Uno studio recente ha simulato l’impatto del fiume Mackenzie sullo scambio di anidride carbonica tra il mare di Beaufort e l’atmosfera, determinandone il contributo in termini di emissioni.
Si stima che l’Oceano Artico rappresenti un bacino di anidride carbonica (CO2) equivalente a circa 180 milioni di tonnellate metriche all’anno, superiore a tre volte le emissioni annuali della città di New York. L’Artico rappresenta dunque un’inestimabile sostegno all’assorbimento globale di CO2, specialmente considerando la sua superficie relativamente ridotta.
Tuttavia, il ruolo delle sue periferie costiere nei flussi di CO2 tra oceano e atmosfera risulta più difficile da definire, anche a causa della complessità e del costo che richiede il reperimento di dati nell’area.
Tra gli altri, i fattori che complicano lo studio dell’andamento di CO2 nelle aree costiere dell’oceano Artico sono due. Da un lato c’è l’estensione del ghiaccio marino, che varia stagionalmente. In inverno, le basse temperature e le prolungate ore di buio preservano il suolo ghiacciato su tutta la superficie Artica, limitando la fuga di carbonio.
In estate, il permafrost all’estremità meridionale del territorio si scioglie a causa del calore ricevuto dai raggi solari nelle ripetute ore di luce. Gli animali e la vegetazione che erano stati intrappolati dal congelamento riprendono quindi il processo di decomposizione, promuovendo il rilascio di CO2.
Dall’altro lato, c’è il carico di acqua dolce e altre sostanze trasportato dai fiumi che sfociano nel mare Artico. Il trasferimento di nutrienti dalla terraferma promuove l’impiego di CO2 per l’attività fotosintetica del fitoplancton, soprattutto durante la stagione calda quando la luce è più disponibile. La presenza di sostanze organiche, invece, favorisce meccanismi di produzione di CO2 che poi sfugge verso l’atmosfera.
Con una superficie di circa 450 000 km2, il Mare di Beaufort è un mare marginale dell’oceano Artico, che si estende dalle coste dell’Alaska fino a quelle Canadesi (mappa in fig. 1). Interamente ghiacciato durante quasi tutto l’anno, è solitamente solo ad Agosto e Settembre che un varco si apre nella regione meridionale, nonostante il cambiamento climatico stia rapidamente estendendo questo periodo.
Il Mackenzie è il più lungo fiume artico americano e, con la sua foce nel Mare di Beaufort, ne plasma l’aspetto e la composizione bio-geochimica. Muovendo enormi quantità di materia organica e nutrienti che vengono sedimentati al suo arrivo, il delta del fiume è un’area dinamica che contribuisce a regolarne i flussi di CO2 in vari modi.
Finora, il settore sudorientale del Mare di Beaufort era stato ritenuto un bacino di CO2 ad assorbimento moderato. Tuttavia, un recente studio pubblicato su Geophysical Research Letters ha esposto il peso che il fiume Mackenzie riveste sul trasferimento locale di carbonio tra l’atmosfera e l’oceano, smentendo tale supposizione.
Tramite alcune proiezioni simulate da un modello climatico regionale, si è ripercorso l’impatto del corso d’acqua nell’andamento di CO2, da cui si evince che, tra il 2000 e il 2019, il mare di Beaufort ha emesso circa 0,13 milioni di tonnellate metriche di CO2 all’anno, passando da pozzo a sorgente di carbonio.
Secondo lo studio, questa condizione è dovuta in larga parte all’azione del Mackenzie, che accresce il volume delle emissioni soprattutto nei mesi più caldi. In estate, infatti, quando il ghiaccio marino si riduce al minimo, il carico e la velocità del fiume aumentano, trasportando maggiori quantità di carbonio verso il suo delta, mentre la decomposizione nel permafrost scongelato viene ripristinata.
Data l’importanza degli oceani nel processo di assimilazione di CO2, gli scienziati ritengono dunque che la ricerca debba volgere verso la determinazione del ruolo dei corsi d’acqua che si riversano nell’oceano Artico al fine di stabilirne l’impatto sul ciclo globale del carbonio.
Chiara Ciscato
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