L’imminente esercitazione militare Nordic Response 2024 e le incursioni dei bombardieri strategici russi dimostrano il crescente stato di tensione militare nella regione artica.
I muscoli della NATO
Il prossimo marzo, nell’Artico si svolgerà un’imponente esercitazione militare, battezzata dai suoi organizzatori Nordic Response 2024. Con il coinvolgimento di oltre 20mila uomini, 50 imbarcazioni tra cui varie portaerei e un centinaio di velivoli tra aerei ed elicotteri, questa esercitazione guidata dalla Norvegia (che vedrà anche la partecipazione dell’Italia) avrà luogo in concomitanza con Steadfast Defender, un’altra massiccia manovra militare comandata dagli Stati Uniti.
Quest’ultima coinvolgerà 90mila militari provenienti da tutti i membri NATO e dalla Svezia, estendendosi su tutto il territorio europeo nel corso di circa quattro mesi. Insomma, l’Alleanza atlantica flette i muscoli in quella che è stata definita la sua “più grande esercitazione militare da decenni” e si fa vedere ampiamente presente anche nell’Artico, per mare, terra e aria, laddove la Russia si è sempre considerata padrona.
Le esercitazioni militari sono indispensabili per garantire la prontezza operativa delle forze armate nazionali, specialmente in territori impegnativi come l’alta montagna, il deserto o, appunto, l’ambiente artico. La loro importanza, tuttavia, raddoppia quando inserite nel contesto di un’alleanza internazionale.
Le manovre, infatti, non solo rafforzano il coordinamento interforze, ma anche tra i comandi di Paesi molto diversi tra loro, e triplica nei momenti di crisi internazionale.
La deterrenza nei confronti della Russia
In periodi di crisi, infatti, emerge prepotentemente il concetto di deterrenza attraverso lo sfoggio della preparazione delle forze armate di un’alleanza internazionale come la NATO nei confronti di potenziali minacce esterne. Nessuno lo dice direttamente, ma è ovvio che lo scopo principale di queste manovre è quello di dimostrare la capacità di risposta delle forze NATO a potenziali minacce russe.
È quindi a sua volta naturale che la Russia si senta in qualche modo irritata, se non intimorita, da un simile spiegamento di forze vicino ai suoi confini, e in un’area geografica per lei così importante strategicamente, culturalmente e storicamente. Dobbiamo considerare che, per evitare incidenti potenzialmente fatali, l’esperienza della Guerra Fredda ha insegnato alla NATO e alla Russia l’importanza del preavviso e della trasparenza nell’organizzare simili azioni militari.
Il rischio che questa le possa considerare un vero attacco e, quindi, che si verifichi una potenziale escalation nucleare – perché è di questo che si parla – è tuttavia reale. È quindi da mesi che i comandi militari e i governi interessati sono consapevoli delle azioni che la NATO intraprenderà in Europa e la Norvegia e gli alleati sulle coste del Mar Glaciale Artico.
La risposta di Mosca
La Russia, quindi, intende innervosire a sua volta il vicino norvegese, secondo una prassi ormai consolidata. Di lunedì 12 febbraio è la notizia che due Tu-95 hanno sorvolato il Mare di Barents e il Mar di Norvegia verso ovest e ritorno, mantenendosi nello spazio aereo internazionale, in un viaggio della durata di circa cinque ore.
Il Tupolev Tu-95 è un bombardiere strategico – componente indispensabile della triade nucleare russa perché capace di trasportare missili atomici – in servizio presso le Forze Armate sovietiche e poi russe già dagli anni Cinquanta. I due bombardieri erano partiti dalla base aerea di Olen’ja (dove ne sono stanziati una decina) sulla Penisola di Kola, a un centinaio di chilometri da Murmansk, ed erano accompagnati da altrettanti Su-35, moderni aerei da caccia.
L’incursione ha tuttavia suscitato le preoccupazioni delle autorità norvegesi, che hanno ordinato il decollo degli F-35 per intercettare e scortare i velivoli russi. Le massicce esercitazioni militari NATO e l’incursione russa con bombardieri nucleari nei pressi dello spazio aereo norvegese (il numero di simili azioni è più che raddoppiato nel corso degli ultimi tre anni) vanno a dimostrare lo stato di crescente riscaldamento, fisico e metaforico, di quello che per millenni è stato visto soltanto come un gelido deserto ai confini del mondo.
Tommaso Bontempi
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