS (l’agenzia di stampa ufficiale russa) le due navi dovrebbero entrare in servizio rispettivamente nel 2028 e nel 2030.
La costruzione di queste due rompighiaccio porterebbe il numero totale di navi del progetto 22220 a ben sette elementi. Ad ogni modo, contando anche quelli a propulsione tradizionale, la flotta di rompighiaccio russa è composta da quasi 50 navi. Questi numeri fanno della Federazione Russa il paese con la più grande flotta di rompighiaccio al mondo e di conseguenza anche quello più preparato alla navigazione artica.
Nonostante l’invasione dell’Ucraina, gli investimenti energetici incentrati sul gas naturale liquefatto (LNG) sono ingenti. Così come lo sono di conseguenza gli investimenti destinati allo sviluppo di quella che è la via di comunicazione più importante dell’intera regione artica: la Rotta Marittima Settentrionale (o anche NSR, Northern Sea Route).
Dell’impatto del cambiamento climatico sulla rotta abbiamo già parlato, ma la flotta di navi rompighiaccio serve e servirà alla Russia per permettere alle navi che trasportano petrolio e gas di raggiungere i mercati asiatici attraversando la NSR anche nei mesi dove il ghiaccio (sempre meno) rende la navigazione estremamente complessa.
La situazione geopolitica attuale sta indubbiamente spostando l’interesse di Mosca verso l’Asia. L’Unione Europea ha imposto il 5 dicembre un embargo commerciale sull’importazione di petrolio greggio russo via mare (oltre anche a un tetto sul prezzo del petrolio russo, fissato a 60 dollari al barile, implementato anche da Australia e i paesi G7) mentre il 5 febbraio sarà il turno dei prodotti raffinati.
Il tetto sul prezzo, detto anche price cap, sta dando a Paesi come la Cina e l’India la possibilità di comprare petrolio proveniente dalla Russia a prezzi scontati. L’obiettivo di questa misura è infatti di tagliare fuori Mosca dal commercio del petrolio a livello internazionale, in quanto ai principali assicuratori internazionali non è più permesso assicurare navi che trasportano petrolio russo (a meno che esso venga venduta al di sotto del price cap, qualunque sia la loro destinazione).
Di conseguenza, come mette in evidenza il Financial Times, per acquisire maggiore indipendenza nel trasporto di petrolio, Mosca sta anche ampliando la sua flotta di petroliere. Inoltre, come dimostrato dallo sviluppo del nuovo terminal petrolifero di Bukhta Sever dimostra ancora una volta il forte interesse di Mosca nello sviluppo dell’artico russo.
Il terminal è situato in un’area vicino al porto di Dikson, ed è destinato a essere utilizzato per il petrolio estratto dal progetto Vostok Oil. In questo contesto la crescente flotta di rompighiaccio servirà a mantenere operativa la NSR per il trasporto di greggio verso i mercati asiatici e, più in generale, non occidentali.
Considerando il gas russo, non posto sotto sanzioni, come sottolineato dal Financial Times e da High North News, è importante ricordare che mentre sono state drasticamente ridotte le importazioni di gas provenienti dalla Russia tramite gasdotti, alcuni Paesi l’Unione Europea hanno importato dai giacimenti dell’Artico russo crescenti quantità di gas naturale liquefatto.
Durante i primi nove mesi del 2022, le importazioni di LNG dalla Federazioni Russa sono infatti aumentate di circa il 50% rispetto all’anno precedente. Questo sottolinea come i Paesi dell’Unione Europea facciano comunque fatica a rinunciare completamente ai rifornimenti provenienti da Mosca, nonostante i crescenti traffici commerciali con Stati Uniti e Qatar per i rifornimenti di LNG.
I rompighiaccio citati all’inizio di questo articolo, insieme a quelli a propulsione tradizionale, hanno e avranno il compito di scortare petroliere e metaniere (le navi per il trasporto di LNG) dai vari terminal portuali della siberia settentrionale. È così che queste navi assumono un’importanza strategica centrale per via del loro potenziale nel reindirizzare l’esportazione di materie prime attraverso la rotta marittima settentrionale.
Per la Russia si tratta di una grossa e costosa scommessa sul futuro, su cui la necessità di esportare le proprie materie prime si intreccia con gli interessi dei Paesi dell’Asia di diversificare le proprie fonti energetiche.
Gianmaria Dall’Asta
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Articolo molto interessante e ben esposto.
Essendo un amante della storia e filatelia polare (segretario Ass. Turinpolar, unica associazione in talia con tema polare artico ed antartico) e avendo sviluppato una mia piccola tematica sui rompighiaccio sovietico-russi , dopo il guaio della dispota Russia-Ucraina, i rapporti con filatelici e commercianti russi sono stati totalmente bloccati, quindi queste notizie, in particolare per il sottoscritto, sono importanti.
Mi piacerebbe avere foto e cartoline dei nuovi mezzi per andare avanti nella loro storia, ma penso sia quasi impossibile.
Comunque avendo aderito al Vs sito spero di rimanere sempre aggiornato.
Ancora complimenti.
Grazie mille Lodovico!
Caro Leonardo, ti ricordo che sono quel Franco Trapani 83enne che ti/vi legge sempre con moltissima attenzione. Le ultime novità, mi mettono una gran paura perchè mi pare di vedere nello scempio dell'Artico fatto a colpi di rompighiaccio l'esatto pendant che la Russia di oggi sta compiendo nella maledetta guerra ucraina. E mi sento solo e impotente sulla guerra così come mi pare di intravedere le distruzione di un ambiente già ferocemente pestato dallo stesso piede. Paturnie senili? Tenete forte voi e buin lavoro.
Franco Trapani da Ortona (CH).
Caro Francesco, quello che dici è certamente vero, nel senso che probabilmente stiamo assistendo a un momento di profonda rivoluzione (parlando dell'Artico), che investe ogni parte della società, dell'ambiente e dell'economia. E non riusciamo a renderci ancora bene conto delle forti implicazioni del cambiamento climatico, in tutta la sua drammaticità. Un caro saluto, Leonardo.