L’intervista a Laura Borzi, protagonista a “Italia chiama Artico” con le relazioni tra il Canada e la regione polare.
All’indomani della conclusione del Festival “Italia chiama Artico”, quest’anno alla sua terza edizione, abbiamo chiesto a Laura Borzi un approfondimento sulle questioni che ha affrontato nel suo intervento, all’interno del panel “Il Nuovo Mondo”. Borzi è analista presso il Centro Studi Italia-Canada, le sue analisi si concentrano quindi sull’Artico canadese e la politica estera di Ottawa, e le maggiori aree di interesse riguardano la geopolitica dell’Artico, la sicurezza e la difesa.
Laura, a “Italia chiama Artico” abbiamo seguito con interesse il tuo intervento che, come hai ricordato, proviene da un policy paper che stai scrivendo sull’Artico canadese e la guerra – che si sta consumando sul territorio ucraino – come moltiplicatore di vulnerabilità pregresse.
Hai sottolineato che la lente geopolitica con cui guardare a Nord deve tenere conto del sistema di governance che ha regolato l’Artico negli ultimi trent’anni. Centrale è dunque il tema della sicurezza in chiave nazionale e regionale. Soprattutto in virtù della progressiva influenza – reale o percepita – da parte di attori globali, siano essi esterni o interni all’Artico.
Cosa puoi dirci in merito alla natura e alla provenienza di tali influenze? Qual è lo stato dell’arte dei sistemi di difesa e sicurezza messi in campo da Ottawa in questo senso?»
Borzi: «L’Artico è direttamente influenzato dall’interazione di due crisi globali in corso: il cambiamento climatico e la guerra in Ucraina. La regione è considerata il barometro della crisi climatica globale poiché in Artico il cambiamento si manifesta quasi quattro volte più velocemente della media mondiale dal 1979.
Se il cambiamento climatico è suscettibile di causare minacce senza precedenti a livello globale, a Nord del pianeta dove vivono 4 milioni di persone – il 10% delle quali sono popolazioni indigene – già si sperimentano da tempo significative criticità che si aggiungono a sedimentate problematiche di condizioni di vita disagiate, con limitato accesso ai basilari servizi, risorse e infrastrutture oltreché sfide di governance, retaggio del passato coloniale.
I Paesi artici nelle loro politiche e strategie hanno rivolto attenzione alle problematiche di human security che caratterizzano il Norde, in linea con i lavori del Consiglio Artico, forum intergovernativo perno della trentennale cooperazione funzionale e pacifica dell’area. Hanno mostrato interesse nella preservazione delle regioni artiche, con la promozione di attività economiche rispettose del delicato ambiente, in linea con criteri di sviluppo sostenibile e protezione delle popolazioni locali. L’aggressione russa all’Ucraina ha fatto sorgere ragionevoli dubbi sull’eccezionalità dell’Artico quale area di pace nelle relazioni internazionali, così come era stata delineata nello storico discorso di Mikhail Gorbachev a Murmansk nel 1987.
La sospensione dei lavori del Consiglio Artico e la richiesta di adesione alla NATO da parte di Finlandia e Svezia delineano anche al Nord una divisione più netta tra l’Alleanza Atlantica e Mosca, con lo sgretolarsi della possibilità di comune messa a sistema di valori, grazie ad una convergenza economica e dialogo politico sui quali i vari Paesi avevano puntato nei decenni passati.
L’aggressione russa ha sortito effetti sistemici e la stessa regione artica ha subito cambiamenti importanti nel complesso della struttura di sicurezza e delle infrastrutture militari, che si stanno trasformando come conseguenza delle azioni di Mosca. Evidentemente, il riverbero della guerra tra Mosca e Kiev continuerà ad impattare il sistema internazionale nel medio e lungo periodo.
Tra gli Stati artici, il Canada è stato particolarmente colpito dai mutamenti dell’ultimo ventennio in termini di effetti del cambiamento climatico e dinamiche geopolitiche. L’intensificazione della rivalità sistemica con alcuni attori incamminati sulla strada del revisionismo avevano già fatto emergere nuovi Stati in cerca di influenza con lo scopo di incidere sul futuro politico della regione, in particolar modo la Cina.
