Clima

Alcune politiche climatiche funzionano davvero

Mentre i leader mondiali si preparano per il più importante appuntamento globale di diplomazia climatica, un gruppo di ricercatori ha misurato i risultati di 1500 politiche climatiche attuate negli scorsi due decenni. Il risultato? Solo 63 promozioni.

Le costruzioni impossibili del clima

A poco più di un mese da COP29, la ventinovesima conferenza annuale che riunisce i paesi firmatari della Convenzione Quadro delle Nazioni Unite per il Clima (UNFCCC), il mondo è ancora molto (troppo) lontano dagli obiettivi climatici fissati al 2030.

Tra il dire dei piani di mitigazione stabiliti autonomamente da ciascun paese (NDCs) e il fare del contenere le temperature globali entro +1.5°C rispetto alla media preindustriale come stabilito dall’Accordo di Parigi, c’è un mare di 23 miliardi di tonnellate di CO2-equivalente*.  

Insomma, sulla carta non siamo sulla strada giusta. C’è però anche un altro divario che dovrebbe preoccuparci, quello tra la carta e la curva reale delle emissioni. 

“Oggi è evidente che la persistenza di un gap non è solo attribuibile alla mancanza di ambizione politica, ma anche alla distanza tra i risultati attesi e i risultati reali delle politiche adottate”, ha affermato Ebba Mark, ricercatore del Calleva Project presso The Institute for New Economic Thinking at the Oxford Martin School (INET Oxford). 

Mark è co-autore di un recente studio che ha indagato proprio questo secondo, insidioso, tipo di divario e individuato quali politiche hanno prodotto effetti concreti e rilevanti sul piano reale delle emissioni. 

Questa ricerca si offre come una bussola per evitare che i castelli immaginati nelle ventotto COP passate–e quelli che verranno disegnati a Baku–assomiglino più a delle costruzioni impossibili in stile Escher che a dei piani azionabili.

Misurare l’efficacia delle politiche climatiche

Lo studio è stato pubblicato su Science e si intitola ‘Politiche climatiche che hanno prodotto riduzioni significative delle emissioni: Evidenze globali da due decenni’. Un titolo che contiene già tre dati importanti: alcune politiche climatiche possono essere efficaci, non tutte lo sono e soprattutto possiamo imparare dagli esempi di successo.

Gli autori dello studio hanno sviluppato una metodologia estremamente rigorosa per riuscire ad associare con sufficiente certezza l’applicazione di una determinata politica a un calo delle emissioni e l’hanno applicata a un immenso database compilato dall’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE). In totale sono state analizzate 1500 politiche climatiche implementate tra il 1998 e il 2022 in 41 paesi diversi. 

Il risultato è scoraggiante: di 1500 casi analizzati, solo 63 sono risultati efficaci. Una percentuale di successo inferiore al 5%

Eppure c’è anche spazio per la speranza. Quelle 63 politiche hanno comunque ottenuto una riduzione delle emissioni significativa (tra 0.6 e 1.8 miliardi di CO2) e se fossero ripetute, ampliate e imitate potrebbero accorciare la distanza tra oggi e i target al 2030 finanche del 41%. Lo studio ha dato vita anche a una dashboard dedicata ai decisori politici dove poter studiare nel dettaglio gli esempi efficaci.

Lo studio ha evidenziato inoltre che le politiche climatiche sono generalmente più efficaci se parte di una combinazione (tassazioni e sussidi ad esempio), che è importante considerare le best-practices settore per settore, e che c’è una differenza significativa tra le economie più o meno sviluppate in termini di quali tipi di intervento hanno maggiore probabilità di successo. Tutte lezioni utili da portare a casa.

Come se la cavano i paesi artici?

Ci sono tre pagine in bianco per quanto riguarda i paesi artici. L’Islanda non rientra nel campione di paesi considerato nello studio. Per la Finlandia invece non è stata registrata nessuna riduzione significativa nel periodo considerato e nei settori analizzati (trasporti, industria, edilizia ed elettricità). Infine in Russia si è registrata una riduzione del 18,7% nel settore industriale, ma questa non è stata associata all’adozione di una politica climatica. 

Nel continente nord-americano, invece, il Canada segna un -17.26% nell’industria tra il 2002 e il 2008 grazie all’applicazione simultanea di una tassa sul carbonio e di un sistema di scambio di quote, mentre gli Stati Uniti un -10,58% nell’arco delle amministrazioni Obama (2005-2011) attribuibile a una sequenza di regolamentazioni e sussidi. 

Soprattutto nel caso degli Stati Uniti, questo risultato positivo va letto nel quadro più ampio che include la fondamentale responsabilità storica del paese, un livello di emissioni pro capite tra i più alti al mondo e naturalmente il cambio di direzione decisiva in termini di politica climatica intrapreso dall’amministrazione che ha seguito quell’unica riduzione registrata. 

La Danimarca mostra invece due riduzioni significative e anche recenti (2017-2023) nell’edilizia e nei trasporti. Tuttavia, la rilevanza delle politiche climatiche danesi come esempio per l’artico è difficile da interpretare per via della marcata autonomia delle due nazioni costitutive –Groenlandia e Isole Fær Øer– rispetto a Copenhagen. 

In conclusione, i due primi della classe: Svezia e Norvegia con voti alti in ben tre materie: produzione elettrica, edilizia e trasporti. Bacio accademico in particolare per un calo delle emissioni del 38,2% registrato nel 2012 nel settore elettrico in Norvegia– paese record per la produzione di energia rinnovabile, ma non per questo esente da polemiche rispetto all’insieme delle sue politiche ‘green’. 

Per quanto (forse) interessanti, queste analisi possono lasciare il tempo che trovano. Il vero impatto di questo studio dipenderà dall’attenzione che riceverà dai decisori politici di questi paesi come strumento per imparare dalle esperienze virtuose, proprie e altrui, al fine di amplificarle.

Annalisa Gozzi

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Annalisa Gozzi

Sono una studentessa del Master in Environmental Policy all’Università Sciences Po di Parigi. Sono appassionata di comunicazione e cerco di rendere il tema del cambiamento climatico accessibile nella sua complessità.

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