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Lo shipping mondiale fra rotte incerte e transizione verde

Il settore marittimo resta centrale nei nuovi equilibri globali, tra crisi geopolitiche, transizione green e nuove sfide per i porti italiani. Giovanni Consoli di Assarmatori riflette sulle sfide e le rotte di domani.

Il mare, motore dell’economia mondiale

In un mondo sempre più instabile, attraversato da crisi geopolitiche, conflitti e sfide ambientali, lo shipping continua a rappresentare un settore cruciale per l’economia globale. Come stanno reagendo le flotte mercantili ai nuovi equilibri internazionali? Quali sono le prospettive per i traffici commerciali e quali le sfide che attendono i porti italiani di fronte all’emergenza climatica?

Ne abbiamo parlato con Giovanni Consoli, Vice Segretario Generale di Assarmatori, per riflettere sul presente — tra rotte che si allungano, rischi che si moltiplicano e nuove esigenze di sicurezza — e sul futuro di un settore che resta sempre più centrale nei grandi equilibri globali.

Assarmatori ha supportato Osservatorio Artico nell’organizzazione del festival Italia Chiama Artico 2025, tenutosi a Bologna lo scorso 25 febbraio. In quell’occasione ha anche partecipato alla sessione B2B dedicata al tema “Energia e Mare“, dove rappresentanti di aziende leader del settore si sono confrontati sulle sfide della logistica marittima, con lo sguardo rivolto al Grande Nord. In quest’intervista, Consoli traccia una diagnosi della difficile situazione attuale, intervenendo anche sulle prospettive di utilizzo delle nuove rotte artiche.

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Giovanni Consoli

Dall’insediamento di Donald Trump, assistiamo ogni giorno a una lunga lista di ordini e avvertimenti verso il mondo. Come si riflettono le decisioni della Casa Bianca sulla stabilità dei mercati, e quindi dei traffici?

“Il trasporto marittimo ha dimostrato la sua straordinaria flessibilità, la capacità di adattarsi con rapidità ai cambiamenti globali e ai grandi stravolgimenti che abbiamo vissuto in questi ultimi anni: la pandemia, il conflitto in Ucraina. Poi quello in Medio Oriente, le difficoltà nello stretto di Bab el-Mandeb e nel Canale di Suez. Il comparto marittimo anche in questo caso sarà in grado di individuare le soluzioni più adeguate per sviluppare i traffici e la sostenibilità del commercio internazionale marittimo.

Da molti mesi il conflitto in Medio Oriente costringe le flotte mercantili a tornare a doppiare il Capo di Buona Speranza, ma ciononostante i noli e i costi assoluti non sono schizzati alle stelle. Cosa ci dobbiamo aspettare, con un mondo ancora ben lontano da una pacificazione dell’area?

Come giustamente sottolineato, i noli non sono in aumento, anzi. Difficile dire che cosa succederà nei prossimi mesi, mai come in questo caso servirebbe una sfera di cristallo. Quello che è certo è che se la crisi cessasse domani mattina ci vorrebbe un po’ di tempo per ritornare ai livelli di traffico containerizzato nel Canale di Suez, perché i liner dovrebbero riorganizzare le proprie strategie commerciali. In questo contesto, comunque, occorre sottolineare l’operato della Marina Militare italiana, che insieme alle altre Marine costituisce un presidio irrinunciabile di sicurezza in grado di garantire la libertà di navigazione anche in condizioni di crisi.

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Una nave container che passa attraverso il canale di Suez, sullo sfondo – il ponte del canale di Suez, noto anche come Al Salam Bridge, canale di Suez, Egitto.

Parlando di Northern Sea Route e di clima in generale, secondo voi c’è un’attività di prevenzione nei porti italiani per ciò che riguarda il cambiamento climatico, e quindi il progressivo innalzamento dei mari e l’erosione costiera? Cosa si dovrebbe fare di più, e meglio?

I porti italiani, al pari dell’armamento, devono fare i conti con gli obiettivi del Green Deal europeo, a partire dal pacchetto Fit for 55. Parliamo di un insieme di norme che hanno un fine nobile, la sostenibilità ambientale appunto, ma che in realtà rischiano banalmente di portare ad un carbon leakage e ad un business leakage, cioè allo spostamento delle emissioni e del lavoro in porti posti appena al di fuori del territorio continentale, come Nord Africa e Regno Unito. Insomma, oltre al danno, la beffa.

Detto questo, la priorità adesso è quella di mettere a terra gli investimenti pubblici per il cold-ironing (l’allaccio elettrico alle navi ormeggiate in porto, per limitarne le emissioni, ndr) e lavorare sulla produzione, distribuzione, stoccaggio e messa a bordo dei carburanti alternativi, che per l’Italia non possono che essere il GNL e i biofuel. Questi passi sono condizione necessaria per arrivare alla sostenibilità ambientale e abbattere le emissioni.

Quanto ritenete possibile che i traffici mercantili si spostino, almeno in parte, verso una direzione Nord anziché sulla solita rotta Far East-Med?

Anche in questo caso, se parliamo dell’armamento globale, è difficile dare una risposta univoca, al momento non esistono previsioni di traffico e porti intermedi lungo la rotta. Ogni compagnia può fare le sue scelte, quello che posso dire è che la rotta artica non viene tenuta in considerazione dalle nostre per motivi di sostenibilità ambientale e, dato il contesto politico attuale, di sicurezza della navigazione.

Leonardo Parigi

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Leonardo Parigi
the authorLeonardo Parigi
Sono Laureato in Scienze Politiche Internazionali all’Università di Genova e di Pavia. Sono giornalista pubblicista, e collaboro con testate nazionali sui temi di logistica, trasporti, portualità e politica internazionale.

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