Il gas è uno dei temi principali quando si parla di Russia e Artico. Che diventa un caso politico se parliamo del Nord Stream 2, il ponte tra Artico ed Europa. Scopriamo qualcosa in più sul tema.
Il progetto è nato nel 1997 dall’intesa russo-finlandese tra Gazprom e Neste intorno all’idea di creare un gasdotto che trasportasse il gas russo bypassando a Nord Ucraina, Bielorussia e Repubbliche Baltiche. Nel 2006, la società in capo Transgas Oy è confluita in Nord Stream AG, holding svizzera incaricata di portare a termine i lavori e compartecipata da Gazprom (51%), Ruhrgas (15,5%), Wintershall (15,5%), N.V. Nederlandse Gasunie (9%) e Gaz de France-Suez (9%).
Ad oggi, Nord Stream è il gasdotto sottomarino più esteso del mondo grazie ai suoi oltre 1230 km, che collegano il porto russo di Vyborg alla città tedesca di Lubmin passando per le acque territoriali di Svezia, Finlandia e Danimarca.
La lunga gestazione del progetto è stata portata a termine tra il novembre del 2011 e l’agosto dell’anno seguente, quando sono state messe in funzione le prime due linee del gasdotto, capaci di garantire la completa alimentazione energetica di oltre 25 milioni di abitazioni in Europa tramite una capacità annuale di 55 milioni di m3 di gas.
Nel 2012, una rafforzata partnership russo-tedesca ha spinto la holding Nord Stream AG ad avviare studi di settore per estendere ulteriormente la rete dеl gasdotto. Il contratto per la realizzazione della nuova infrastruttura, firmato nell’aprile del 2017, garantisce a Nord Stream 2 la copertura del 50% dei costi di realizzazione da parte di cinque imprese europee: ENGIE, Uniper, OMV, Wintershal e Royal Dutch Shell.
Il risultato finale prevede pertanto la creazione di due nuove linee, capaci di raddoppiare la portata annuale di gas naturale (da 55 a 110 milioni di metri cubi di gas) collegando la Baia di Narva, situata tra l’Estonia e l’Oblast’ di Leningrado, e la cittadina tedesca di Greifswald. Le nuove diramazioni del gasdotto ne raddoppieranno anche l’estensione complessiva e si poseranno sui fondali marini di Svezia, Finlandia e Danimarca, che a seguito da vari negoziati hanno concesso le dovute autorizzazioni.
Il raddoppiamento del gasdotto darà inoltre slancio alla produzione energetica nell’Artico russo, garantendo una mole costante di estrazioni e consumo alle riserve del campo di gas di Bovanenkovo (circa 4,9 miliardi di m3), nella Penisola di Yamal, e lo sfruttamento della produzione di Yamal LNG tramite le dorsali Bovanenkovo-Ukhta 1 e 2.
Illustrare gli interessi strategici di Russia e Germania, principali parti in causa, risulta piuttosto semplice. Da un lato, Berlino si assicurerebbe una fornitura energetica ancor più stabile e si configurerebbe ancor più marcatamente come principale hub energetico europeo grazie ai competitivi prezzi del gas russo.
Dall’altro, Mosca si garantirebbe per gli anni a venire ingenti introiti dalla vendita di gas naturale, obiettivo prioritario della sua nuova “Strategia Energetica fino al 2035” (SE-2035), e fornendo inoltre un ulteriore stimolo allo sviluppo delle riserve di idrocarburi situati oltre il 66° parallelo.
La realizzazione di Nord Stream 2 rappresenta infine un obiettivo strategico per il Cremlino, in quanto il raddoppiamento del commercio energetico nella stabile Europa del Nord permetterebbe di ridurre ancor più la rilevanza e l’uso dei vecchi gasdotti sovietici, che inevitabilmente transitano da territori di paesi ostili o instabili quali Polonia e Ucraina.
Quest’ultimo punto, che de facto corrisponde alla quasi completa perdita di eventuali diritti di transito (-1%/-2,5%) e del relativo “potere di ricatto” per i paesi interessati, ha di conseguenza spinto Polonia, Ucraina e le repubbliche baltiche (Estonia, Lettonia, Lituania) a schierarsi in aperta opposizione al progetto. Varsavia, in particolare, ha ostruito a lungo il gasdotto con multe milionarie e strascichi legali, sostenendo che le possibili ripercussioni sui prezzi per i consumatori polacchi obbligassero Gazprom a richiedere un’autorizzazione governativa nonostante il tragitto di Nord Stream 2 non attraversi acque o territori a sovranità polacca.
Sono da annoverarsi nella lista dei contrari anche altri paesi UE quali Bulgaria, Italia, Ungheria e Slovacchia, interessati a mettere in risalto l’evidente contraddizione tra il raddoppiamento di Nord Stream (tra l’altro mai inserito nella lista dei Progetti di Interesse Comune – PICs), l’annullamento di gran parte dei progetti energetico-infrastrutturali per l’Europa Meridionale (es. South Stream) e l’obiettivo ufficiale dell’Unione Energetica Europea di diversificare le fonti di approvvigionamento energetico in luce dell’eccessiva dipendenza dalle forniture russe.
In ottica comunitaria, il progetto è inoltre stato dichiarato non conforme al Third Energy Package adottato nel 2009 dall’Unione Europea, che stabilisce l’obiettivo di creare un mercato unico europeo per l’energia. Altre criticità sono anche state rinvenute nel fatto che Nord Stream 2, essendo un gasdotto non interamente onshore od upstream, avrà un impatto ambientale più drastico e violerà il principio europeo di separazione tra i processi di produzione e distribuzione dell’energia.
