Superata la fase acuta della pandemia globale, gli attori principali si riaffacciano nell’area con nuove esercitazioni militari e con nuove prove di convivenza nell’Artico.
Durante il Congresso di Berlino del 1878 il grande statista e cancelliere tedesco Otto von Bismarck ricordava alla diplomazia italiana post-unitaria che la strada per stringere un accordo con la Germania passasse per Vienna. Manipolando questa citazione, si potrebbe oggi affermare che la strada per l’Artico passa per Oslo.
E di ciò se ne sono sicuramente accorti gli Stati Uniti che, con un accordo in attesa di ratifica da parte dello Storting (il Parlamento norvegese), vedono avvicinarsi la prospettiva di installazioni militari con tre basi aeree e una base navale in territorio norvegese. Più precisamente, la base navale di Ramsund e la base aerea di Evenes, in pieno Artico norvegese, permetteranno a Washington di intervenire prontamente nell’eventualità di una crisi nella regione, a fianco dell’alleato NATO.
La manifestazione di volontà di Oslo segna in realtà un cambio di passo, rispetto alla tradizionale politica norvegese di diniego di installazioni militari straniere nel proprio territorio in tempo di pace. A tutto vantaggio di un rafforzamento dei già stretti legami politici e militari con gli USA. Oslo, infatti, ha a disposizione una leva diplomatica importante, laddove, per la sua posizione geografica, si trova a giocare un ruolo cruciale nella difesa del fronte Nord della NATO.
In questi calcoli geopolitici va però inserita anche la Russia che, condividendo con la Norvegia il confine più a Nord d’Europa, si troverà presto a dover fare i conti con l’ingombrante presenza degli USA nel proprio cortile di casa. Una presenza confermata altresì dalla nuova strategia artica statunitense, pubblicata lo scorso marzo e intitolata – alquanto eloquentemente – Regaining Arctic Dominance.
Qui si riconosce innanzitutto che, a fronte del crescente livello di“attività nemiche” nella regione artica, è essenziale che l’esercito statunitense impieghi una forza di posizione con unità addestrate ed equipaggiate in modo da mantenere una deterrenza credibile e difendere il Paese.
L’Artico, infatti, è descritto come uno spazio in cui le potenze rivali degli USA utilizzano il loro potere economico e militare al fine di mantenere, nel caso della Russia, o di conquistare, nel caso della Cina, l’accesso alla regione alle spese degli interessi statunitensi. In particolare, è a Mosca che ci si rivolge con maggior timore. Sia per il vasto controllo territoriale che essa esercita sopra il Circolo Polare Artico, sia per lo stato di avanzamento della sua tecnologia militare nella regione.
Il rafforzamento dei legami con la Norvegia rientra dunque nella strategia di deterrenza e di difesa degli interessi nazionali di Washington. Il fronte Nord dell’Alleanza atlantica vanta in realtà un solido scudo di Paesi fedeli allo schieramento statunitense. Oltre alla Norvegia, la Svezia e la Finlandia – formalmente esterne alla NATO – finiscono per giocare un ruolo importante nella protezione degli interessi strategici di Washington.
Ed è proprio a questi Paesi che gli USA si rivolgono, al fine di riconquistare l’agognato controllo dell’Artico, sempre più al centro di mirati calcoli geopolitici. La collaborazione con i Paesi nordici consente inoltre a Washington di riacquistare competitività militare in condizioni climatiche estreme, un obiettivo centrale della nuova strategia artica statunitense.
Avere a disposizione una forza armata addestrata e pronta a combattere in un ambiente ostico qual è l’Artico, rappresenta chiaramente una priorità assoluta per ogni Paese che eserciti la propria sovranità in tale regione. La protezione degli interessi nazionali, infatti, passa attraverso la capacità di resistere e combattere a temperature così basse da richiedere la realizzazione di tecnologie e apparecchi militari specifici.
La centralità attribuita dagli USA alla preparazione militare del proprio esercito corrisponde peraltro con le priorità strategiche della Norvegia che, in quanto Stato artico per eccellenza, deve essere pronta ad affrontare eventuali scenari di crisi nella regione. In tale contesto si iscrive allora la decisione norvegese di ospitare, l’anno prossimo, Cold Response 2022, ossia la più grande esercitazione militare nell’Artico dai tempi della Guerra Fredda.
A 600 chilometri dalla Penisola di Kola, dove stazionano sottomarini russi dotati di testate nucleari, l’area di Ofoten offrirà basi navali ed aeree da cui la Norvegia, insieme a partner della NATO, si eserciteranno ad affrontare scenari di crisi. Appare dunque chiaro l’impegno degli Stati dell’Alleanza Atlantica a rafforzare la propria presenza militare nell’Artico: un impegno che però la Oslo dovrà essere in grado di bilanciare bene con i pericoli insiti nell’avere un confine condiviso con la Russia.
Quest’ultima, d’altronde, non si è mai dimostrata impreparata di fronte alle iniziative degli alleati NATO nella regione artica e, a sua volta, è pronta a lanciare a settembre Zapad-2021, un’esercitazione congiunta che avrà luogo sul territorio russo, bielorusso e, ovviamente, anche nell’Artico.
Francesca Chierchia
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