Nonostante le sanzioni economiche e numeri poco incoraggianti, il Cremlino punta ancora su nuovi piani di sviluppo portuale per la Northern Sea Route.
Come i lettori di Osservatorio Artico sapranno, il cambiamento climatico – purtroppo – ha effetti soprattutto nell’emisfero settentrionale, facendo aumentare le temperature e innescando lo scioglimento del ghiaccio artico. Questo fenomeno ha fatto sì che la Northern Sea Route (NSR) – la rotta di navigazione passante per la zona polare, il lettore perdonerà l’inglesismo, ma lo zeitgeist è questo – possa essere navigabile, con la conseguente riduzione del tempo di percorrenza dal Nord Europa all’Asia.
Questo direbbe addio al Canale di Suez, ai pirati e a tutti i problemi geopolitici che avvengono nel Golfo di Aden e nel Mar Arabico. Con l’ausilio di rompighiaccio la rotta è navigabile, all’incirca e secondo il clima, da maggio per alcuni mesi. Questa nuova rotta necessita però di infrastrutture lungo tutto il tragitto e la Russia, nel documento dal Ministero dei Trasporti, ha pianificato di aumentare la capacità dei porti da 32 miliardi di tonnellate a 83 milioni entro il 2035. Con il piano di mappare dettagliatamente tutte le secche nel tragitto, in modo tale da poter avere il transito di navi con un pescaggio fino a 15 metri.
Se le stime di apertura della NSR sono però molto differenti tra diversi studi e proiezioni, tutto dipende infatti dalle singole condizioni di viaggio. Un esempio di quanto il clima incida è quello di due petroliere che passando per la NSR appunto, hanno impiegato lo stesso tempo che avrebbero impiegato passando per Suez, dovuto proprio allo spessore del ghiaccio che ha richiesto l’ausilio di un rompighiaccio e ha fatto ridurre la velocità a 3-4 noi in alcuni tratti.
La rotta sarebbe quindi navigabile in alcuni periodi dell’anno con l’ausilio di rompighiaccio, e l’uso di convogli per ridurre i costi. Ci sono comunque già stati, per la chiara gioia degli armatori, dei viaggi di navi coadiuvati da rompighiaccio nucleari, che hanno percorso il passaggio artico in 13 giorni, la metà di quello necessario attraverso Suez.
Non sorprende quindi la necessità di investimenti in infrastrutture e, consequor, la necessità di difenderla. Va ricordato che al di là dell’Artico ci sono Paesi artici membri della NATO, Stati Uniti e Canada. Proprio in una strategia di difesa della NSR è stata fatta un’esercitazione militare russa che ha coinvolto 10.000 uomini in armi nel Mar di Bering e nella penisola dei Ciukci, proprio con l’obiettivo di testare la risposta nelle aree orientali della Russia.
La NSR sulla carta pare proprio una manna con tempi di navigazione ridotti e quindi meno inquinamento derivato dai viaggi artici, ma è proprio questo inquinamento che l’ha resa possible. E dovrebbe essere questo a farci ragionare sul fatto dei grandi impatti del riscaldamento globale sia in termini ambientali, che geopolitici.
E qui entra in gioco un nuovo piano di sviluppo governativo per i porti marittimi di Arkhangelsk e Novaya Zemlja. “Il governo continua a sviluppare sistematicamente la rotta del Mare del Nord”, ha sottolineato il primo ministro Mikhail Mishustin presentando il nuovo piano infrastrutturale per la regione di Arkhangelsk.
Secondo il documento, il porto marittimo locale triplicherà la sua capacità entro il 2035. I prodotti chiave per il nuovo porto di Arkhangelsk saranno i concentrati di zinco e piombo. Mentre nel 2022 ha movimentato 6,5 milioni di tonnellate di merci, nel 2040 sarà in grado di movimentarne 25 milioni di tonnellate, stando alle stime di Mosca.
Per ampliarne le capacità, sono previste importanti operazioni di dragaggio nel fiume Dvina, e si prevede di potenziarne i collegamenti ferroviari da e per il porto marittimo. La costruzione del nuovo terminal inizierà entro il 2026 e sarà completata nel 2031.
Il piano prevede anche la costruzione di un terminal a Novaya Zemlja, che sarà operativo nel 2026. La costruzione della nuova infrastruttura sarà coperta da un esborso straordinario, segno ulteriore dell’interesse federale per lo sviluppo della rete infrastrutturale artica costiera.
Un aumento delle infrastrutture e la militarizzazione di un’area condivisa dalle grandi potenze non è una cosa molto promettente. Se non si riduce l’inquinamento si rischia che l’Artico diventi caldo, ma non solo parlando in termini di temperature.
Gianmaria Ricci
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