Il terzo e ultimo capitolo dell’indagine di Laura Borzi sulla Sovranità nell’Artico si sofferma sul concetto di sovranità tradizionale, prendendo in analisi le questioni territoriali contese tra gli Stati artici.
Leggi anche la prima parte dell’articolo sulla sovranità percepita e i nuovi modelli di sovranità e la seconda parte dedicata alle relazioni con i popoli indigeni dell’Artico. Questo articolo è stato realizzato in collaborazione con il Centro Studi Italia Canada. Laura Borzi è analista del Centro Studi Italia Canada con focus su Artico canadese e la politica estera di Ottawa.
In senso rigorosamente giuridico, quando si parla di sovranità in Artico, si fa riferimento alla giurisdizione canadese sulle acque del Nord. Gli esperti hanno ripetutamente sottolineato che, con l’unica eccezione dell’isola di Hans, non ci sono dispute che riguardino il territorio artico, incluse le 36.000 isole dell’arcipelago.
Le questioni sui confini relative ad alcuni territori che vedremo in questo articolo assumono più che altro un grande significato politico nell’Artico nel segno della cooperazione internazionale tra Stati confinanti.
La disputa “politica” per l’Isolotto di Hans tra Canada e Danimarca
L’ isolotto di Hans è una porzione di terra disabitata di 1.3 km2 tra l’isola di Ellesmere e la Groenlandia nord occidentale al confine marittimo tra il Mare di Lincon e quello di Labrador. Si tratta dell’unica circostanza di rivendicazione terrestre, non sono in discussione le acque che la circondano. Il caso è un esempio di come una disputa poco rilevante possa diventare in Artico altamente simbolica, se un discorso politico iperbolico se ne appropria.
La controversia, che ad un certo punto sembrava essere diventata il prologo alla perdita di una sovranità a Nord fondata su basi fragili, ha avuto momenti di crisi e febbre mediatica nel 2003-2005 con l’invio di asset militari, navi danesi e un gruppo di Ranger canadesi.
Queste vicende hanno messo in secondo piano l’importante aspetto della buona relazione tra i due Stati coinvolti, Canada e Danimarca, che collaborano attivamente nella raccolta di dati per la delimitazione della piattaforma continentale a nord dell’isola di Ellesmere e della Groelandia, così come nel Mare di Labrador. Nel 2012 si è raggiunto una prova di accordo per la questione del confine marittimo nel Mare di Lincon[1] e nel 2018 è stata annunciata la formazione di una task force congiunta per risolvere la vertenza alla luce del diritto internazionale.
Le conseguenze della perdita dell’isolotto disabitato sono essenzialmente di natura politica: per Copenhagen è in gioco la relazione con la Groelandia che mostra interesse per l’indipendenza, mentre per Ottawa significherebbe un indebolimento della posizione negoziale riguardo la disputa sul mare di Beauford con gli Stati Uniti.
Mare di Beauford: la frontiera marittima contestata tra Canada e Stati Uniti
Il Mare di Beauford costituisce una regione con un potenziale non ancora sfruttato in termini di idrocarburi che vede la persistenza di una disputa tra Ottawa e Washington su un’area modesta di 22,600 km2. La frontiera terrestre tra Alaska e Yukon è fissata al 141o meridiano ovest mentre la frontiera marittima è contestata.
Il Canada rivendica l’estensione della frontiera terrestre facendo affidamento sulla interpretazione della Convenzione del 1825 tra la Gran Bretagna e la Russia, che ha venduto l’Alaska agli Stati Uniti nel 1867. Washington, invece, fonda la rivendicazione sul principio dell’equidistanza. Poiché la costa dello Yukon è concava e quella dell’Alaska convessa, se si applicasse questo metodo, gli Stati Uniti avrebbero maggiori benefici.
In realtà, il potenziale di risorse sarà difficilmente sfruttabile nel medio-lungo periodo: esistono significative sfide tecnologiche, mancanza di infrastrutture e normative ristrette, oltre alle implicazioni dell’accordo di Parigi a cui gli USA hanno recentemente fatto ritorno. Il che mitiga i costi di un accordo politico che, se concretizzato, non farebbe che affiancarsi alla costante collaborazione che i due alleati portano avanti in merito alla mappatura della piattaforma continentale.
Il processo di definizione dei limiti della delimitazione della piattaforma continentale in Artico è assai indicativo di come la retorica di crisi e tensione politica non si estenda alle dispute territoriali. Un approccio pacifico, basato sul diritto internazionale e cooperativo, è quello che gli Stati artici stanno seguendo.
In base alla Convenzione sul diritto del Mare UNCLOS (1984), cui il Canada ha aderito nel 2003, lo Stato costiero ha il diritto di esplorare e sfruttare le risorse naturali della propria piattaforma continentale, fondale marino e sottosuolo. Questi diritti esistono ipso facto e ab initio (art.77) indipendentemente dal fatto che lo Stato decida di agire in proposito, ovvero non sono dipendenti da una occupazione effettiva o da una proclamazione espressa. Tuttavia, nessuno Stato può sfruttare tali risorse senza l’autorizzazione dello Stato costiero.