La guerra in Europa ha rappresentato uno shock di un sistema di valori, giuridici, filosofici e morali che ha scosso alla base le stesse fondamenta delle Nazioni Unite e, per quello che riguarda Ottawa, ha portato alla luce una serie di vulnerabilità pregresse che il Canada si trova ad affrontare nell’immediato. Si profilano fondamentalmente due tipi di minacce al Nord. Quella convenzionale sul piano globale, ovvero attraverso l’Artico che impone di rispondere alla sfida di competizione tra potenze e si traduce essenzialmente nell’aggiornamento del North American Aerospace Defense Command (NORAD).
Una seconda, sul piano interno in Artico, riguarda la gestione delle minacce ibride, ovvero operazioni di destabilizzazione da parte di attori terzi, Stati o privati nella regione che, a causa delle conseguenze del cambiamento climatico, è diventata sempre più ambita. Il NORAD resta l’unico comando bi-nazionale al mondo nato all’epoca della guerra fredda per contrastare la minaccia sovietica.
Poiché Mosca non faceva distinzione tra obiettivi canadesi e statunitensi, Canada e Stati Uniti ritennero vantaggioso trattare lo spazio nordamericano come indivisibile e ad oggi il NORAD, ben oltre l’aspetto della difesa, resta la pietra angolare della relazione politica tra i due Paesi. Le motivazioni per la modernizzazione del NORAD sono legate alla necessità di contrastare il revisionismo russo e cinese che si materializza anche nella messa a punto delle nuove tecnologie nei sistemi di armamenti per le quali le attuali capacità nordamericane sono limitate.
L’esempio più noto è la nuova generazione di missili cruise a lungo raggio e le armi ipersoniche russe che sono in grado di sfuggire al North Warning System. Durante la guerra fredda Stati Uniti e Canada hanno fatto affidamento sul deterrente nucleare e sulla convinzione che la difesa del territorio cominciava lontano dal continente, pertanto negli ultimi decenni gli investimenti nella difesa aerea continentale erano stati scarsi.
Questa situazione è cambiata e, come osservano i Generali O’Shaughnessy–Festler in un rapporto del 2020, la strategia dei nemici degli Stati Uniti (e dunque del Canada) è quella di colpire il territorio americano per impedirne il dispiegamento delle forze nei teatri lontani (Europa e Asia Pacifico). Il Canada si trova a subire pressioni da parte dell’alleato maggiore (e dal resto degli alleati NATO) per ulteriori investimenti nella difesa del territorio.
Questo implica non soltanto la necessità di finanziamenti per la difesa, ma anche un passaggio ad una forma mentis che prenda atto del cambiamento geopolitico su scala mondiale che ha molto eroso il vantaggio della geografia. Eppure, questa minaccia convenzionale e globale che attira rinnovato interesse mediatico e politico non è la più immediata. A ben vedere, la crescente presenza cinese al Nord è un elemento di rischio ben maggiore perché suscettibile di sfruttare le vulnerabilità della regione, mettendo a rischio gli interessi canadesi al Nord e nel resto del Paese.
La Cina – Stato membro osservatore del Consiglio Artico dal 2013 – ha sviluppato una narrazione che da un lato sostiene la nozione di Artico come global common. Ma che sul piano interno delinea, attraverso opportunità economiche, una traiettoria di ascesa sulla scena internazionale con l’obiettivo di aggiornare il balance of power e l’ordine internazionale liberale che hanno governato il mondo dal secondo dopoguerra.
In breve, una politica artica composita, ibrida come ibride sono le minacce poste dalla Cina anche con riferimento all’Artico canadese. Come osservato, le popolazioni del Nord canadese soffrono di un divario significativo rispetto al resto del Paese. Ciò concerne le condizioni socio-economiche, di salute, l’istruzione, le infrastrutture e un rapporto difficile con il governo centrale. Se la governance multi-livello ha favorito la partecipazione al processo decisionale delle popolazioni locali tramite la devolution, la stessa ha anche complicato il quadro.
Nelle criticità e nei divari delle questioni locali c’è la possibilità di inserimento e influenza da parte di attori esterni, con conseguente messa a repentaglio di sovranità, democrazia e coesione sociale. La presenza economica cinese suscita timori per quanto concerne la navigazione, le (future) attività di pesca, lo sfruttamento minerario, la ricerca di materiali critici sulla terraferma e sui fondali marini, e per gli effetti sullo sviluppo economico che tutto ciò comporterà per il benessere delle popolazioni del Nord.
