Cosa vuol dire oggi essere ricercatori italiani in Norvegia? Qual è l’attuale situazione della ricerca in questo Paese? Per rispondere a queste domande l’ambasciata italiana ad Oslo ha organizzato un webinar per far chiarezza e celebrare i ricercatori italiani in Norvegia.
Il 15 aprile (data di nascita di Leonardo Da Vinci), l’Ambasciata italiana a Oslo in onore della “Giornata della ricerca italiana nel mondo” ha organizzato un webinar intitolato “Essere ricercatori/ricercatrici italiani/e in Norvegia e in Islanda oggi. Esperienze, problemi e prospettive” con l’obiettivo di promuovere, valorizzare e celebrare il valore della ricerca scientifico-tecnologica sviluppata in Italia e all’estero.
I temi dell’evento sono stati il valore della ricerca italiana e dei nostri ricercatori in Norvegia, la qualità del nostro sistema educativo e il know-how tecnologico nazionale. Oggi l’Italia della ricerca è ottava al mondo per numero di pubblicazioni scientifiche, e i suoi ricercatori sono una risorsa importantissima per il nostro Paese.
Si contano più di 246.000 persone impiegate nel settore della ricerca e sviluppo, e solo in Norvegia si calcolano 500 scienziati e ricercatori italiani, mentre per l’Islanda non ci sono dati precisi. I ricercatori italiani sono coloro che mantengono forti legami e contribuiscono agli scambi scientifici tra i due Paesi, e quindi la scienza è uno strumento del soft power italiano in Norvegia e Islanda.
In questo seminario è stato possibile ascoltare e confrontare le esperienze di alcuni scienziati e ricercatori italiani che vivono e lavorano in Norvegia e in Islanda, i quali sono impegnati nelle università, nelle imprese e nelle istituzioni. La discussione ha incluso precisi ed interessanti temi come: le risorse per la ricerca, il brain drain, la parità di genere e i possibili contatti con l’Italia.
Oltre al numeroso pubblico, hanno partecipato il professore Arnoldo Frigessi (UiO), l’ingegnere Arianna Minoretti (Statens vegvesen), la Dott.sa Sara Barsotti (Osservatorio vulcanologico Islandese- IMO), il Prof. Filippo Berto (NTNU), il Prof. Carl Thodesen (OsloMet), la Dott.sa Barbara Scarnato (DNV), il Dott. Jonathan Rizzi (NIBIO), la Sen. Laura Garavini e l’Ambasciatore Alberto Colella.
L’elevato numero di ricercatori italiani nel mondo è sinonimo, da un lato, della competenza e della bravura degli uomini e delle donne che ogni giorno si dedicano al settore della ricerca e dello sviluppo, ma dall’altro della poca attrattività italiano per costruire una vita privata e professionale di pari livello rispetto ad altre nazioni.
L’investimento italiano nella ricerca (pari al 1,4% del P.I.L.) è ben al di sotto degli obiettivi europei della strategia di Lisbona, che prevede una spesa pari al 3% del P.I.L. e ciò di conseguenza si riflette sul sistema educativo. L’Italia è tredicesima in Europa per numero di laureati e ricercatori. Inoltre, l’età del corpo docente universitario è molto alta, e nel nostro Paese il numero di docenti universitari al di sotto dei quarant’anni è pari al 13%, mentre in altri Paesi europei – come il Lussemburgo – la percentuale raggiunge il 60%. I ricercatori italiani hanno un’età media pari o superiore ai cinquant’anni, mentre nel Regno Unito sono il 40% e in Francia solo il 37%.
Occorre intervenire prontamente e tempestivamente su cosa fare e quali politiche attuare per evitare la fuga delle eccellenze scientifiche – e non solo – dall’Italia.
È notizia recente che il governo italiano, nell’ambito del PNRR, (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza – il programma di investimenti che l’Italia deve presentare alla Commissione europea nell’ambito del Next Generation EU), abbia inserito un potenziamento delle risorse per la ricerca pari al 3%.
Infine il 12 aprile 2021, il Ministro dell’Università e della Ricerca, Maria Cristina Messa, ha nominato con decreto Maria Chiara Carrozza Presidente del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr) per i prossimi quattro anni. Un importante segnale al mondo della ricerca da parte del governo italiano.
Per la Norvegia, lo sviluppo della ricerca e il potenziamento del sistema educativo di alto livello hanno un carattere prioritario per il Paese, il quale investe ogni anno l’l,93% del PIL, pari a circa 7 miliardi di dollari (dati 2015). La Norvegia possiede 38 istituti superiori di ricerca, nei quali operano più di 42.000 ricercatori di cui 500 di nazionalità italiana.
Il “Piano a lungo termine per la ricerca e l’istruzione superiore” (2019-2028) si prefigge tre obiettivi principali:
Il piano decennale individua cinque aree tematiche verso cui destinare la gran parte delle risorse finanziarie per la ricerca:
Settori di ricerca tradizionalmente forti in Norvegia sono la ricerca in Artico e i cambiamenti climatici, ma anche la salute pubblica, le scienze della terra e la geologia, senza dimenticare le attività marine (e marittime), le tecnologie estrattive petrolifere, le energie rinnovabili e la pubblica amministrazione e la governance. La Norvegia è tra i Paesi con la più alta crescita di R&S nel settore privato.
L’Ambasciata italiana a Oslo è impegnata a sostenere e a rafforzare la collaborazione tra Italia e Norvegia nel settore della scienza e della tecnologia, e a tal fine lavora attivamente per promuovere il sistema scientifico e tecnologico italiano e favorire ogni forma di collaborazione possibile.
Il mondo della ricerca e sviluppo norvegese è un settore complesso, pensato e creato da norvegesi per norvegesi. Ma il ricercatore italiano trova un ambiente perfetto per sviluppare le sue conoscenze e competenze, grazie alla sua formazione universitaria.
Sono numerosi i fattori che rendono attraente e competitiva la Norvegia e tra questi risultano esserci: la meritocrazia, il giusto equilibrio tra posizioni apicali e competenze, l’efficienza dei centri di ricerca, la possibilità di coniugare la vita privata a quella professionale e la “tillit” verso lo stato e le istituzioni.
Ovviamente non si tratta di un sistema perfetto ed equilibrato, poiché è un settore pensato con idee e regole diverse da quello italiano. Infatti molti ricercatori non hanno trovato subito un sistema semplice, egualitario, accogliente, flessibile, ma opportunistico, utilitaristico e appesantito dalla burocrazia.
Infine un’ultima difficoltà che incontrano i ricercatori è lo scoglio della lingua locale, la quale non va imparata solamente per esigenze comunicative – poiché negli ambienti internazionali la lingua principale è l’inglese – ma per socializzare.
Andrea Delvescovo
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