Il 23 maggio 2019, il Canada ha presentato la documentazione sulla definizione dei limiti esterni della propria piattaforma continentale dell’Oceano Artico alla Commissione istituita dal Trattato stesso, un documento di 2100 pagine che riguarda 1.2 milioni di km2 di fondale marino e sottosuolo nell’oceano Artico compreso il Polo Nord. I dati sono stati sottoposti all’organo deputato, in collaborazione con Danimarca e Stati Uniti.
All’insegna del realismo, anche con la Russia ci sono state regolari consultazioni e scambio di lettere, nella consapevolezza che i documenti dovranno andare di fronte alla stessa Commissione. Lo scambio di informazioni ha messo in luce le sovrapposizioni in merito alle rivendicazioni sulla dorsale Lomonosov tra Canada, Danimarca e Russia.
Si evince un’attitudine assai pragmatica da parte degli Stati artici dal momento che le raccomandazioni della Commissione offriranno un livello ulteriore di informazione critica di cui potrà giovarsi il processo negoziale che rimarrà in capo agli Stati contendenti, in una fase successiva.
Questa procedura, infatti, non pregiudica la questione della delimitazione della piattaforma continentale tra Stati con coste opposte oppure adiacenti. Pertanto, le raccomandazioni come tali non avranno impatto sulla determinazione dei confini del Mare di Beauford né potranno risolvere le questioni relative alle rivendicazioni in merito alla dorsale Lomonosov.
È importante che il dialogo resti aperto con tutti i soggetti artici che hanno mostrato adesione e rispetto per il processo UNCLOS. Alla fine del percorso, ci sarà il riconoscimento internazionale dell’area in cui il Canada eserciterà i propri diritti sovrani nei fondali marini e nel sottosuolo in modo da stabilire la frontiera sulla cartina canadese nel rispetto dei diritti di tutti gli Stati artici.
Il disaccordo maggiore del Canada con gli USA è quello relativo allo status giuridico del Passaggio a Nord Ovest[2]. È un dossier significativo per comprendere non solo l’enfasi canadese sulla sovranità, ma la stessa particolare relazione tra i primer parters.
Secondo Ottawa tutte le acque dell’Arcipelago, incluse le vie d’acqua che costituiscono la Northwest Passage (NWP), costituiscono acque interne su cui il Canada esercita un totale controllo, incluso il potere di determinare l’accesso delle navi straniere.
Per gli Stati Uniti, invece, le vie d’acqua canadesi sono sempre state considerate come uno stretto internazionale con diritto di passaggio per navi civili e militari, non sottoposto dunque a limitazioni da parte alcuna. La posizione sulla libertà di navigazione di Washington è una pietra miliare della politica estera americana che permette la mobilità degli asset navali su scala mondiale.
Un’apertura eventuale in tal senso verso Ottawa rischierebbe di ostacolare la navigazione su vie strategiche come lo Stretto di Hormuz nel Golfo Persico, lo Stretto di Malacca nel Sud Est asiatico o lo Stretto di Gibilterra nel Mar Mediterraneo. Nei decenni passati il transito di due navi americane (Manhattan nel 1969 e Polar Sea nel 1985) nel Passaggio sono stati considerati dai canadesi eventi gravi in termini di violazione della sovranità, sebbene in entrambi i casi il governo canadese avesse collaborato con gli americani nella preparazione del viaggio.
Dopo la traversata della petroliera Manhattan, il governo federale si è mobilitato, a partire dagli anni 70, con approcci funzionali in materia di sovranità, qualificando l’Artico come regione ecologicamente sensibile ed emanando una legislazione che estendeva la competenza verso nord per impedire che navi straniere potessero inquinare.
Nel 1985 la Legge sulla prevenzione dell’inquinamento nelle acque dell’Artico ha consentito ad Ottawa di controllare e regolamentare il traffico petroliero futuro nell’area, creando una zona per la prevenzione dell’inquinamento di 100 miglia nautiche a largo dell’arcipelago e intorno alle isole. La Legge sul mare territoriale e le zone di pesca ha definito la regola delle 12 miglia sottoponendo le acque che conducono al passaggio sotto il controllo canadese.
Continuando sulla scia della regolamentazione giuridica, la Convenzione sul diritto del mare ha adotatto, con il sostegno americano, la proposta canadese dell’art.234 che conferiva agli Stati costieri il diritto di adottare e di far applicare leggi e regolamenti non discriminatori per prevenire, ridurre e gestire l’inquinamento marino causato dalle navi in zone ricoperte da ghiacci e compresi nei limiti della zona economica esclusiva.
