L’incendio della rompighiaccio Healy mette in luce lo stato drammatico della flotta polare della Guardia costiera degli Stati Uniti.
Rompighiaccio a fuoco
Le rompighiaccio sono grandi protagoniste nel “Grande Gioco” dei mari polari, navi progettate per non fermarsi davanti a niente, aprendo varchi e passaggi nelle silenziose distese ghiacciate. Sono simboli di potenza e strumenti indispensabili per il controllo delle risorse nascoste sotto la banchisa ma, soprattutto, delle rotte di navigazione.
Da un lato, la Russia domina l’Artico con una flotta che, rispetto a quelle di tutti gli altri Paesi del mondo, non esitiamo a definire impressionante: decine di rompighiaccio, diverse a propulsione nucleare. Dall’altro, gli Stati Uniti, grande avversario della Federazione Russa, come è facile immaginare, anche nella dimensione artica, ne contano a malapena due.
E come se non bastasse, una delle due è andata a fuoco lo scorso agosto. Si tratta della Healy, la rompighiaccio polare “più grande e tecnologicamente più avanzata” degli Stati Uniti, in servizio presso la US Coast Guard.
La più grande rompighiaccio statunitense
La Healy, entrata in servizio nel 1999, è una rompighiaccio di medie dimensioni. Secondo gli standard internazionali, una nave può essere iscritta in una cosiddetta “classe polare” (PC in lingua inglese, Polar Class) a seconda delle sue caratteristiche operative: la capacità di navigare tutto l’anno, piuttosto che solo in estate e autunno, quando il ghiaccio è più sottile, e lo spessore del ghiaccio che lo scafo può arrivare a, appunto, rompere.
Vale la pena ricordare, in questo caso, che le rompighiaccio non “tagliano” il ghiaccio con la prua, a mo’ di coltello nel burro. Queste particolari imbarcazioni sono infatti specificamente costruite quasi per galleggiare sul ghiaccio, frantumandolo sotto il loro stesso peso con il semplice ausilio della forza di gravità.
La Healy è una rompighiaccio di classe 3. Questo significa che è in grado di operare tutto l’anno in condizioni di ghiaccio dette “biennali” (inverno dopo inverno, sul ghiaccio già presente della banchisa se ne forma altro, stratificandosi e raggiungendo uno spessore non indifferente nel corso degli anni), facendosi strada su una banchisa spessa fino a 2,5 metri.
Cannibalismo fra imbarcazioni
L’imbarcazione, oltre che una rompighiaccio, è una nave da ricerca e disponendo di quasi 400 metri quadrati di laboratori scientifici, lo scorso giugno, è quindi partita dal porto di Seattle per completare una serie di missioni scientifiche nell’Artico.
Un incendio elettrico ha però presto costretto la Guardia Costiera a cancellare due delle tre missioni previste, portando al ricovero della Healy presso i cantieri navali di Seattle. Questo incidente evidenzia però un problema più ampio nella gestione della flotta rompighiaccio statunitense. Secondo quanto dichiarato dal vicecomandante della Guardia costiera degli Stati Uniti, Ammiraglio Kevin E. Lunday, infatti:
“Perché una grande rompighiaccio della Guardia Costiera sia oggi in grado di navigare, è necessario effettuare quello che viene chiamato uno scambio controllato di componenti con altre imbarcazioni ormeggiate. Questo non è altro che un modo carino di definire il cannibalismo”.
Un problema da risolvere
Questa prassi è quindi stata seguita per i 25 anni di servizio della Healy e, per molto più tempo, nel corso della vita della Polar Star, l’altra rompighiaccio polare in servizio alla Guardia costiera statunitense, varata nel lontano 1976. L’approccio cannibale non è quindi più sostenibile e solleva dubbi sulla effettiva capacità degli Stati Uniti di mantenere una presenza adeguata nella regione artica.
L’incidente della Healy mette in luce non solo le vulnerabilità della già ridottissima flotta rompighiaccio degli Stati Uniti ma impone loro di fare una seria riflessione sullo stato delle proprie capacità artiche. In questo contesto, l’ICE Pact, il patto politico-industriale tra Stati Uniti, Canada e Finlandia per la costruzione di 90 rompighiaccio nei prossimi dieci anni, rappresenta, potenzialmente, una ventata di aria fresca.
Al di là degli accordi internazionali, investimenti adeguati e una pianificazione strategica a livello domestico sono però essenziali per garantire una presenza operativa nell’Artico, soprattutto perché, nel frattempo, la Russia continua a consolidare la sua superiorità con una flotta di rompighiaccio in espansione, mentre le acque artiche non hanno visto scafi statunitensi per buona parte dell’estate 2024.
Tommaso Bontempi