Dopo un ventennio per lo più dedicato allo sviluppo delle capacità di condurre spedizione scientifiche, la strategia artica cinese si è differenziata e articolata nel miglioramento della posizione nella governance e nello sviluppo di relazioni bilaterali e multilaterali.
L’Artico cresce nelle priorità della leadership cinese. La priorità per la ricerca scientifica e per la costruzione di basi di ricerca e di una nuova rompighiaccio, esplicitate nel XII e nel XIII Piano quinquennale, sono state integrate con la dichiarata intenzione di partecipare sempre più al meccanismo di governance artica, soprattutto in termini di gestione dell’ecosistema marino.
Un forte segnale di collaborazione e di priorità assegnata alla ricerca scientifica è stata la firma del Trattato per prevenire la pesca non regolamentata nell’Oceano Artico Centrale, siglato nel 2018. Tuttavia, ciò che impensierisce di più gli stakeholders artici è il dinamismo cinese nella regione relativo a investimenti in infrastrutture strategiche, attraverso accordi bilaterali con Paesi artici o multinazionali del settore energetico.
La percezione della crescente presenza cinese come una minaccia per l’ordine internazionale in Artico è stato chiaramente esplicitato dell’ex segretario di Stato americano Mike Pompeo, che nel suo discorso a Rovaniemi nel 2019 in occasione della riunione dei Ministri del Consiglio Artico aveva dichiarato: “We need to examine these activities closely, and we keep the experience of other nations in mind. China’s pattern of aggressive behavior elsewhere will inform how it treats the Arctic”.
L’ex segretario di Stato ha posto molta enfasi sulla rilevanza geopolitica della regione, in luce delle opportunità di accesso a risorse strategiche, di sviluppo di rotte commerciali e di sviluppo economico regionale. Pompeo ha definito la regione “an arena of global power and competition”. Ma la domanda retorica “Do we want the Arctic Ocean to transform into a new South China Sea, fraught with militarisation and competing territorial claims?” ha rappresentato il culmine della narrazione oltranzista americana tesa a stigmatizzare la presenza cinese in artico.
Il paragone tra i due scenari geopolitici è chiaramente una forzatura che non tiene conto delle differenze in termini di priorità strategiche della politica estera (e domestica) cinese, delle discrepanze dell’apparato normativo vigente in Artico e nel Mar Cinese Meridionale, o semplicemente del fattore geografico che vede la Cina essere piuttosto distante dalla regione artica, nonostante la autodefinizione di “near-Arctic State” nella policy ufficiale.
Ma la narrativa che descrive la presenza cinese come una minaccia per la regione non si esaurisce di certo con il discorso di Mike Pompeo. Per citare esempi ben più recenti basta andare indietro di qualche giorno.
In occasione dell’Arctic Circle Assembly 2022, che ogni anno vede una vasta partecipazione di esperti, multinazionali, rappresentanze di governi regionali e nazionali, accademici, scienziati e businessman, l’Ammiraglio Rob Bauer, Chair of the Nato Military Committee, ha espresso le preoccupazioni dell’Alleanza Atlantica in luce soprattutto della crescente cooperazione tra Mosca e Pechino:
“If the intentions of China are opposing our values and interests and the rules-based international order, then NATO has to do some — NATO has to take steps to make sure that we are able to deter and defend the threats that come from that direction”.
La pronta risposta dell’ambasciatore cinese in Islanda presente in sala ha definito l’intervento dell’Ammiraglio Bauer “filled with arrogance and also paranoia”. Ha inoltre puntualizzato che la regione artica è un’area importante per collaborazione, non per dispute. Tuttavia immaginare l’approccio collaborativo, che sotto l’egida del Consiglio Artico ha portato alla risoluzione di dispute tra diversi attori, resta piuttosto difficile al momento.
Da parte cinese l’incaricato per gli affari artici Guo Feng si oppone al riavvio dei lavori del Consiglio Artico che esclude la Russia, e si dichiara inoltre scettico sulle capacità della Norvegia di ereditare il testimone della presidenza del Consiglio Artico dalla stessa Russia.
