Gli Stati Uniti, leader globale nella proiezione di potenza, faticano a mantenere una presenza credibile nell’Artico. Un’analisi delle lacune della loro flotta di rompighiaccio tra difficoltà strutturali e disinteresse politico.
Abbiamo già discusso in precedenza delle rompighiaccio, imponenti imbarcazioni che rendono possibile la navigazione attraverso lo spesso ghiaccio pluriennale, consentendo agli Stati di proiettare la propria influenza nelle regioni polari, sia a Nord sia a Sud del globo.
L’articolo che state per leggere fa parte di una “serie”, nella quale approfondiremo lo stato attuale delle flotte rompighiaccio dei principali attori artici, esplorandone il passato e analizzandone le prospettive di sviluppo future. Riprendiamo quindi il discorso da dove l’avevamo lasciato, concentrandoci ancora una volta sulla flotta degli Stati Uniti, una grande Potenza globale che, forse sorprendentemente, è però ancora lontana dal poter essere considerata anche una Potenza artica.
In un Artico sempre più caldo e accessibile per colpa o per merito del cambiamento climatico, gli interessi di piccole e grandi Potenze si intrecciano. Con la progressiva fusione dei ghiacci, risorse naturali e nuove rotte commerciali diventano sempre più ambite. Tuttavia, la regione rimane estrema e inospitale, ponendo una sfida costante per la vita umana.
Nonostante ciò, lo sviluppo dell’Artico resta imprescindibile, anche per le circa quattro milioni di persone che vi abitano. E l’ingegno umano ha permesso, per far fronte alle condizioni estreme poste dalla natura, di creare infrastrutture e catene logistiche che si estendono per migliaia di chilometri. Il trasporto via terra è quasi impossibile: d’inverno il terreno è ghiacciato e battuto dai venti, mentre d’estate si trasforma in una palude. Le strade, in queste condizioni, durano poco. Sono “effimere”, per usare un termine tecnico.
Il treno? Non è un’opzione: le temperature estreme e le enormi distanze tra le città rendono impraticabile anche questa soluzione, almeno nell’Artico siberiano e americano. Nemmeno l’aereo è una valida alternativa: per trasportare tonnellate di materie prime verso i centri di lavorazione sarebbe inefficiente e davvero troppo costoso.
È qui che le rompighiaccio diventano fondamentali: imbarcazioni capaci di aprire varchi nello spesso ghiaccio polare, consentendo la navigazione ai cargo carichi di risorse energetiche, rifornimenti, beni di consumo o, qualche volta, persino turisti.
Pur considerando il fatto che l’Artico americano è scarsamente popolato e che le sue risorse, per ora, troppo difficili da sfruttare per giustificare grandi investimenti, resta comunque sorprendente che gli Stati Uniti dispongano di appena due rompighiaccio. Una delle quali, la Healy, è andata a fuoco lo scorso agosto. Questo dato stride con la capacità statunitense di proiettare potenza pressoché in tutto il globo grazie a una Marina Militare sostanzialmente invincibile e pronta a intervenire in qualsiasi angolo del pianeta. Paradossalmente, questa potenza non arriva all’Artico, dove la Russia regna incontrastata con una flotta di oltre 40 rompighiaccio, sette delle quali a propulsione nucleare.
Non è sempre stato così. Durante la Seconda guerra mondiale, gli Stati Uniti erano pionieri nella costruzione di rompighiaccio, indispensabili per raggiungere le basi militari in Groenlandia e i porti sovietici del Nord. Ancora, negli anni Cinquanta gli USA disponevano di otto rompighiaccio, una flotta significativa all’epoca. Tuttavia, l’ultima nave statunitense con queste capacità è stata varata nel 1999. Si tratta proprio della Healy, la stessa coinvolta nell’incidente dell’agosto 2024.
Quando si tratta di questi argomenti, l’attenzione è spesso rivolta quasi esclusivamente all’Artico. È importante però ricordare che, delle due rompighiaccio attualmente operative nella US Coast Guard, la Polar Star è l’unica rompighiaccio pesante capace di operare in Antartide. Il suo compito principale è rifornire la base statunitense di McMurdo. La più grande del continente antartico, questa struttura funziona come una piccola città e, per ovvie ragioni, si trova ad avere costantemente bisogno di rifornimenti. Varata nel 1976, la Polar Star trascorre gran parte del tempo in cantiere, aggiustata, per quanto possibile, con componenti recuperati da altre navi ormai fuori servizio. I viaggi in Antartide ormai non sono altro che pause felici di operatività tra una riparazione e l’altra.
Per far fronte a questa situazione critica, sono stati avviati alcuni tentativi di ammodernamento, il più noto dei quali è il Polar Security Cutter Program. Le autorità statunitensi, sia civili sia militari, si dichiarano consapevoli dell’urgenza di disporre di una flotta adeguata. Le due rompighiaccio attuali sono ormai obsolete e molto limitate nelle loro operazioni. Già nel 2013, il bilancio federale aveva stanziato fondi per un piano che prevedeva la costruzione di sei nuove rompighiaccio pesanti per la Guardia Costiera. La prima nave, la Polar Sentinel, avrebbe dovuto essere consegnata nel 2024. Tuttavia, il progetto ha incontrato numerosi ostacoli, tra cui il quasi fallimento di VT Halter Marine, l’azienda incaricata della costruzione, poi acquisita da Bollinger Shipyards, che ha promesso di portare avanti il programma.
Rispetto ai costi inizialmente previsti, il Congresso USA stima ora che la costruzione di sole tre unità potrebbe raggiungere un costo di 5,1 miliardi di dollari, con un probabile ulteriore aumento. E la consegna della prima continua a slittare: inizialmente prevista per il 2024, è stata posticipata prima al 2027 e poi al 2028. Ora non c’è nemmeno certezza che avvenga entro il 2029.
Il recente ICE Pact firmato da Canada, Finlandia e USA, pensato per favorire la cooperazione tecnologica e industriale tra alleati in ambito rompighiaccio, difficilmente apporterà miglioramenti significativi alla flotta americana. L’industria statunitense si dimostra infatti meno competitiva rispetto a quelle di Russia o Finlandia, per esempio, entrambe più esperte nel settore.
Tuttavia, il vero ostacolo sembra essere la mancanza di interesse politico. Gli Stati Uniti appaiono rassegnati a mantenere l’attuale stato delle cose, evitando di affidarsi a partner esterni, non fidandosi nemmeno degli alleati, per costruire queste navi, anche se cruciali per sostenere una presenza credibile nell’Artico.
Chiaramente l’Artico non è attualmente una priorità per Washington.
Tommaso Bontempi
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