Affari Militari

Russia e NATO mostrano i muscoli nell’Artico

La regione artica è pacifica e basa la propria convivenza tra le parti sulla cooperazione e la collaborazione tra gli Stati. Questo assunto ha mantenuto stabile una regione in rapido sviluppo fino a oggi, e la militarizzazione dell’Artico non è in agenda (per ora). Ma il mare e il cielo sono i due spazi dove la Russia e la NATO si guardano negli occhi.

 

Il campo di gioco

Di cosa parliamo quando parliamo di “Artico”? Di una regione colossale, una porzione di mondo perlopiù sconosciuto. Temperature inadatte alla vita umana, distanze incalcolabili da ogni grande città. Eppure oggi la geopolitica guarda con grande attenzione alle mosse dei vari Paesi costieri dell’Artico.

Sono ormai molto datate le ricerche internazionali che si occupavano di dare un ordine di misura alle ricchezze che si celerebbero sotto ai mari ghiacciati dell’Artico. Ma non sono affatto passate di moda. I numeri fanno riferimento a stime di circa 10-15 anni fa. Si parla di un 25% delle risorse mondiali di greggio, gas e minerali fondamentali per lo sviluppo tecnologico odierno. E gli appetiti scatenano inevitabilmente un irrigidimento sul piano militare.

Come dice Federico Petroni nella sua rubrica “Bussola a Nord”:

Pure la convinzione, ancora granitica a queste latitudini, che sia una zona naturalmente pacifica è figlia dello spirito del tempo, dell’idea post-storica che cooperazione e diritto internazionale abbiano soppiantato metodi più muscolari di competizione tra gli Stati.

Lo scioglimento dei ghiacci e l’innalzamento delle temperature portano soprattutto alla schiusura di una più facile ricchezza: nuove rotte commerciali. La possibilità di passare dall’Asia all’Europa risparmiando settimane di viaggio rappresenta un valore commerciale immenso. Sia per le aziende, sia per gli esportatori. Ma anche per chi è il padrone delle coste (e quindi delle acque territoriali).

 

La talassocrazia di Mosca

La Russia è forse il Paese meglio organizzato in questa fase. Le peculiarità ambientali della regione spingono verso una presenza delle unità di pattugliamento civili e militari in cielo e sotto il livello dell’acqua. Nonostante il surriscaldamento globale in atto, infatti, le condizioni proibitive dei mari rendono estremamente costoso e pericoloso il pattugliamento delle navi costiere e militari.

Ecco allora che l’Artico si dimostra uno degli ambiti “naturali” per i sottomarini. Lo scorso 24 marzo il primo sottomarino di attacco “Akula II” russo rimodernato è tornato nei ranghi della Flotta del Nord. Il K-157 “Vepr” entrerà in servizio nel corso delle prossime settimane, stando alle parole del Comandante della Marina Russa, Nikolay Yevmenov. Il sottomarino, lungo 114 metri e incluso nella flotta di Mosca nel 1995, passò alla storia tragicamente tre anni più tardi, quando un militare di 19 anni sparò a otto dei suoi compagni e si barricò nel vano siluro della nave.

Fonte © The Barents Observer

Il Vepr è solo il primo di una serie di sottomarini “Akula-II” a propulsione nucleare riparati e modernizzati che ora sono pronti per le operazioni in mare aperto. Dopo il Vepr vedranno l’ammodernamento necessario anche i suoi fratelli “Bratsk”, “Volk”, “Leopard” e “Samara”. Tutti i sottomarini saranno in grado di trasportare i missili da crociera Kalibr. Grazie a questo upgrade i sottomarini saranno in grado di navigare nelle fredde acque glaciali per i prossimi 25-30 anni. E stando alle dichiarazioni di Yevmenov, anche i sottomarini classe 667BDRM “Delfin” (Delta-IV) e classe 949 (Oscar-II) dovranno essere aggiornati.

Mosca guarda all’Artico come una naturale prosecuzione del proprio territorio. Il Grande Nord fa parte del mito culturale russo, e rappresenta soprattutto un enorme bacino economico per la Federazione russa del futuro. Gas, greggio e risorse, si diceva. Un grande tesoro che dovrebbe sostenere le capacità di influenza geopolitica della Russia del futuro.

Nel 2014 Mosca decise di mettere in funzione il Comando Unificato Strategico della Flotta del Nord, che rappresenta il fulcro di tutte le attività militari della regione, con sede a Severomorsk. Il progetto complessivo di ammodernamento delle basi, dislocate sui 24mila chilometri di costa che affaccia sull’Artico, prevede anche l’implementazione di strade, aeroporti, facilities, comandi militari, caserme e molto altro ancora.

