Per capire meglio cosa sta succedendo in Russia, abbiamo intervistato Pietro Figuera, Direttore di Osservatorio Russia.
Dalle parti del Cremlino
Osservatorio Russia, com’è ovvio, si occupa di tutto ciò che concerne il mondo visto da Mosca. Scenari economici e geopolitici, cultura, storia. Perché comprendere al meglio un gigante come quello russo può aiutare a guardare con occhi più “allenati” ciò che succede intorno a noi. Da anni partner di Osservatorio Artico, Osservatorio Russia – il centro di ricerca guidato da Pietro Figuera – ci aiuta quindi ad approfondire lo scenario russo, alla luce del tentativo di golpe dello scorso mese, operato dalla compagnia privata militare Wagner.
Se il 24 Febbraio 2022 ha rappresentato uno shock per la politica internazionale, la decisione del capo della Wagner Evgenij Prigožin di attaccare la sua stessa struttura statale ha allarmato tutte le cancellerie. Cosa sta accadendo in Russia?
«Si tratta di un evento spartiacque, di entità solo di poco inferiore all’inizio della guerra», racconta Pietro Figuera. «Non deve ingannare il fatto che sia tutto rientrato, almeno in apparenza. Certi eventi si sedimentano e lasciano un segno, anche se non immediatamente percepibile. Il colpo di stato contro Gorbačëv dell’agosto 1991, anch’esso fallito nella sua immediatezza, ha segnato per sempre il destino politico del leader del PCUS.
Eppure lo si è compreso soltanto quattro mesi dopo, con le sue dimissioni e la fine dell’Unione Sovietica. Oggi la situazione è diversa, ma c’è da stare con gli occhi aperti. L’azzardo di Prigožin potrebbe aver già dato qualche frutto. Se è vero quanto sostiene Lukashenko, ovvero che il capo della Wagner non si trova attualmente in Bielorussia ma addirittura nella sua San Pietroburgo, significherebbe che ha ottenuto ben più di quanto pensassimo inizialmente».
Un Paese che appare più fragile, al netto delle ipotesi di complotto. La posizione di Putin rimane salda o è iniziata una nuova fase della politica russa?
«La fragilità venuta allo scoperto due settimane fa è particolarmente grave. E non solo per la sfida lanciata da Prigožin agli apparati statali, ma anche e soprattutto per l’incertezza mostrata da questi ultimi nella linea da perseguire nei suoi confronti. Ancora oggi tocca sentire Peskov, portavoce di Putin, sostenere di non sapere dove sia il capo della Wagner, né di essere interessato ai suoi spostamenti.
Un maldestro tentativo di eludere una domanda, ma anche una palese dimostrazione di impunità: se un regime che ha fondato il proprio potere sulla stabilità non dà la caccia a chi ha tentato di rovesciarlo, dopo aver promesso punizioni esemplari, che immagine dà di sé? E non dico solo all’esterno, ma anche rispetto ai propri stessi cittadini. Anche per questo non credo all’idea di un (auto)complotto, come non lo era quello dell’attacco al Cremlino. Autogol troppo insensati per essere plausibili».
«Quanto a Putin, su un piano personale sta certamente risentendo il colpo della marcia di Prigožin – che l’ha costretto a fare pubblicamente dietrofront, dopo anni di appoggio informale alla Wagner. Su un piano politico, non sembra che qualcuno abbia ancora il coraggio di esporsi e seguire il solco di Prigožin, ma la via della successione di Putin – anche al di là delle presidenziali del 2024, che saranno il più possibile irregimentate – è segnata. Ci vorranno mesi o forse anni, ma da eventi del genere non si torna indietro. La sua aura di invincibilità, al di là di ciò che scaturirà dalla guerra d’Ucraina, è già un po’ offuscata».
La Russia nell’Artico
Mosca ha investito pesantemente nelle aree dell’Artico negli ultimi anni, e la Flotta del Nord e le sue truppe d’élite sono state utilizzate (e largamente perse) anche in Ucraina. C’è il rischio per la Russia che si sgretoli anche il fronte Nord, nonostante le tante attività e le unità messe in campo?
«Non credo che lo sforzo bellico ucraino sia arrivato al punto da presentare simili rischi, per Mosca. C’è stato senza dubbio un dissanguamento senza precedenti, almeno dall’inizio della guerra fredda (anche la famigerata guerra d’Afghanistan ha portato meno vittime), ma Putin mi è sembrato discretamente attento a non sguarnire gli altri possibili fronti.
