“Gli eventi che sono accaduti poche settimane fa durante le esercitazioni Nato evocano memorie di Guerra Fredda. Guerra fredda non solo perché l’incidente (se così lo vogliamo chiamare) ricorda le vicissitudini tra Russia e Stati Uniti degli anni ’80, ma anche perché è accaduto nella penisola di Kola, nella Russia nord occidentale, al largo delle acque norvegesi”. Inizia così l’analisi di Marco Tedesco su La Repubblica del 28 novembre. Che racconta:
“Questi i fatti. La Russia è accusata di aver deliberatamente interrotto i segnali di localizzazione Gps durante l’esercitazione “Trident Juncture” (Giuntura del Tridente), la più grande esercitazione Nato dalla fine della guerra fredda e che ha coinvolto più di trenta paesi per circa due settimane. L’incidente è occorso durante la seconda metà di ottobre secondo l’ufficio estero norvegese, che ha sollevato la questione con le controparti russe. Mosca nega categoricamente. Il portavoce del Cremlino, Dmitrij Peskov, ha risposto che l’accusa è «una tendenza a incolpare la Russia di tutti i peccati mortali», aggiungendo: «Non sappiamo nulla del possibile coinvolgimento della Russia in quei fallimenti dei segnali Gps».
“Le regioni artiche settentrionali della Finlandia e Norvegia”, prosegue Tedesco, “sono adiacenti alla penisola russa di Kola, che ospita anche le principali basi navali e sottomarine e altre installazioni militari russe. Non si ritiene che l’inceppamento dei segnali di localizzazione abbia causato incidenti, ma i servizi di navigazione aerea della Finlandia hanno emesso un avvertimento sul traffico aereo civile in merito”.
La partita a scacchi fra NATO e Russia nell’Artico si articola dunque con un nuovo episodio, seppure nel preciso schema da 007 che ci si aspetta nei confronti di un’esercitazione così imponente come Trident Juncture.
“L’Artico gioca un ruolo sempre più importante da un punto di vista militare e strategico, specialmente da quando la navigazione è aumentata a causa dello scioglimento del ghiaccio marino e la conseguente apertura del passaggio a nordovest (che collega la costa est degli Stati Uniti con l’Alaska) e quello a nordest (che collega il Mare del Nord con l’oceano pacifico lungo la Siberia). In passato, il ghiaccio marino “proteggeva” le missioni dei sottomarini sovietici e americani. Missioni il cui scopo era, chiaramente, militare ma che, alla fine, ha anche aiutato la comunità scientifica attraverso l’analisi dei dati raccolti durante tali missioni. Chissà quali tecnologie sono in via di sperimentazione da parte dei militari nell’Artico. Forse, anche in questo caso, potremmo utilizzarle per studiare come stia cambiando il Polo Nord.
Speriamo non sia troppo tardi”.