Photo: EPA
Dall’eredità della Guerra Fredda ai nuovi scenari del cambiamento climatico, l’Artico russo rappresenta un punto cruciale tra passato e futuro.
A causa della sua posizione geografica tra gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica e del fatto che per via dei nuovi avanzamenti della tecnologia questa trasformava l’Artico nel più ovvio territorio di confronto e, possibilmente, di scontro tra le due Superpotenze, lo sviluppo militare della regione tornò così a rivestire un ruolo di primo piano nelle politiche dell’Unione Sovietica. Nel corso della Guerra Fredda l’URSS si dedicò quindi alla protezione dei propri interessi soprattutto strategici nella regione, arrivando quasi a trascurare lo sviluppo economico, scientifico e ambientale dell’Artico.
Questa attenzione al progresso militare si tradusse anche nell’esecuzione in loco di continue esplosioni nucleari di prova, vista la scarsità di insediamenti umani. L’arcipelago di Novaja Zemlja divenne dal 1954 il sito preferito per i test nucleari sovietici, una volta che fu stabilito che il deserto del Kazakistan fosse troppo vicino a località abitate per testare ordigni davvero potenti. Tra il 1954 e il 1990 si effettuarono a Novaja Zemlja, sia sottoterra, sia nell’atmosfera, sia nei mari circostanti l’arcipelago, 130 test nucleari. Fu qui che il 30 ottobre del 1961 fu detonata la “Bomba Zar”, una bomba all’idrogeno dalla potenza di circa 50 Mt, l’ordigno esplosivo più potente mai creato dall’uomo.
I test nucleari su Novaja Zemlja sono la principale fonte di contaminazione radioattiva dell’Artico: questo fece sorgere grandi preoccupazioni per la regione anche da parte della Norvegia, che da tempo immemore condivide con la Russia il bacino di pesca del Mare di Barents. I test modificarono anche l’ambiente naturale scavando profondi crateri, distruggendo lo strato di permafrost e formando ampie caverne sotterranee che, se crollassero, rischierebbero di rilasciare tonnellate di pericolosi residui radioattivi nel mare.
Le radiazioni sprigionate dalle esplosioni causarono anche un forte aumento dei tumori, delle malattie della pelle e del sangue insieme a un significativo incremento della mortalità soprattutto tra le popolazioni native, principalmente a causa del fallout radioattivo che il vento diffuse sul territorio non solo dell’Unione Sovietica ma anche del Canada, della Norvegia e degli Stati Uniti. A peggiorare ultimamente la situazione, l’Artico e soprattutto l’arcipelago di Novaja Zemlja sono utilizzati come cimiteri per i materiali nucleari ormai obsoleti. Sul fondo dei Mari di Kara e di Barents giace ogni sorta di rifiuto radioattivo: testate nucleari, reattori e sottomarini. Questi presentano un grave rischio per l’ecosistema marino e per la vita umana, visto che la salinità dell’acqua potrebbe da un momento all’altro portare alla dispersione nell’ambiente di pericolosi agenti inquinanti.
L’Artico russo, nel corso degli oltre mille anni della storia della Russia, è quindi passato dall’essere un semplice territorio di caccia, di pesca e di esazione di tributi sotto i principi di Kiev e di Novgorod e dei loro emissari, che vi si recavano solo per brevi periodi senza di fatto lasciare una reale impronta, a un territorio dalle limitate potenzialità economiche e commerciali sotto l’Impero, con la fondazione di piccoli insediamenti e porti, ma mai veramente sviluppato a causa della rigidità delle condizioni climatiche e ambientali.
La consapevolezza dell’immensa ricchezza del suolo e del sottosuolo favorì poi la fondazione dei campi di lavoro della GULAG per sfruttarla in modo efficace attraverso l’economico impiego del lavoro coatto da cui si svilupparono successivamente le grandi città industriali del Nord. Nel corso della Guerra Fredda la regione costituì, inoltre, uno spazio fortemente militarizzato e attentamente vigilato, nel quale si svolgeva il confronto tra le due grandi Potenze vincitrici del Secondo conflitto mondiale. I ghiacci perenni, che per più di un millennio hanno impedito che l’uomo si dedicasse allo sviluppo dei territori artici se non con l’impiego di smisurate risorse ed enormi e terribili sacrifici, sono adesso in ritirata.
Il cambiamento climatico offre alla Federazione Russa delle possibilità del tutto nuove, che nei prossimi anni questa dovrà essere in grado di sfruttare. Ma qualunque siano le sfide politiche o climatiche, la Russia di Putin è determinata a preservare la sua anima artica, proiettando nella regione una combinazione di forza e tradizione che mai potrà essere erosa dalle trasformazioni globali.
Tommaso Bontempi
Osservatorio Artico © Tutti i diritti riservati
La strategia mineraria norvegese fornisce una panoramica del contesto minerario del paese scandinavo, tra Green…
La rubrica settimanale da Bruxelles che raccoglie gli appuntamenti da segnare in agenda e offre…
Intervista a Bjørn Rønning, Ceo dell’associazione di industrie norvegesi legate al mondo dei data center.…
La rompighiaccio nucleare russa 50 Let Pobedy ha riportato danni alla prua dopo una collisione…
Quarta edizione del festival promosso da Osservatorio Artico, in collaborazione con il Comune di Bologna Italia…
Dalla fine della Seconda guerra mondiale all’epoca dei sottomarini nucleari, l’Artico ha assunto un ruolo…