Nelle scorse settimane si è svolta in Alaska l’esercitazione Red Flag, curata dall’Aeronautica Militare USA. Uno stress-test per migliorare le proprie capacità nell’area.
Circa ottanta anni fa, il padre dell’Aeronautica militare americana, generale Billy Mitchell, affermò davanti al Congresso: “chiunque possieda l’Alaska, controllerà il mondo”. Troppo audaci per l’epoca (l’importanza assegnata da Mitchell alla nuova arma aerea e la conseguente diffidenza verso i più tradizionali Esercito e Marina faranno entrambi da sfondo a un tormentato rapporto con i suoi superiori), le parole di Mitchell hanno trovato maggior accoglienza negli anni a venire.
Oggi, Mitchell sarebbe certamente soddisfatto di sapere che l’Aeronautica americana è la componente delle forze armate americane più presente nel teatro artico, anche a causa delle specificità delle condizioni locali, che rendono l’area rilevante per le dinamiche politico-strategiche di altri teatri e ad aspetti militari a prima vista meno evidenti.
Rientra in questa valutazione l’annuale esercitazione Red Flag-Alaska, avviata quest’anno nel mese di giugno e incentrata sull’addestramento delle forze aeronautiche di Stati Uniti (US Air Pacific Forces) e partner militari come Giappone e Corea.
Iniziata il 12 giugno, l’esercitazione Red Flag-Alaska si tiene tradizionalmente nelle basi di Eielson e Elmendorf-Richardson in Alaska, con la partecipazione di circa duemila membri delle forze armate e di partner internazionali. Durante l’esercitazione, le forze “rosse” svolgono il ruolo degli invasori (sia piloti che personale di terra), quelle “blu” dei difensori appartenenti alla coalizione. Mentre i “bianchi” hanno un ruolo neutrale di supervisione e monitoraggio della sicurezza.
L’esercitazione si svolge all’interno di una porzione dello spazio aereo canadese e del Joint Pacific Alaska Range Complex: un’area di 1,5 milioni di acri per la manovra tra montagne e foreste (in aggiunta ad aree marittime) e 65.000 miglia quadrate di spazio aereo, adibita alle esercitazioni militari di tutti i domini, passando dall’addestramento quotidiano delle forze locali (Alaska Army e Air National Guard) alle grandi esercitazioni inter-forze (come Northern Edge e Arctic Edge).
Tenere Red Flag-Alaska in territorio artico è certamente un test per la guerra artica, ma le particolari condizioni del Range (la presenza di montagne, il clima freddo, i lunghi periodi di luce) lo hanno reso un contesto adatto per l’addestramento in condizioni estreme. Compreso il terreno afgano.
Il Nord è un ambiente perfetto per mettere alla prova il personale, soprattutto alle prime armi, con uno stress-test che replica condizioni difficili che a volte non si incontrano nemmeno in guerra.
Allargando lo sguardo, Red Flag-Alaska ci ricorda, innanzitutto, che l’Artico per gli Stati Uniti non è solo il proprio nord, ma una piattaforma proiettata su altri teatri. In primis, il Pacifico. Prova ne è il fatto che prima che l’esercitazione venisse assegnata all’Alaska nel 1991, si teneva alla Clark Air Base nelle Filippine (Exercise Cope Thunder) fino all’eruzione del Monte Pinatubo.
La vicinanza dell’Alaska al continente asiatico è un fattore che molti – tra cui lo stesso Mitchell – hanno sottolineato nel corso della storia, ma senza mai arrivare ad ottenere una vera ri-considerazione strategica dell’Alaska negli equilibri mondiali: ovvero a un’ effettiva ripensamento dei comandi, dei reparti e dei fondi destinati all’Alaska in quanto parte della storica “difesa avanzata” degli Stati Uniti.
Con la maggior partecipazione al teatro artico alla quale stiamo assistendo in questi anni, forse qualcosa potrebbe cambiare in futuro, anche sul piano strategico.
Agata Lavorio
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