Con la traversata della rompighiaccio Polar Sea della Guardia costiera americana che, per ragioni operative, l’approvvigionamento della base di Thule in Groenlandia, utilizzava la rotta senza chiedere il permesso di Ottawa, si è aperta una nuova crisi. Il governo Martin B. Mulroney (1984-1993) rispose dichiarando la sovranità sulle acque dell’arcipelago considerate acque storiche ed esponendo un piano in cui si aumentavano gli asset militari in Artico.
La sistemazione della disputa si è concretizzata con la firma dell’accordo di cooperazione in Artico siglato nel 1988 e facilitato dal rapporto tra Mulroney e il Presidente Reagan, una soluzione pragmatica che non comprometteva la posizione giuridica di nessuno dei due Paesi, sollecitando gli Stati Uniti a richiedere il consenso canadese per il passaggio dei rompighiacci americani, un permesso che sarebbe stato accordato.
Il riconoscimento della divergenza ha dimostrato le buone relazioni politiche tra le due parti senza compromettere le rispettive visioni in diritto. Nell’attuale panorama internazionale, tuttavia, la questione dello status del Passaggio a Nord Ovest non è più semplicemente un dibattito accademico tra giuristi canadesi e americani.
L’aumento del transito nelle rotte polari rischia di rivelare contrasti con Stati con cui la relazione politica è assai più complessa e che, va ricordato, al pari degli americani, ritengono la posizione canadese non conforme al diritto internazionale. La presidenza Trump ha nondimeno ricordato ai canadesi quanto illegittima resti la loro posizione dal punto di vista di Washington.
Nel maggio 2019 a Rovaniemi, in sede di Consiglio Artico, le dichiarazioni del Segretario di Stato Mike Pompeo sull’illegittimità della posizione canadese (come di quella russa sulla Rotta di Nord-Est) hanno causato una certa sorpresa e frustrazione tra i delegati del Consiglio Artico e sono state prontamente respinte dall’allora Ministro egli esteri Chrysta Freeland.
L’intervento di Pompeo ha definito un quadro globale in cui si evidenzia che oramai anche in Artico, così come a livello mondiale, le politiche di Russia e Cina costituiscono una minaccia agli interessi americani. Su tale sfondo è stato infatti ribadito il concetto di libera navigazione nei mari per la cui difesa, il Segretario alla Marina, Richard Spencersosteneva che Washington avrebbe potuto effettuare Freedom of Navigations Operation (FONOPs) al Nord.
A tal proposito, come spesso accade in Artico, anche gli USA sono stati costretti a confrontarsi i con il divario tra le intenzioni e i mezzi a disposizione. Pertanto, alcune dichiarazioni sono restate prese di posizione formale, mancando degli asset necessari per realizzare i propositi.
La possibilità di portare avanti FONOPs non si è concretizzata. Le rompighiaccio statunitensi non sono disponibili in quanto la Polar Star è impegnata nel rifornimento in Antartide per circa sette mesi l’anno, mentre la Healy si trova impegnata in Alaska per operazioni di S&R e a sostegno delle missioni scientifiche in artico.
La presidenza Biden costituisce una svolta rispetto all’unilateralismo e alla minore prevedibilità dell’ultimo inquilino della Casa Bianca. Concretamente, comunque, neanche l’amministrazione precedente avrebbe potuto giovarsi dell’indebolimento dei rapporti con Ottawa. Non tanto per l’ausilio che la guardia costiera canadese fornisce nel viaggio di rifornimento delle navi americani alla base di Thule in Groenlandia.
Esiste un’urgenza di pura realpolitik, con obiettivo mitigare e contrastare l’influenza cinese e russa nella regione, che richiede un fronte unito dell’Occidente nell’Artico nordamericano come in quelli europeo. In conclusione, nell’ottica del diritto internazionale che continua a dominare i rapporti tra gli Stati in Artico non si vedono per il Canada minacce alla sovranità anzi è proprio la cornice UNCLOS che garantisce la collaborazione e gli interessi di tutti gli Arctic Five.
In merito alla relazione con Washington, non è posta in pericolo da divergenze giuridiche di lieve (Mare di Beauford) o pesante impatto (Passaggio a Nord Ovest) e anzi resta l’architrave della difesa artica e continentale. Al di là degli avvicendamenti di governo e relative posizioni politiche da entrambi i lati del lungo e indifeso confine, non sembra ipotizzabile che Ottawa possa mettere a repentaglio su alcun tema la partnership con il maggiore alleato.
Come spesso accade nell’ambito delle relazioni internazionali in generale e anche per quelle nella regione artica, non sono le divergenze politiche tra Paesi amici e alleati quelle in grado di mettere in pericolo la sicurezza degli Stati.
[1]Canada and Denmark reach agreement on the Lincoln Sea Boundary – EJIL: Talk!
[2]Stretto di Davis, Baia di Baffin, attraverso l’arcipelago canadese, il Mare di Beauford, Mare di Chukchi, Oceano Pacifico attraverso lo stretto di Bering
Laura Borzi
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