La Corte Suprema Amministrativa svedese ha dato il via libera al governo per lo sfruttamento della miniera di ferro presso la città di Jokkmokk, Svezia settentrionale. Le organizzazioni ambientaliste, i Sami e altre comunità locali protestavano da anni a riguardo.
Il dilemma di Kallak
Martedì 25 giugno, la Corte Suprema Amministrativa svedese ha dato il via libera al governo per assegnare la concessione di sfruttamento della miniera di Kallak, nella contea di Norrbotten. La presenza di grandi quantità di ferro fu ipotizzata già negli anni ‘40, ma solo nel 2006 la compagnia mineraria della regione ottenne il permesso di esplorazione dell’area e le trivellazioni di prova partirono nel 2010.
A partire dal 2013 i movimenti ambientalisti, la comunità dei Sami e altre organizzazioni locali hanno provato a fermare il progetto di sfruttamento dell’area. Soprattutto dopo la decisione del governo, nel 2022, di assegnare la concessione apposita.
La decisione arriva in un momento delicato per la società svedese, nel pieno di una riflessione nazionale circa il trattamento riservato fino ad oggi alle comunità indigene del Paese. Nel 2020 la Svezia istituì una commissione di ricerca indipendente per indagare sugli abusi perpetrati sui Sami. Popolo indigeno con alle spalle decenni di diritti violati, discriminazioni, confische di terreni e sradicamento culturale.
Anche le Nazioni Unite si esprimono
Come riportato dai media svedesi, la compagnia mineraria Jokkmokk Iron Mines AB, una sussidiaria dell’inglese Beowulf, potrà ora presentare i documenti necessari per ottenere i permessi e scavare la controversa miniera di ferro.
Le comunità di due villaggi Sami, così come la Swedish Society for Nature Conservation, fecero ricorso lo scorso settembre per impedire legalmente al governo di procedere con la decisione. Le motivazioni addotte furono che l’attività della miniera avrebbe avuto dei potenziali effetti negativi sul territorio, contaminando le terre e le fonti d’acqua circostanti.
Secondo le associazioni indigene, la decisione del governo avrebbe violato non solo la Costituzione, ma anche il Diritto internazionale: la sfruttamento dell’area, infatti, avrebbe obbligato le comunità locali ad abbandonare la loro tradizionale attività pastorizia, risultando devastante per i villaggi e la cultura Sami.
Anche le Nazioni Unite espressero non poche perplessità sulla fattibilità del progetto e sulle conseguenze che avrebbe potuto avere, sottolineando la quantità di rifiuti tossici che l’estrazione di ferro avrebbe causato e richiamando il governo a consultarsi di più con i Sami. Non a caso, un documento ufficiale del Palazzo di Vetro invitò la Svezia a costruire un rapporto di buona fede con i popoli indigeni, basato sul riconoscimento del loro patrimonio culturale e dei loro tradizionali metodi di sussistenza: “La decisione di non approvare il progetto [di estrazione] in Gállok può dimostrare un cambiamento spartiacque rispetto alle ingiustizie del passato”.
La controversia legale
Vari esperti della Commissione ONU per i Diritti Umani sollecitarono la Svezia a non approvare il progetto, dal momento che si trovava in un territorio usufruito dai Sami, e il cui ecosistema sarebbe stato messo in pericolo in presenza di attività di estrazione. In aggiunta, anche il Parlamento Sami della Svezia diede un parere negativo sul progetto di estrazione, chiedendo allo Stato di non procedere con il rilascio della concessione.
Nel prendere questa decisione, tuttavia, la Corte ha affermato che “in una prospettiva a lungo termine, l’attività mineraria oggetto della richiesta di concessione di sfruttamento comporta un’intrusione per un periodo limitato nelle aree terrestri usate per l’allevamento delle renne, in un’area relativamente più piccola, con la potenzialità di generare effetti socioeconomici significativamente positivi, il che è considerato una buona gestione delle risorse del territorio”.
La concessione, a ogni modo, non conferisce il diritto di iniziare effettivamente le attività di estrazione. Per questo, servirà anche un permesso in linea con il codice ambientale svedese, che può essere emesso solo da quello che in gergo viene definito “tribunale del territorio e dell’ambiente”. Jokkmokk Iron Mines AB ha affermato di sperare di ottenere il permesso ambientale entro la fine del 2025: la palla passa in mano al tribunale locale.
Nicolò Radice Fossati
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