La rubrica settimanale da Bruxelles che raccoglie gli appuntamenti da segnare in agenda e offre uno spunto di riflessione per la settimana.
Nel 2025 il mese di gennaio è stato 1.75°C più caldo della media per lo stesso mese tra il 1850 e il 1900, con un aumento di 0.09°C rispetto al 2024 (precedentemente detentore del record per il gennaio più caldo). Lo scorso anno questo tipo di notizia si è ripetuta al punto da diventare quasi un rumore bianco, fino alla conferma che il 2024 è stato l’anno più caldo di cui abbiamo memoria nei dati. Tuttavia, il bollettino di gennaio ha colto di sorpresa la comunità scientifica.
Questo perché nello stesso mese ha avuto inizio la fase “fredda” del ciclo meteorologico naturale ‘El Niño-Southern Oscillation’ (ENSO) durante la quale le temperature superficiali della zona centrale e orientale dell’Oceano Pacifico equatoriale si spostano verso valori più freddi rispetto alla media a lungo termine. Normalmente questo fenomeno dovrebbe mitigare l’aumento delle temperature, ma i dati registrati da Copernicus Climate Change Service hanno mostrato un rallentamento della transizione tra la fase “calda” El Niño e la fase opposta, “fredda” de La Niña, in particolare nella fascia orientale del Pacifico equatoriale.
A spiegare un gennaio “più caldo del previsto” contribuiscono anche le temperature estreme, o comunque superiori alla media, che persistono nelle altre regioni oceaniche del globo e, paradossalmente, la riduzione dell’albedo dovuta alla riduzione dell’inquinamento atmosferico da zolfo, secondo un recente studio che porta anche la firma del luminare James E. Hansen.
Annalisa Gozzi
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