Le Rivoluzioni russe posero fine, con violenza, a trecento anni di Dinastia Romanov. Il neonato governo sovietico si trovò a dover amministrare l’immenso territorio che era stato l’Impero, facendo i conti fin da subito con l’importanza economica e strategico-militare della regione artica.
Le rivoluzioni russe
Nel 1905 in Russia era scoppiata una rivoluzione – che nella storiografia successiva sarebbe stata ricordata come Prima rivoluzione russa – che aveva indotto lo zar Nicola II a concedere limitate libertà politiche e a fondare la Duma di Stato per dare al popolo una limitata rappresentanza.
La Rivoluzione di febbraio del 1917 vide la popolazione dell’Impero russo, stremata da una Prima guerra mondiale che sembrava non finire mai e che aveva già visto milioni di soldati perire in battaglia, cadere feriti o catturati dal nemico, insorgere contro il potere politico e contro la scarsità di pane e di combustibile.
Le forze militari che rimanevano a Pietrogrado – il nome con il quale era stata ribattezzata la città una volta scoppiata la guerra, preferito a quello “troppo tedesco” di San Pietroburgo –, anziché procedere alla repressione dei tumulti con le armi, si schierarono al fianco dei rivoltosi. La Duma formò un governo provvisorio e lo zar Nicola II, che allora si trovava lontano dalla sua capitale, non ebbe altra scelta che abdicare. Dopo più di tre secoli, la sovranità dei Romanov sulla Russia giungeva dunque a una fine.
L’ascesa dei bolscevichi
L’errore più grande del governo provvisorio fu quello di decidere di mantenere gli impegni internazionali presi dalla Russia e di continuare la Prima guerra mondiale a fianco degli alleati. I soviet di Pietrogrado, le assemblee che riunivano i rappresentanti dei contadini, degli operai e dei soldati nate nel corso della Rivoluzione del 1905, seppero mantenere la simpatia delle masse popolari e dei soldati molto più saldamente del governo provvisorio, da essi e dai loro sostenitori additato come “borghese”.
Nonostante la buona fede del governo provvisorio, le riforme agrarie, civili e politiche che tardavano ad arrivare e la prosecuzione della Grande Guerra portarono alla fine di questo esperimento politico nel giro di pochi mesi. Nell’aprile del 1917 era infatti tornato a Pietrogrado, dopo un lungo esilio, Vladimir Lenin, capo della corrente più rivoluzionaria e intransigente del partito operaio socialdemocratico russo, quella bolscevica, che di lì a poco avrebbe assunto il totale controllo dello Stato con la Rivoluzione d’Ottobre.
Il nuovo governo bolscevico fu instaurato il 7 novembre del 1917 a Pietrogrado, e quindi in tutta la Russia, riuscendo a impossessarsi del potere politico in modo quasi fortuito approfittando della debolezza del governo di Kerenskij. Le poche truppe ancora fedeli a questo non riuscirono a difendere il Palazzo d’Inverno preso d’assalto dalle Guardie rosse, che lo conquistarono con facilità.
I primi passi verso un’amministrazione dell’Artico sovietico
Nei primi anni del Novecento si sviluppò la cosiddetta “teoria settoriale”, che prevedeva che l’Artico dovesse essere suddiviso piuttosto precisamente seguendo i confini degli Stati che vi si affacciavano. La neonata URSS decise di appropriarsi di questa teoria emanando un decreto che rivendicava come proprie tutte le terre e le isole (anche quelle che non erano ancora state scoperte) comprese tra le coste sovietiche e il Polo Nord, mirando a impedirvi l’espansione di altri Stati.
Appurato però che nell’Artico, oltre a quanto fino ad allora era già stato scoperto, non esistevano altre terre o isole di significative dimensioni, nasceva un altro problema. Imporre la sovranità sull’Artico rimaneva una questione nazionale di grande importanza per l’URSS perché sopra di esso si poteva stabilire una rotta aerea diretta per raggiungere l’America più velocemente che passando sopra l’Atlantico e, vista l’assenza di rilievi montuosi, che permettesse anche il sorvolo a bassa quota dei dirigibili. Vista l’importanza che assumeva lo spazio aereo, si propose quindi di estendere la divisione settoriale non solo alle terre emerse ma anche all’oceano, ai ghiacci e allo spazio aereo soprastante.
Per giustificare ideologicamente gli interessi sovietici nella regione artica e la teoria dei settori, il giurista Vladimir Lachtin, sostenendo che la sovranità sull’Artico fosse appartenuta alla Russia da tempo immemore, considerando la Storia un fattore determinante nel giustificare le pretese sovietiche, propose di leggere la rivalità per il controllo di una rotta aerea artica attraverso la lente dell’ideologia marxista-leninista: l’URSS giustificava i suoi interessi sostenendo la necessità di difendersi dai possibili attacchi delle Potenze capitaliste e imperialiste attratte dalle risorse del Nord.
La classica dottrina dell’evitare l’accerchiamento da parte del nemico, forse il più importante concetto della cultura strategica russa, si stava infatti prepotentemente imponendo anche nella politica estera dell’Unione Sovietica, e l’Artico non ne era immune: nel 1928 era infatti asceso al potere Iosif Stalin.
Tommaso Bontempi