L’espansione russa nell’Artico e in Siberia tra il XVIII e il XIX Secolo: i Pomory, l’economia delle pellicce e le riforme di Pietro il Grande e Caterina II
La costa europea dell’Artico russo, vista la sua vicinanza al centro, era la più popolosa e la più sviluppata economicamente. I Pomory, pionieri e colonizzatori russi che vivevano a stretto contatto con il mare, traendo il proprio sostentamento principalmente dalle attività di pesca, abitavano soprattutto Murmansk ma coprivano le coste dell’intera penisola di Kola ed erano arrivati a spingersi fino a Spitsbergen, la più vasta delle Isole Svalbard, e all’arcipelago di Novaja Zemlja.
I Pomory da Archangel’sk navigavano il Mar Glaciale Artico per raggiungere il Mare di Kara e per commerciare con le popolazioni indigene che abitavano le sue coste. L’influenza russa sulle regioni remote e disabitate della Siberia si manteneva invece grazie a una rete di cittadelle fortificate che servivano a salvaguardare il dominio russo attraverso il controllo militare e a vigilare sull’esazione delle gabelle dalle popolazioni locali.
Abbiamo già sottolineato la fondamentale importanza delle pellicce artiche e siberiane per l’esistenza dello Stato russo, che durante il XVII e il XVIII secolo garantivano la metà delle entrate dello Stato. La caccia indiscriminata soprattutto degli zibellini, ricercati per la loro pelliccia particolarmente morbida, ne sterminò diverse popolazioni, costringendo i mercanti e i cacciatori russi a spingersi sempre più verso oriente alla ricerca di nuove popolazioni animali da sfruttare.
Tuttavia, la necessità di pellicce non era l’unica ragione per la quale l’Impero si dedicò all’espansione verso oriente e verso nord. Pietro il Grande, che aveva capito le potenzialità economiche e commerciali dell’immenso spazio artico e siberiano, decise che la via per la definitiva affermazione della Russia sulla scena mondiale doveva passare necessariamente attraverso la conquista e lo sviluppo di queste regioni. Attraverso il Mar Glaciale Artico e l’Oceano Pacifico, secondo le idee di Pietro, doveva transitare un percorso commerciale che dalla Russia si dirigesse verso la Cina, il Giappone e l’Asia sudorientale.
L’importanza, per esempio, della Kamčatka e la necessità che questa fosse conquistata e interamente annessa all’Impero si spiega quindi in ottica mercantile: la grande penisola era da sfruttare come un punto di partenza e di arrivo per le imbarcazioni dirette o provenienti da Cina, Giappone, India e Americhe. Le spedizioni esplorative verso la Kamčatka andavano di pari passo a quelle nel Mare della Siberia orientale: l’intenzione degli esploratori era quella di mappare le acque e la costa nordorientale dell’Impero russo per cercare rotte marittime e il famoso passaggio a Nord-Est.
I piani per lo sviluppo di una Severnyj Morskoj Put’, o “Rotta marittima settentrionale”, dovettero essere però interrotti a causa della presenza dei ghiacci, che rendevano la tratta non navigabile per gran parte dell’anno, e della limitata capacità tecnologica disponibile nel XVIII secolo. Il concetto avrebbe però sempre rivestito una grande importanza nella politica russa, tanto da essere ripreso dal governo di Vladimir Putin nel corso degli anni Duemila.
Grazie alle imprese e alle riforme di Pietro il Grande, la Russia era diventata a tutti gli effetti uno Stato europeo, cosa della quale anche la zarina Caterina II, grande ammiratrice di Pietro I e continuatrice della sua opera di occidentalizzazione, era assolutamente convinta. Con Caterina l’Impero si espanse verso meridione e verso occidente, andando a conquistare la Bielorussia e altre terre che erano state polacco-lituane, la Crimea e la Novorossija, dopo la caduta del Khanato di Crimea, nonché una parte della regione caucasica.
Sotto Caterina, che regnò dal 1762 fino alla morte nel 1796, proseguì e si compì anche l’esplorazione della Siberia, consacrata definitivamente come terra russa dagli Urali fino all’estremità più orientale della Čukotka: cartografi, navigatori, scienziati e topografi delle più varie nazionalità furono inviati, per volere della zarina, all’esplorazione delle terre e del mare a est, in particolare delle coste dello Stretto e del Mare di Bering, confini orientali dell’Impero russo.
Alla fine del Settecento si colloca il periodo in cui ogni caratteristica dell’Artico e dell’estremità nordorientale della Siberia fu mappata e misurata: ne furono studiate la fauna e vegetazione, si effettuarono ricognizioni geologiche e meteorologiche, si tracciarono minuziosi disegni cartografici dei mari e delle terre e si descrissero precisamente le lingue e le usanze dei popoli che le abitavano. In linea con lo spirito di “sovrana illuminata” che caratterizzava la zarina Caterina, le spedizioni che abbiamo rapidamente descritto avevano come scopo non l’immediata utilità pratica, quanto piuttosto la pura conoscenza di ciò che fino ad allora era stato pressoché ignoto attraverso l’esplorazione e lo studio scientifico.
Tommaso Bontempi
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