Nel contesto del festival Italia Chiama Artico, organizzato a Bologna il 25 febbraio 2025 da Osservatorio Artico, Pietro Figuera, Direttore di Osservatorio Russia, ha proposto una riflessione sul posizionamento globale della Russia e sulle sue implicazioni per l’Artico.
La Russia nell’Artico
“A margine di Italia Chiama Artico 2025 abbiamo avuto l’opportunità di dialogare con Pietro Figuera, Direttore di Osservatorio Russia e relatore del Festival. Insieme a lui, abbiamo voluto analizzare non solo le prospettive russe nella regione, ma anche il quadro politico internazionale più ampio in cui queste necessariamente si inseriscono. Comprendere il ruolo della Russia nell’Artico significa infatti, prima di tutto, comprendere il ruolo della Russia nel mondo.“
“Proprio per questa ragione, in questa intervista abbiamo cercato di meglio comprendere il posizionamento della Russia senza limitarsi all’Artico: la percezione che Mosca ha del proprio “isolamento internazionale”, il rapporto con gli Stati Uniti e l’Europa e il ruolo della Cina sono tutti elementi che influenzano direttamente anche le sue strategie settentrionali. Su questi temi, Figuera offre una visione lucida e informata, snocciolando le sfide e le opportunità che la Russia si trova oggi ad affrontare.”

Figuera, dal punto di vista russo, date le opportune condizioni, esiste ancora l’interesse a un “ritorno” nel consesso internazionale e soprattutto europeo come partner, oppure la frattura è ormai considerata irreversibile (anche) da Mosca? La leadership russa ritiene di poter fare a meno del cosiddetto “Occidente”, convinta di aver trovato alternative o vede ancora un valore nella cooperazione?
“Dobbiamo innanzitutto evitare il consueto errore di scambiare l’Occidente per la comunità internazionale. La Russia non è mai uscita da quest’ultima, nonostante la formale condanna alla sua guerra d’aggressione in sede di Assemblea Generale alle Nazioni Unite. Una condanna che non ha prodotto effetti concreti, a differenza delle sanzioni che però sono state applicate soltanto da un numero ristretto di Paesi (l’Occidente a guida statunitense e i suoi più stretti alleati).”
“Oggi, comunque, lo scenario è cambiato. Non si può più parlare di un solo Occidente, a fronte del solco che sta attraversando in maniera sempre più evidente l’Oceano Atlantico. Le riaperture statunitensi alla Russia, benché tattiche, si distanziano nettamente dalla scelta europea di prorogare le sanzioni e il sostegno indeterminato all’Ucraina. A fronte di siffatta realtà, Mosca ha ulteriori stimoli a proseguire nella sua via. Non solo il suo isolamento internazionale è fallito, ma la nuova sponda statunitense rende molto più digeribile la perdita delle connessioni col resto del Continente europeo, che comunque potrebbe essere persino temporanea. Resta infatti da vedere come – e quanto a lungo – i Paesi europei possano mantenere tale linea.”
Sul piano economico, è evidente che la Russia continui a trarre vantaggio dal commercio internazionale, vendendo le sue risorse a chiunque sia disposto ad acquistarle. Questo significa che, se le tensioni si allentassero, sarebbe possibile un ritorno ai rapporti pre-2022 “in buona fede”? Stiamo andando verso una nuova guerra fredda, con una Russia definitivamente ancorata alla Cina e rassegnata (anche se non a parole) alla perdita dello status di superpotenza, oppure il Cremlino cercherà di mantenere una posizione intermedia, evitando un’alleanza totale con Pechino e continuando a muoversi tra i due blocchi?
“La “buona fede”, o, meglio, la fiducia reciproca, è un valore ormai perduto (da parte nostra irrimediabilmente dal 2022, da parte russa anche da prima) e sarà molto difficile ritrovarlo nello spazio di questa generazione, dunque entro i prossimi venti o trent’anni. Ne sono convinto a dispetto della velocità con cui sta andando – e cambiando – oggi il mondo, con una serie di ribaltamenti diplomatici che non si erano mai visti in un arco temporale così breve.”
