L’enorme abbondanza di risorse nell’Artico e nell’Estremo Oriente e la scarsa manodopera disponibile per estrarle e lavorarle portano alla fondazione della GULAG, l’amministrazione dei campi di lavoro correttivi.
Nonostante le sue ricchezze naturali, l’Artico rimaneva comunque un territorio estremamente inospitale e in grandissima parte disabitato. L’elettricità doveva essere generata localmente attraverso l’impiego delle risorse idriche o delle centrali termiche e tutti i beni necessari alla vita umana, dal vestiario al cibo ai materiali da costruzione a quelli da lavoro, dovevano essere prodotti sul posto a causa delle enormi distanze che separavano le località del Nord dalle più vicine città siberiane.
Il sottosuolo era perennemente ghiacciato: il permafrost causava problemi nella costruzione degli edifici e, soprattutto, dei giganteschi complessi industriali necessari per l’efficace sfruttamento, lavorazione e smistamento dei prodotti derivati dall’estrazione mineraria. A causa di queste criticità, il trasporto delle risorse estratte, dei prodotti lavorati e, soprattutto, dei lavoratori, era estremamente difficoltoso.
La soluzione migliore e più economica a queste difficoltà erano le vie fluviali. Immensi corsi d’acqua irrorano l’Artico e la Siberia e consentivano un efficace spostamento delle merci verso i quattro angoli dell’Unione. Tuttavia, il clima rigido ghiaccia i fiumi per buona parte dell’anno, rendendoli di fatto logisticamente inutili durante i mesi invernali.
Per tali ragioni si dovette quindi ricorrere e al trasporto su ferrovia e al trasporto su strada, reso però molto difficoltoso dalle avverse condizioni climatiche e ancora una volta dal permafrost, che non consentono una posa ottimale del manto stradale. La costruzione delle ferrovie era anch’essa estremamente costosa e l’Artico, fatta salva la porzione europea, rimase pressoché escluso da uno sviluppo ferroviario capillare.
Il secondo grande problema che affliggeva – e che tuttora affligge, a dire la verità – l’Artico è la scarsità della forza lavoro, indispensabile per il funzionamento delle industrie e delle attività estrattive in un ambiente così estremo. Senza forti incentivi nessuno avrebbe scelto volontariamente di migrare nell’Artico, verso l’aspra vita di frontiera. I lavoratori dovevano dunque essere costretti a trasferirvisi.
Il lavoro forzato si rivelò la soluzione al grave problema della scarsità di manodopera: la collettivizzazione forzata delle terre e la “dekulakizzazione” portate avanti dal regime di Stalin per risolvere il problema dell’approvvigionamento alimentare per una popolazione urbana in continua crescita, con una propaganda che additava i kulaki o “contadini benestanti” come nemici del popolo e nemici della Rivoluzione, produsse un grande numero di prigionieri.
I kulaki furono arrestati in massa, e ben presto lo spazio nei campi di prigionia “regolari”, eredi dell’epoca zarista, cominciò a scarseggiare. Si decise dunque di disegnare per i milioni che nel giro di pochi anni furono arrestati un sistema di campi di concentramento che permettesse il loro sfruttamento dal punto di vista economico, in modo che producessero un reddito e fossero utili allo Stato. Questi prigionieri, oltre a incrementare la produttività, erano funzionali al popolamento di quelle regioni dell’Artico così lontane dal centro e difficili da raggiungere, trasformandosi così nella soluzione al problema della scarsità di manodopera al Nord.
All’OGPU (sigla per “Direzione politica generale dello Stato” in lingua russa), la polizia segreta di Stalin erede della primissima Čeka, fu assegnata la competenza sui campi di lavoro e sui milioni di criminali comuni, prigionieri politici e kulaki che li popolavano. L’OGPU, per gestire i campi, che sarebbero appunto diventati noti come “gulag”, si avvaleva della Glavnoe Upravlenie Lagerej o “Amministrazione generale dei campi di lavoro correttivi”, dipendente dal Commissariato del popolo per gli affari interni.
Uno degli obiettivi della GULAG, almeno teoricamente, era quello di rieducare e riplasmare i criminali e i dissidenti per mezzo del lavoro.
Tommaso Bontempi
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