Ma da cosa è giustificata la percezione della presenza cinese come una minaccia per l’ordine nella regione? Buona parte delle preoccupazioni condivise dagli stakeholders artici proviene dall’interesse cinese per le risorse strategiche di cui l’Artico sembra essere ricco. Primo fra tutti i bacini di terre rare, mercato di cui la Cina detiene circa l’80% a livello mondiale. Le terre rare consistono in un minerale indispensabile per la produzione di batterie per dispositivi elettronici e macchine elettriche, per la costruzione di missili e altre componentistiche tecnologiche.
Anche se fondamentali per la transizione energetica, il processo di estrazione è estremamente complesso e inquinante. Motivo che, per esempio, ha fatto desistere la formazione del governo groenlandese dall’estrarre il minerale dal sito di Kvanefjeld, di cui la Shenghe Resources deteneva il 12.6% delle azioni dell’azienda australiana Greenland Minerals, proprietaria del sito di estrazione. La resistenza locale è stata motivata soprattutto dal potenziale inquinante del processo di estrazione e dalla richiesta di manodopera specializzata difficilmente reperibile in territorio groenlandese. Ma l’interesse cinese è andato ben oltre i bacini minerari groenlandesi.
Importanti collaborazioni sono state avviate in Islanda e nella stessa Russia e discusse in molte altre piattaforme. Tuttavia, il report “China’s Strategy and Activities in the Arctic: Implications for North America and Transatlantic Security” sottolinea come nonostante un crescente interesse cinese, si registra una limitata portata degli investimenti cinesi nella regione. Le cause principali sono da addurre a politiche di ostruzione condotte sia dal governo statunitense che dal governo danese e canadese, con speciale attenzione a ciò che concerne terre rare, petrolio e interventi infrastrutturali.
Resistenze a progetti che vedevano il coinvolgimento cinese sono state poste anche da governi sub-nazionali, si basti pensare alla decisione del Consiglio Regionale della Lapponia che ha bloccato il progetto della costruzione di una ferrovia che avrebbe collegato il porto norvegese di Kirkenes a Rovaniemi, e quindi ad Helsinki. Il tutto a vantaggio della crescente movimentazione di merci lungo il fronte occidentale della Northern Sea Route.
Nel suo discorso l’Ammiraglio Bauer ha citato il rafforzamento della collaborazione tra Pechino e Mosca come un’ulteriore fonte di preoccupazione per l’intera Alleanza. L’estensione del territorio artico russo e l’enfasi che Putin pone sullo sviluppo regionale artico come motore per l’intero Paese, rendono l’intera regione soggetta a cambiamenti radicali che sono già in corso.
Il congelamento dei lavori del Consiglio Artico e dei suoi organi sussidiari all’indomani della guerra, ha posto un temporaneo stop al dialogo diplomatico tra gli attori artici e alla collaborazione internazionale nella ricerca scientifica. La dura presa di posizione degli Arctic-7 (tutti gli stati artici Russia esclusa) ha indotto Putin a rivolgersi sempre più ad Est, allargando anche il raggio d’azione a Paesi non artici, pur di trovare partners che possano affiancarlo nella realizzazione degli ambiziosi progetti regionali.
Prima indiziata proprio la Cina che, non molto tempo prima, aveva sottoscritto con la Federazione Russa il Joint Agreement of the Russian Federation and the People’s Republic of China on the International Relation entering a new era and the global sustainable development. I punti fermi dell’accordo sono l’intenzione di intensificare la cooperazione pragmatica per lo sviluppo sostenibile in Artico.
