Politica

NATO: “L’Artico sia pronto a tutto”

Si chiude l’Arctic Circle Assembly 2023, l’evento centrale per definire lo stato dell’arte della regione artica e di tutte le sue complessità.

L’avvertimento della NATO

Dopo un secondo giorno di panel, incontri, eventi e dialoghi tra gli oltre 2500 partecipanti di oltre 70 nazioni, la sessione plenaria del terzo e ultimo giorno dell’Arctic Circle Assembly si è aperta con l’intervento dell’Ammiraglio Rob Bauer, Chair of the Military Committee della NATO

In linea con il tema del primo panel, “the NATO perspective on the Arctic”, l’ammiraglio Bauer ha illustrato le principali problematiche che la regione polare presenta attualmente, racchiuse in tre punti:

  1. La posizione tutt’oggi centrale della Russia rispetto alle dinamiche geopolitiche, militari ed economiche della regione artica.
  2. Il legame sempre più stretto tra Russia e Cina, in particolare nel settore del commercio marittimo, della ricerca e dell’energia.
  3. Gli investimenti che gli stati scandinavi e soprattutto Finlandia e Svezia dovranno sviluppare nel settore militare.

Expect the unexpected

The North Atlantic alliance has to be prepared for the unexpected” e lo deve essere mantenendo una visione globale, guardando a ogni regione (Artico compreso) con la consapevolezza che la stessa faccia parte di una complessa e intricata rete di dinamiche globali. 

Un ulteriore punto di attenzione deve essere posto sulle nuove tecnologie, come l’uso dei droni e dei dati, sempre più cruciali nei conflitti attuali e futuri. Nel complesso, il panorama globale presenta delle sfide impegnative che necessitano di un’attenzione costante. 

Bauer, olandese classe 1962, ai vertici del servizio militare NATO dal 2021, affronta poi il tema dei rapporti con la Russia e con la Cina. “L’atteggiamento aggressivo della Russia, iniziato nel 2014 con l’invasione della Crimea e culminato con la guerra in Ucraina, ha portato la NATO a cambiare la propria postura e a rompere il dialogo che si era cercato di costruire nei due decenni precedenti. Al contrario, la NATO vede la Cina non come una minaccia ma come una sfida, come  un attore che non ha ancora manifestato chiaramente la propria posizione e le proprie intenzioni e che per questo richiede un impegno e uno sforzo che sia orientato alla reciproca comprensione”.

L’Asia nell’Artico

Spazio a questo tema ne ha avuto molto la seconda giornata, che ha visto impegnata anche la delegazione italiana in diversi panel dedicati alla ricerca scientifica. È Miguel Roncero (DG Mare) a sottolineare il ruolo dell’Unione Europea e alla maggiore attenzione che Bruxelles pone sulla questione artica nel suo complesso.

Attenzione rimarcata anche dall’ambasciatore della Corea del Sud, che afferma come Seul giochi un ruolo fondamentale sulla protezione ambientale, e sul fatto che sarà ancora la capitale corean, probabilmente, ad ospitare la prossima COP.

Gao Feng è sicuramente uno degli uomini più attesi all’evento. Inviato Speciale per la Cina nell’Artico, celebra nel suo discorso i successi dell’accordo riguardo i pericoli imposti dallo scioglimento dei ghiacci. “China is an important staleholder in the Arctic”, afferma il diplomatico, sottolineando l’importanza dei progressi raggiunti dalla cooperazione tra gli Stati artici e gli attori geograficamente lontani, ma che sono integrati nel processo (di cui abbiamo parlato nel nostro ultimo numero di BOREALIS).

La necessità del dialogo

Messaggio chiave dell’incontro è dato da come l’accordo sia uno degli esempi più lampanti di “binding agreement” basati su un approccio precauzionale, che privilegia la conoscenza scientifica, dà spazio all’inclusione di stakeholder che non sono solo Stati artici, coinvolge le popolazioni indigene, e inoltre rappresenti un modello di framework legale replicabile in altri settori in cui si necessita di affrontare gli effetti transnazionali del cambiamento climatico.

Attenzione alle popolazioni indigene ripresa a gran voce anche dalla partecipazione dei tanti protagonisti groenlandesi, che portano a Reykjavìk i tanti problemi sociali che vive la popolazione. Oltre il 50% delle studentesse sono infatti ragazze madri, con tutte le difficoltà del caso sul terminare il proprio ciclo di studi, e quindi di potersi emancipare da una vita di sussistenza. 

Ma il fronte della decolonizzazione è materia difficile da maneggiare. Le ferite aperte tra Groenlandia e Danimarca sono ancora fresche, e la ricerca degli Inuit di avere una forte voce in capitolo sulla società e sulla politica è ancora senza risposte.

Elena Mazzi – Giulia Olini – Marco Volpe

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Redazione

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