Dopo gli anni dell’abbandono seguiti alla caduta dell’URSS, la Russia di Putin torna a militarizzare il suo Nord con l’apertura di nuove basi e la ristrutturazione di molte tra quelle dismesse“, affermava Mauro De Bonis nel numero speciale di LimesLa febbre dell’Artico” (febbraio 2019).

Secondo Krasnaja Zvezda, dal 2014 sono stati costruiti 710mila metri quadrati di locali corrispondenti a oltre 500 strutture militari nella regione artica. Di queste 89 nella sola base di Nagurkoe, Terra di Alessandra, e circa 250 in quella di Temp, nell’isola di Kotel’nyj. Altri 14mila metri quadrati costituiscono quella che in molti definiscono il fiore all’occhiello tra le nuove basi russe, ovvero il Trifoglio Artico (Arktik Trilistnik, sempre nell’Arcipelago di Francesco Giuseppe), l’edificio più settentrionale del mondo, visitato dal Presidente in persona.

 

La NATO e il ruolo norvegese

A partire dal 2015 si sono moltiplicati gli incontri fra le unità dei Paesi della NATO e le navi, gli aerei e i sottomarini russi. Nel 2016 il Regno Unito fu colpito dalla notizia che alcuni sommergibili russi lungo le coste scozzesi, vicino alla base di Faslane, dove sono dislocati i sottomarini nucleari britannici “Trident”.

La Norvegia è il membro dell’Alleanza Nordatlantica più vicino all’ingombrante vicino russo. E se la collaborazione e la cooperazione internazionale – sia a livello bilaterale sia internazionale – appaiono solide, va anche sottolineato come Washington voglia comunque utilizzare l’alleato scandinavo come “guardiano”.

All’inizio di marzo 2020 gli aerei da ricognizione e anti-sommergibile russi (ASW) sono stati trovati a volare molto più a Sud del cosiddetto “GIUK gap” (Groenlandia – Islanda – Regno Unito). L’area potrebbe rivelarsi uno degli snodi più importanti per le marine della regione in caso di conflitto. La stazione di controllo aereo di Sørreisa, nel nord della Norvegia, ha rilevato gli aerei lo scorso 6 marzo, allertando la base aerea di Bodø.

© Norwegian Air Force

Due F-16 norvegesi si sono alzati in volo per intercettare i velivoli russi e identificarli, e due nuovi F-35 sono partiti dalla base aerea di Ørland, nella Norvegia meridionale, per dargli supporto. Il Generale Tonje Skinnarland, Comandante dell’aeronautica norvegese, ha sottolineato l’importanza del dispiegamento degli F-35 di Oslo. È la prima volta, infatti, che i nuovi velivoli in dotazione alle Forze Armate norvegesi si alzano in volo per una missione operativa di controllo sulla controparte russa. Una volta usciti dallo spazio aereo norvegese, gli aerei russi sono stati intercettati da due Typhoon britannici, al largo delle coste scozzesi.

Il Tu-142 è l’aereo anti-sommergibile in dotazione alla Flotta del Nord russa, e il suo obiettivo naturale è rappresentato dai sottomarini della NATO che gravitano intorno alle coste controllate da Mosca. Insieme al Tu-142 è stato intercettato un MiG-31, che ha scortato il compagno di volo per un certo tragitto.

Gli aerei norvegesi allertati fanno parte del Quick Response Alert della NATO, ovvero del gruppo di unità dell’Alleanza pronte a intervenire in caso di minaccia. L’aeronautica norvegese manterrà gli F-16 presso la base di Bodø fino al 2022, andando progressivamente a sostituirli con i nuovi F-35 che attualmente si trovano nelle basi di Evenes e Ørland. Entro il 2025 tutti e i 52 bombardieri sostituiranno la vecchia flotta aerea, diventando la prima vera forza di “polizia dell’aria” nella regione per conto dell’Alleanza Atlantica e dei suoi alleati.

Fonti:

The Barents Observer
Limes, Rivista Italiana di Geopolitica (numeri 1/2019, 2/2016)
Rivista Marittima, luglio-agosto 2016

Leonardo Parigi

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Leonardo Parigi

Sono Laureato in Scienze Politiche Internazionali all’Università di Genova e di Pavia. Sono giornalista pubblicista, e collaboro con testate nazionali sui temi di logistica, trasporti, portualità e politica internazionale.

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