Nel giugno 2022 Mandiant, un’azienda che si occupa di cybersecurity, ha portato alla luce una campagna a favore della Cina che aveva preso di mira alcune compagnie minerarie statunitensi e canadesi. Attraverso falsi accounts, si distribuivano messaggi negativi alle comunità in cui le attività di estrazione delle terre rare avrebbero dovuto aver luogo. La Cina produce oltre il 60% delle terre rare, minerali essenziali per le tecnologie avanzate e per la transizione ad un’economia verde.
La presenza cinese, se si concretizzasse in questo ambito economico in Artico, potrebbe creare criticità ulteriori come la dipendenza dal punto di vista del mercato interno, oltre alla possibilità per Pechino di inserirsi nei multiformi strati di governance che caratterizzano queste regioni dell’Artico, ed incidere ad esempio con campagne occulte di disinformazione in grado di influenzare l’opinione pubblica a livello locale o nazionale.
Il verificarsi di simili episodi a cavallo tra minacce ibride e (sleale) concorrenza economica, indicano quanto sia necessario tenere alta la guardia affinché l’Artico canadese sviluppi resilienza nei confronti delle minacce dell’attuale scenario mondiale. Il tipico vettore opaco di ingerenza è quello della ricerca scientifica che la Cina pratica da circa un ventennio nell’Artico e nei mari adiacenti. Il cambiamento climatico riguarda l’intero pianeta e la ricerca è fondamentale anche per Pechino al fine di comprendere molti scenari futuri quali il paesaggio agricolo, la pianificazione dell’industria e l’avvenire della vita nelle metropoli. Tuttavia, non è raro che attività ed elementi della società civile cinese abbiano una dimensione militare e agiscano per conto statale o del Partito stesso.
Pensiamo all’idrografia, alla batimetria e all’acustica oceanica con evidenti implicazioni in scenari di guerra. La Cina ha sviluppato le capacità di installare strumenti di ascolto sommersi che possono essere utilizzati per tracciare i sottomarini alleati in Artico e nel prossimo futuro saranno a disposizione di Pechino sommergibili di acque profonde in grado di essere impiegati nelle acque dei mari del Nord.
Il professor Rob Hueber dell’Università di Calgary, che da tempo mette in guardia sulle tensioni geopolitiche in Artico, fa notare come il Canada non disponga di simili capacità. L’idrografia costituisce un importante precursore delle operazioni sottomarine, il che alimenta preoccupazioni sullo schieramento di forze convenzionali per rendere sicure le SLOCs (sea lines of communications) all’entrata della regione in caso di conflitto futuro. In queste circostanze, sono i rapporti politici tra gli Stati ad essere determinanti.
Data la difficoltà delle relazioni sino-canadesi (e statunitensi), negli ultimi anni appare sempre più difficile trovare un bilanciamento tra rischi e opportunità in Artico nel gestire la relazione con Pechino. Che non mette in discussione i diritti concessi agli Stati dal diritto internazionale, ma utilizza attività economiche e scientifiche per diventare un affermato stakeholder delle politiche artiche in modo da condizionare la geopolitica della regione.
Il Canada ha davanti due sfide: in primis colmare le lacune che limitano la comprensione del proprio ambiente marittimo con tecnologie che migliorino la situational awareness, come è stato messo in rilievo da uno studio del 2022, l’Arctic Waters Surveillance Report. In secondo luogo, e questo resta valido per il Canada come gli per Stati artici membri della NATO, la presenza cinese in Artico deve essere focalizzata sulle minacce ibride più che su quelle convenzionali, poiché un’attenzione eccessiva al Nord del pianeta in questa seconda accezione potrebbe drenare utili risorse dalle aree strategiche che maggiormente stanno a cuore a Pechino e nelle quali si giocherà la partita per l’ordine internazionale del prossimo futuro”.
Giulia Secci
Osservatorio Artico © Tutti i diritti riservati
La Svezia annuncia un massiccio rafforzamento della difesa, bloccando contestualmente la costruzione di tredici parchi…
Dopo l'entrata della NATO, la Finlandia ha aumentato i propri investimenti nella difesa, ordinando anche…
Il 2 novembre si è conclusa a Cali, in Colombia, la sedicesima Conferenza delle Parti…
Lo Svalbard Global Seed Vault ha accolto oltre trentamila nuovi semi da tutto il mondo,…
Le esercitazioni russe con armi nucleari hanno il delicato scopo di mantenere la “readiness” delle…
Il forte sviluppo delle capacità militari sovietiche nell’Artico sotto la guida stalinista apre la via…