“La fiducia però è un sentimento di origine umana, riguarda le collettività nel loro insieme ed è ciò che più ci permette di associare i comportamenti degli Stati a quegli degli individui. Segue dunque altre logiche, simili al corso di un fiume carsico che riemerge nel luogo e nel momento giusto. Qualche esempio? L’ostilità di fondo tra inglesi e russi non è stata superata dall’alleanza nelle due guerre mondiali, così come il Patto di Varsavia non ha mica cementato le affinità tra russi e polacchi (anzi).”
“Come accennavo sopra, è anche possibile dunque che gli Stati europei trovino – per necessità economica o sfinimento politico – un modus vivendi con Mosca, in qualche caso persino nel breve periodo. Ciò non significherà affatto un ritorno al pre-2022. Per ragioni affini, ovvero la diffidenza di fondo che caratterizza le relazioni reciproche, non c’è da scommettere troppo sulla tenuta dell’asse tra Russia e Cina. A dispetto del suo nome altisonante, l’”amicizia senza limiti” è un mero prodotto della comune (e temporanea, bisogna sottolineare) avversione agli Stati Uniti d’America. Che per molti anni, e fino a un paio di mesi fa, hanno esercitato una costante ed energica pressione su entrambe le Potenze eurasiatiche.”
“Adesso che i giochi sono cambiati, i nodi verranno al pettine. Mosca è visibilmente tentata dai vantaggi (anche puramente simbolici) di un riavvicinamento a Washington. In fondo, il suo secondo obiettivo geopolitico (subito dopo la sopravvivenza, mai data troppo per scontata) è proprio il riconoscimento di un ruolo paritario rispetto al n. 1 al mondo. Se Trump dovesse manifestare l’intenzione di giocare questa carta, difficilmente Putin potrà resistere. Eppure dovrà comunque trovare il modo per non scontentare Pechino, anche perché stavolta non si potrà tornare indietro. Quindi sì, Mosca dovrà sapersi muovere tra i due blocchi.”
Parliamo ora più specificamente di Artico. Vorrei proporre un approfondimento sulla Dottrina Primakov: in che modo questa si riflette – o potrebbe riflettersi – nella strategia russa per l’Artico? In particolare, quali potrebbero essere le conseguenze per la Russia delle strategie e degli accordi multilaterali – in particolare la cooperazione con i BRICS – implementati in questa regione che, pur essendo profondamente radicata nell’identità russa, ambisce a una crescente integrazione internazionale?
“Domanda interessante. La dottrina Primakov era figlia di un contesto internazionale profondamente diverso da quello attuale. L’ex primo ministro e ministro degli Esteri russo, che pure ha esercitato una certa influenza su Putin, si muoveva negli anni Novanta – ovvero nel momento di massima crisi della Russia, sconfitta dalla Guerra fredda, smembrata dal divorzio con le ex repubbliche sovietiche e sull’orlo del collasso economico. Qualunque possa essere il giudizio sugli esiti della guerra in Ucraina, siamo molto lontani da un contesto di quel genere.”

“Ciò detto, i fondamenti “primakoviani” dell’attuale strategia russa sono evidenti. Innanzitutto nella continua ricerca di un bilanciamento globale, la cui portata può essere intravista anche nell’Artico. Qui Mosca ha aperto le porte alla Cina, pur con la relativa cautela che è costretta a impiegare in un teatro così critico per la propria sicurezza. Nell’Artico gli investimenti sono tutto, e i russi non possono permettersi di perdere le opportunità derivanti da una cooperazione commerciale, infrastrutturale e tecnologica con Pechino. Se persino gli Stati Uniti sono stati informalmente invitati, da parte del Cremlino, a partecipare a progetti congiunti, vuol dire che siamo di fronte a sfide molto più importanti della mera competizione tra Potenze.“
“A ogni modo, la cooperazione coi BRICS resta centrale sia nello sviluppo commerciale della rotta artica sia nello sfruttamento delle risorse energetiche. E andrà bilanciata, in linea coi dettami di Primakov, con il perseguimento di una vitale autonomia strategica, senza correre il rischio di una contraddizione tra opposte esigenze (sussidiarietà vs sicurezza). Credo sia questa la vera sfida artica dei prossimi anni, almeno per la Russia.”
Tommaso Bontempi