È tuttavia doveroso ricordare che l’iniziativa per il Nord Stream 2 non è stata presa nel solco delle istituzioni comunitarie, e che le inevitabili divergenze tra legislazioni nazionali, internazionali e comunitarie rendono di fatto impossibile un’interpretazione generalizzata e unitaria della questione.
Nonostante la cornice geopolitica sia limitata agli affari europei, la realizzazione delle nuove linee del gasdotto è stata osteggiata anche e soprattutto dagli Stati Uniti. Nel 2015, in seguito all’annessione della Crimea, l’entrata in vigore delle sanzioni euroamericane contro la Russia aveva già temporaneamente messo in standby la costruzione di Nord Stream 2.
Con l’avvento della nuova presidenza di Donald Trump, Washington ha poi optato per un ulteriore inasprimento del regime sanzionatorio, esteso a partire dal 2017 alle compagnie europee che collaborano con lo sviluppo di infrastrutture russe per il trasporto dell’energia. Una decisione radicale, che ha costretto il cancelliere tedesco Angela Merkel a smarcarsi dalle “interferenze straniere” autorizzando la costruzione di Nord Stream 2 nelle acque e nei territori a sovranità tedesca, nonché portando a compimento l’edificazione del terminale di Greifswald l’anno seguente.
Al volgere del 2020, l’ostruzionismo statunitense è stato infine esacerbato dal Senato di Washington con la pubblicazione di un disegno di legge (“U.S. National Defense Authorization Act for Fiscal Year 2020”) che prevede il congelamento dei beni e la revoca dei visti negli Stati Uniti per tutte le compagnie europee beneficiarie di appalti per la realizzazione di Nord Stream 2. La minaccia, già anticipata in precedenza dai senatori repubblicani Ted Cruz e Ron Johnson e dalle “lettere minatorie” dell’ambasciatore statunitense in Germania Richard Grenell, ha spinto gli svizzero-olandesi di Alsseas ad annunciare in via precauzionale la sospensione temporanea della posa delle tubature e delle condotte per il gasdotto.
Il quotidiano americano Politico ha addirittura identificato sei pretesti con cui la Germania potrebbe fermare l’espansione di Nord Stream, ossia:
Come sottolineato da molti analisti, però, l’eventuale rimpiazzamento delle aziende europee sanzionate da Washington con compagnie russe e cinesi a cui verrebbero riappaltati i lavori infrastrutturali è una variabile da non trascurare: gli introiti degli appalti verrebbero infatti trasferiti ai nuovi partner, a detrimento delle aziende europee già individuate per la realizzazione dell’infrastruttore.
Negli ultimi mesi, il dibattito internazionale sulle sorti di Nord Stream 2 è tornato nuovamente in auge con il caso Navalny. L’avvelenamento del dissidente russo, ufficiosamente imputato al Cremlino e curiosamente ricoverato a Berlino, è stato usato come pretesto dagli avversari del gasdotto per chiedere l’annullamento del progetto.
E così, mentre Washington accusa e Mosca nega, Berlino temporeggia. E l’attendismo è forse la carta migliore da giocare in questa sorta di novella “Guerra Fredda”, visto che il gasdotto è quasi completo (92%) e la costruzione dei restanti 160 km è già stata autorizzata dalle autorità danesi.
Oltretutto, gli Stati Uniti sono ormai prossimi a un avvicendamento alla guida: a gennaio, Donald Trump sarà infatti succeduto da Joe Biden alla Presidenza. Il candidato democratico, a differenza del suo predecessore, ha dichiarato in campagna elettorale di voler restaurare le buone relazioni euro-atlantiche, annichilite dalla politica estera trumpiana e considerate il volano storico della stabilità del Vecchio Continente: un obiettivo praticamente irrealizzabile qualora un Nord Stream ormai completo venisse mandato a monte.
Appare perciò difficile che gli alti vertici tedeschi, spesso etichettati come “interlocutori (compiacenti) di Putin” (“Putin-Versteher”), cedano alle pressioni americane; per di più se l’ipotesi ventilata da Washington di sostituire le importazioni di gas russo con quello americano appare del tutto illogica. Gli eventuali costi infrastrutturali sarebbero maggiori, i prezzi al consumatore più alti, e la fornitura del tutto insufficiente a soddisfare il fabbisogno energetico tedesco.
La Germania si troverebbe pertanto a perdere i vantaggi competitivi che otterrebbe da Nord Stream 2 per l’export energetico in Europa, essendo però costretta a continuare a comprare gas russo a un prezzo nettamente più alto e in un clima diplomatico reso ancora più critico.
È forse per questo che il Cremlino ha dichiarato ottimisticamente che Nord Stream 2 sarà completato “entro la fine dell’anno” corrente, o, nella peggiore delle ipotesi, nei primi tre mesi del 2021: se così fosse, l’infrastruttura entrerebbe in funzione con “soli” 6-9 mesi di ritardo rispetto alla tabella di marcia prefissata. Alle dichiarazioni di Putin hanno subito fatto seguito quelle di Nord Stream AG, secondo cui il gasdotto sarà terminato “il prima possibile”.
Ad oggi, l’effettiva messa in funzione di Nord Stream 2 rappresenta ancora un’incognita, il cui destino apparirà più chiaro soltanto dopo l’insediamento di Joe Biden alla Casa Bianca. Una eventuale dismissione del gasdotto appare tuttavia improbabile, dato l’avanzato stato dei lavori e le conseguenze così imposte alla Germania e alle compagnie energetiche implicate nel progetto.
Guglielmo Migliori
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