Partita nel settembre di un anno fa da Tromsø, il 19 agosto 2020 la storica MOSAiC Expedition a bordo della rompighiaccio Polarstern (“Stella Polare”) ha ufficialmente raggiunto il Polo Nord geografico.
Attraversando una rotta a nord della Groenlandia e dello Stretto di Fram, l’equipaggio della Polarstern si è reso conto che già a partire dal 87° le condizioni di navigazione erano inaspettatamente favorevoli. Ciò è stato dovuto a una presenza di ghiaccio minore delle aspettative e delle valutazioni precedenti. La rotta seguita dalla Polarstern per raggiungere il Polo ha infatti portato la spedizione in una regione in passato fittamente coperta da ghiacci.
Tuttavia, i dati satellitari hanno mostrato come l’obiettivo 90° fosse davvero a portata di mano: in soli sei giorni, la Polarstern ha raggiunto il punto più a nord del nostro pianeta. Da alcuni dati satellitari, infatti, il comandante della nave e il leader della spedizione avevano ritenuto possibile una effettiva minore presenza di ghiaccio, credendo però in un primo momento che ciò fosse riconducibile a una particolare situazione dei venti e delle correnti.
Avvicinandosi alla regione delle osservazioni satellitari invece hanno avuto conferma visiva che lo scioglimento del ghiaccio e il suo spessore avrebbero realmente permesso di fare rotta verso il Polo. Oltre al successo ed ai festeggiamenti per il raggiungimento di un obiettivo che rimanda alle spedizioni polari di secoli passati, la MOSAiC Expedition prende atto di una realtà allarmante: le previsioni di estati completamente “ice-free” per il 2030/20235 acquistano dunque una certa concretezza, se a latitudini così alte la rotta verso il Polo è talmente agevole ed il ghiaccio così sottile. In questo discorso, i satelliti si confermano quale elemento rivoluzionario, per le ricerche, la sicurezza e per l’agenda politica del prossimo decennio.
Paradossalmente, nel momento in cui la Polarstern ha fatto rotta verso il Polo, la spedizione si è spostata troppo a Nord rispetto all’area usualmente coperta dalla missione Sentinel-1 – la doppietta di satelliti SAR del programma europeo Copernicus, sviluppati da Thales Alenia Space Italia, in grado di studiare proprio il ghiaccio e il mare.
Per ovviare al “North Pole hole”, ossia una lacuna di osservazioni satellitari proprio in prossimità del 90°, la Polar Space Task Group (PSTG) della World Meteorological Organisation ha coinvolto le agenzie spaziali canadese, tedesca e italiana per ottenere dati ed assicurare ed avere informazioni preziose per il successo della spedizione. Proprio la costellazione satellitare italiana Cosmo SkyMed dell’ASI e del Ministero della Difesa ha potuto dunque giocare un ruolo importante per la sicurezza e la buona riuscita della MOSAiC Expedition, dove peraltro l’Italia partecipa attraverso il CNR insieme ad altri 19 stati.
A livello europeo, poi, l’impegno dell’ESA passa prima di tutto attraverso una partecipazione diretta alla spedizione con alcuni progetti di ricerca, tra cui un radar che studia lo spessore del ghiaccio e restituisce informazioni cruciali per distinguere appunto le zone coperte dalla neve e quelle fittamente chiuse nel ghiaccio.
Non solo, l’ESA controlla in orbita un altro satellite, il Cryosat. Il satellite è dedicato allo studio delle zone polari, e recentemente ha effettuato una piccola correzione dell’orbita per essere ancora più efficace e coordinarsi con gli occhi satellitari statunitensi dell’ICE-Sat2 della NASA. Per di più, tre dei prossimi satelliti del programma Copernicus proposti nel luglio scorso hanno potenzialmente a che fare con l’artico e lo studio dei ghiacci nelle aree polari.
I satelliti continuano ad essere asset fondamentale per la regione artica ed evidentemente anche per il ruolo dell’Europa, collettivamente, e degli stati con capacità e interessi nella regione come l’Italia, come abbiamo raccontato nell’analisi della consultazione per una nuova Arctic Policy europea.
Giancarlo La Rocca
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