Lo sviluppo e l’utilizzo delle rotte artiche e una condivisa visione sulla necessità di difesa della sovranità ed integrità territoriale e una forte opposizione verso qualsiasi ingerenza esterna negli affari domestici. Il 2 Marzo la Cina si astiene dalla Risoluzione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite contro l’invasione russa dell’Ucraina. Nello stesso giorno il Ministro degli Affari Esteri cinese Wang Yi, in una telefonata al suo corrispettivo ucraino, dichiarava:
“China’s fundamental position on Ukraine issue is open, transparent and consistent. We have always advocated for the sovereignty and integrity of all countries. On the current crisis, China calls on Ukraine and Russia to find a solution to find a solution though negotiations and supports all constructive international efforts that are conducive to a political settlement”.
Tutti segnali che hanno indotto analisti a percepire la non condanna della Cina come una presa di posizione a fianco del vicino russo. Tuttavia la situazione richiede un’analisi più approfondita che guardi soprattutto alle caratteristiche e alle priorità della politica interna ed estera cinese, in un periodo particolarmente delicato per Pechino.
Di fatti sostenere in toto l’azione russa significherebbe per Xi Jinping riconoscere la sovranità russa nelle repubbliche separatiste, topic troppo vicino alla questione che riguarda dossier scottanti come Xinjiang e Tibet. Inoltre preservare la stabilità interna e la credibilità a livello internazionale giocano un ruolo troppo importante nei mesi che hanno preceduto il XX Congresso del Partito Comunista Cinese, che ha visto l’ulteriore rafforzamento della leadership di Xi Jinping. Terzo punto, la necessità di portare avanti il progetto della Via della Seta e l’azione di soft power in Paesi dove regna instabilità politica e sociale.
Veniamo poi ai punti di forza dell’asse sino-russo in artico. Punta di diamante della collaborazione è infatti il settore energetico legato allo sfruttamento di gas naturale liquefatto nella penisola di Yamal. Se il primo progetto ormai viaggia a velocità rodata, il progetto gemello che dovrebbe vedere la luce nei prossimi anni, prevede la partecipazione cinese al 20%. Tuttavia a causa delle sanzioni imposte alla Russia, buona parte dei moduli necessari alla costruzione del sito di estrazione sono rimasti bloccati nei porti cinesi per diversi mesi.
Anche se la Cina sta aumentando i progetti energetici in artico, guardando ai numeri, la prima e più importante via per l’approvvigionamento energetico cinese rimane quella attraverso il Mar Cinese Meridionale, che sì rappresenta una priorità per la leadership cinese. Infatti l’economia cinese è ancora estremamente dipendente dall’importazione di petrolio, di cui la Cina rimane il più grande importatore, con circa l’80% del petrolio importato attraverso lo stretto di Malacca. Inoltre le rivendicazioni cinesi nell’area hanno un tono molto più assertivo rispetto a quelle avanzate nella regione polare, in cui la Cina si muove per lo più attraverso i meccanismi della governance regionale.
L’attenzione cinese per l’Artico cresce e si modella sulle necessità della politica interna di soddisfare il fabbisogno energetico e di sviluppo economico e sulle necessità di politica estera di rafforzare il ruolo cinese nella governance globale. Ma le priorità cinesi riguardano altri settori e altre regioni che comunque risultano profondamente influenzate dal conflitto in corso in Ucraina.
La Cina ha strutturato la sua strategia in Artico a livello di ricerca scientifica, relazioni diplomatiche e investimenti in infrastrutture strategiche, ma niente di tutto ciò lascia presagire che la Cina ambisca ad alterare lo status quo più di quanto non abbia già fatto lo scoppio della guerra. Percepire la non condanna cinese dell’intervento russo in Ucraina come un inconfutabile segno del rafforzamento dell’asse Pechino-Mosca è una visione circostanziale che trascura la differenza in scala di priorità che i due Paesi hanno per la regione artica.
Inoltre, come evidenziato dal report, l’ostruzionismo di governi nazionali e locali all’intervento cinese in tutta la regione ha avuto effetti reali. È necessario prendere le distanze da una narrativa stampo guerra fredda e privilegiare un dialogo che privilegi le necessità regionali che richiedono necessariamente azioni condotte a livello transnazionale e improntate sulla collaborazione internazionale senza particolari distinguo.
Marco Volpe
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