Le unità d’élite perse rientrano nei calcoli tragicamente sbagliati all’inizio della guerra, ovvero la sottovalutazione della resistenza ucraina. Ma sono state presto rimpiazzate da volontari delle aree più povere del Paese, in cerca di reddito “facile”, e dai miliziani del gruppo Wagner. Nell’Artico la Russia ha continuato a espandere le proprie basi, come mostrano le immagini satellitari captate dall’intelligence occidentale nella penisola di Kola e a Vorkuta, anche se è lontana dal mettere al sicuro il suo intero ed estesissimo fronte.
Un problema non certo nuovo, comunque. Resta poi l’incognita di una guerra polare che non è mai stata affrontata, e dei cui scenari possiamo immaginare poco. Sperando che restino nella nostra fantasia».
La NSR appare essere un’ipotesi ormai lontana per l’Occidente. Ma per la Cina e i partner asiatici, sembra invece una grande opportunità per acquisire grandi risorse energetiche russe. Un cambio di scenario o l’affossamento del progetto?
«Le guerre passano, le opportunità commerciali e strategiche restano. Se è vero che la chiusura dei rapporti tra Mosca e l’Occidente avrà durata almeno decennale, e ripercussioni ancora più ampie, è anche vero che il potenziale della Northern Sea Route non potrà essere ignorato a lungo.
Specie se, come previsto ormai da tempo dalla comunità scientifica e dai maggiori esperti di rotte commerciali e affari polari, lo scioglimento dei ghiacci trasformerà il confine settentrionale della Russia in un canale regolarmente navigabile, per un numero crescente di mesi l’anno. Innanzitutto segnalo che la Russia non ha certo smesso di sperimentare i vantaggi della rotta, utile anche solo come via di comunicazione interna, come mostrano le ultime sue iniziative. Ma sono in tanti, ad Est, a guardare con interesse allo sviluppo della NSR, Cina su tutti».
«Magari non sarà il primo di canale di collegamento tra l’Europa e l’Estremo Oriente, per ovvi motivi, ma potrà diventare una sorta di “lago interno” tra chi, aggirando le sanzioni, non intende rinunciare alla crescita degli interscambi reciproci. L’altra faccia della medaglia è che Mosca dovrà concedere sempre più spazio a Pechino, anche e soprattutto nella sua regione artica. Dubito che questo fosse il suo obiettivo finale».
C’è oggi un problema di governance e di rappresentanza russa all’estero? Ovvero: le “minacce” di Cina e Russia di costruire un organo parallelo all’Arctic Council, se non venissero coinvolti nelle sessioni di incontro, sono realmente perseguibili?
«Credo sia un problema generale, che non riguarda solo l’Artico. Le istituzioni sovranazionali onnicomprensive, per così definirle, sono sotto crescente attacco. All’ONU i diplomatici russi sono sempre più isolati, anche se ciò non corrisponde esattamente alla tenuta dei rapporti tra Mosca e il resto del mondo – e qui si potrebbe aprire un capitolo a sé.
Di fatto, oggi l’Occidente ritiene sempre più difficile accettare una parità formale tra tutti i Paesi del mondo, anche in quei contesti (come appunto l’ONU, ma non solo) in cui una pur debole forma di cooperazione ha sempre prevalso sulle alleanze più ristrette. O anche solo sulle legittime condanne dei crimini di guerra compiuti dallo Stato X o Y. Non credo che la guerra d’Ucraina, nella sua mostruosità giuridica (e non solo), sia esattamente senza precedenti. Ma senza precedenti è comunque la volontà deliberata di escludere dal maggior numero di consessi internazionali chi l’ha provocata. Anche per preoccupazioni legittime, si intende.
Il Consiglio Artico non può poggiarsi su una fiducia reciproca ormai inesistente, ma non può neanche fare finta che non esista il Paese dalla maggior estensione nell’area. D’altra parte, non reputo sensata la creazione di organismi paralleli al Consiglio, sulla scia dei BRICS o dell’SCO. Non vedo dove potrebbe andare Mosca, con l’appoggio della sola Cina – al di là della cooperazione bilaterale di cui sopra. L’Artico è un contesto in cui serve la maggior cooperazione possibile, e questa è al contempo un’ottima e una pessima notizia per questi tempi incerti».
Leonardo Parigi
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