Foto: Hurtigruten
Per oltre un secolo, la criolite, noto come oro bianco groenlandese, è stata cruciale per la produzione di alluminio, arricchendo Danimarca e Stati Uniti. Ma i profitti della miniera di Ivittuut non sono mai arrivati alla Groenlandia, e oggi nuove rivelazioni riaccendono il dibattito sul suo passato coloniale e sul futuro indipendentista.
Sulla costa sud-occidentale della Groenlandia, nei pressi di un piccolo insediamento chiamato Ivittuut, si trovava quello che al tempo era l’unico giacimento noto e sfruttato al mondo di criolite, un minerale fondamentale per la produzione di alluminio e utilizzato, in particolare durante la Seconda guerra mondiale, nell’industria aeronautica.
L’enorme importanza economica e militare di questa miniera spinse, all’indomani dell’occupazione tedesca della Danimarca, numerosi attori internazionali a valutare un piano di protezione. Si instaurò così un dialogo tra il Canada — anch’esso dipendente dalla criolite per la propria industria militare — gli Stati Uniti, i due governatori della Groenlandia e l’ambasciatore danese Kauffmann, con l’obiettivo di predisporre piani di difesa dell’isola contro possibili incursioni tedesche.
Dopo la guerra, la miniera tornò sotto il controllo danese e venne sfruttata fino all’esaurimento delle sue scorte, operando quasi ininterrottamente dal 1854 al 1987. Durante l’intero periodo di attività della miniera, eccetto il periodo bellico in cui il controllo passò in mani statunitensi, l’estrazione di questo minerale – soprannominato anche “oro bianco” per via del suo aspetto e del suo valore – fu sottoposta al monopolio commerciale di diverse compagnie danesi, che per più di cento anni ne gestirono l’estrazione, la raffinazione e il commercio.
Che il controllo sulla miniera di criolite abbia rappresentato un affare estremamente redditizio per la società danese era già noto, ma la scorsa settimana un nuovo documentario trasmesso dall’emittente danese DR e intitolato Greenland’s White Gold, ha rivelato dettagli inediti sui ricavi generati dall’estrazione, suscitando un’ondata di indignazione tra i cittadini groenlandesi.
Secondo l’economista Torben M. Andersen, intervistato dagli autori del documentario, la miniera di Ivittuut avrebbe prodotto un fatturato equivalente a circa 400 miliardi di corone danesi odierne (circa 53 miliardi di euro). Tali profitti, stando alle ricostruzioni, sarebbero andati quasi esclusivamente a vantaggio della Danimarca e, durante il periodo bellico, degli Stati Uniti, mentre il popolo groenlandese non ne avrebbe ricavato alcun guadagno.
Alcuni economisti danesi contestano le cifre riportate, sostenendo che sia difficile determinare con precisione il profitto effettivo della miniera e accusano il documentario di non sottolineare la differenza tra ricavi e profitto effettivo, distinzione che ridimensionerebbe notevolmente la cifra. In risposta, politici e attivisti groenlandesi sottolineano come il nodo cruciale della questione non consista nei dati esatti, quanto nel fatto che un’enorme opportunità economica sia stata sfruttata a unico vantaggio delle potenze coloniali.
Secondo Søren Rud, professore associato di Storia presso il Saxo Institute dell’Università di Copenaghen, il documentario getta nuova luce sulle relazioni economiche tra Danimarca e Groenlandia. Il primo ministro groenlandese Mute B. Egede, commentando quanto emerso, ha dichiarato che ogni volta che i Groenlandesi manifestano il proprio desiderio di indipendenza e di superamento dei retaggi coloniali, il governo danese minaccia di “tagliare i fondi statali” o sostiene che la Groenlandia è sempre stata soltanto un costo, per cui i suoi abitanti “dovrebbero essere grati” verso il governo danese.
Alla luce delle recenti rivelazioni, però, Egede ha ribaltato la prospettiva affermando: “Cosa sarebbe stata la Danimarca senza la Groenlandia?”. A questo proposito, Frank Sejersen, professore associato presso il dipartimento di Greenlandic and Arctic Studies dell’Università di Copenaghen, ritiene che una discussione approfondita sui profitti derivati dalla miniera di Ivittuut potrebbe innescare un nuovo “self-understanding” danese. “La percezione danese era che tutto fosse fatto a beneficio della Groenlandia”, spiega Sejersen, “ma storie come questa dimostrano che, in realtà, eravamo interessati a trarne un beneficio per noi stessi, non solo in termini di prestigio, ma anche di profitto”.
L’uscita di questo documentario arriva in un periodo particolarmente teso per quanto riguarda i rapporti coloniali tra Danimarca e Groenlandia e le istanze di autonomia di quest’ultima. Da quando il presidente statunitense Donald Trump ha espresso un marcato interesse per l’acquisizione della Groenlandia, il tema dell’indipendenza dell’isola è tornato a riaccendersi con forza.
L’11 marzo sono in programma nuove elezioni, e diversi partiti auspicano un rafforzamento dell’autonomia e un affrancamento dai legami coloniali con la Danimarca. Secondo un recente sondaggio, indetto dal giornale danese Berlingske e dal quotidiano groenlandese Sermitsiaq, circa il 45% dei Groenlandesi vorrebbe l’indipendenza, a condizione che non vengano intaccate le proprie condizioni economiche e sociali. I politici danesi ribadiscono invece che gli abitanti dell’isola dovrebbero essere grati per il sostegno economico e sanitario ricevuto. Una posizione che, nel tempo, è stata interiorizzata da gran parte della popolazione locale.
La diffusione del documentario Greenland’s White Gold sembra però aver scosso molte certezze, diventando nel giro di pochi giorni un vero e proprio fenomeno culturale e contribuendo a modificare la narrazione riguardante il rapporto economico tra Danimarca e Groenlandia.
Le stime indicano che l’isola possiede almeno 25 dei 34 minerali considerati strategici dall’Unione Europea e un numero altrettanto significativo di minerali ritenuti strategici da Canada e Stati Uniti. Inoltre, la posizione strategica rispetto alle nuove rotte commerciali che si stanno aprendo in seguito al progressivo scioglimento dei ghiacci dell’Artico, pongono la Groenlandia sempre più al centro dello scacchiere internazionale.
Il popolo groenlandese ha tutta l’aria di non voler navigare passivamente questi nuovi scenari, sempre più convinto di sfruttare l’opportunità delle sue incredibili risorse minerarie per liberarsi dalla dipendenza economica dalla Danimarca. Che sia attraverso la creazione di nuove alleanze o la realizzazione di una completa indipendenza, la Groenlandia si trova a dover decidere come sfruttare le proprie risorse e la propria importanza geopolitica, nella consapevolezza però di dover trovare il modo di non compromettere la propria libertà né gli ecosistemi unici che la caratterizzano.
Enrico Gianoli
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